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Mi era capitato altre volte di dover comunicare esclusivamente per iscritto: mai, però, dopo aver finito le scuole elementari. A quei tempi era un’attività che aveva un certo fascino, poiché in aula era illecita; ma adesso si rivelò un’autentica seccatura.

In poco più di due ore, chiarimmo quanto segue:

Io ero un cittadino pienamente naturalizzato, ed avevo diritto di andare dove mi pareva e di fare ciò che volevo, purché questo non contrastasse con l’interesse di altri.

Non solo ero autorizzato ad esaminare gli impianti produttori d’energia, ma dovevo familiarizzarmi con essi al più presto possibile.

Potevo andare a trovare Marie al suo sommergibile quando ne avessi voglia, e il Comitato e il resto della popolazione sarebbero stati ben felici che io discutessi con lei.

Infine, era previsto che per mantenermi mi dedicassi alle coltivazioni, fino a quando avessi dimostrato di poter contribuire al benessere comune in modo diverso e almeno altrettanto utile.

Tutto lì. Spesso, in passato, mi era capitato di sostenere una conversazione piuttosto lunga con qualcuno e, dopo averlo perso di vista, mi erano venute in mente altre cose che avrei voluto dire: ma laggiù una cosa del genere non era un incidente: era un’abitudine.

Non tanto perché si dimenticasse di affrontare questo o quell’argomento. Di regola, non c’era neppure il tempo di approfondire quelli che ci si ricordava. Non avevo mai apprezzato tanto, in tutta la mia vita, il dono della favella. Quelli di voi che, dopo aver finito il mio racconto, pensano che avrei dovuto imparare prima certi fatti fondamentali, dovrebbero tener presente questa difficoltà. Non dico che non avrei dovuto fare più in fretta: ma posso accampare qualche giustificazione, se non ci sono riuscito.

L’intera faccenda non era solo irritante: mi faceva anche sentire molto sciocco. La cosa più imbarazzante è che tante persone, arrivate a questo punto della storia, possono già capire in cosa avevo sbagliato.

Non avevo nessun entusiasmo per l’agricoltura, sebbene mi incuriosisse scoprire come veniva praticata sul fondo dell’oceano. Volevo saperne di più sulla centrale elettrica, ma rimandai a più tardi anche quello. Chiesi a Bert, per prima cosa, di guidarmi al sommergibile di Marie. Lui annuì e si avviò a nuoto.

Durante il tragitto, non facemmo conversazione. Forse Bert, ormai, era così abituato a nuotare che avrebbe potuto scrivere e leggere mentre si muoveva, come un’impiegata riesce a risolvere le parole crociate mentre esce dall’ufficio per andare a pranzo. Io, di certo, non ne ero capace. Mi limitavo a guardarmi intorno mentre lo seguivo, annotando mentalmente tutto quel che vedevo.

Le gallerie erano lunghe e quasi tutte diritte, ma per quanto mi riguardava formavano un labirinto inestricabile. Avrei impiegato molto, molto tempo per imparare ad andarmene in giro senza guida. Se anche c’era qualcosa di equivalente ai cartelli indicatori, io comunque non riuscii a vederlo. Sulle pareti c’erano motivi colorati di ogni genere, ma non riuscivo a capire se significavano qualcosa o se erano puramente decorativi. E tutto era vivacemente illuminato.

Non c’erano soltanto le gallerie. C’erano anche grandi sale di tutte le forme: alcune avrebbero potuto essere piazze o centri commerciali o teatri, o comunque posti dove si poteva aggregare un gran numero di persone. Non vidi mai una vera folla, ma in giro i sommozzatori erano abbastanza numerosi da confermare la consistenza della popolazione… e non era sorprendente, se la faccenda durava da diverse generazioni. Poco a poco, cominciai a considerare quel posto una nazione, come aveva detto Bert, anziché un’organizzazione di fuorilegge; una nazione che non aveva mai perduto la sua identità firmando il Codice Energetico. Poteva darsi che fosse proprio così: poteva esistere da più tempo dello stesso codice. Non sapevo se la sua storia durava da più degli ottant’anni cui aveva accennato Bert. Era un altro particolare che dovevo accertare.

Non sono mai stato molto abile a giudicare le distanze, a nuoto, e in certi corridoi il traffico era facilitato da una corrente creata da pompe, quindi non so esattamente quanto fu lungo il nostro percorso, prima di arrivare al sommergibile. Per la verità, ancora oggi ho un’idea molto vaga dell’ampiezza di quel posto. Comunque, uscimmo finalmente da uno stretto corridoio e ci trovammo in una delle grandi camere sotto una entrata: passammo sotto il cerchio di tenebra affacciato su un miglio d’acqua salata, scendemmo per circa duecento metri una galleria molto più larga, e ci trovammo davanti all’entrata di una camera piuttosto grande, in cui era attraccato sul pavimento uno dei comuni sommergibili da lavoro del Consiglio, caricato all’esterno di piastre di zavorra come lo era stata la mia capsula.

Bert si fermò davanti all’entrata e cominciò a scrivere. Lessi al di sopra della sua spalla: «È meglio che io resti fuori. Marie è convinta che io sia Giuda Iscariota, Benedict Arnold e Vidkun Quisling messi insieme. Avrai già abbastanza guai presentandoti così, anche senza avermi accanto. Hai deciso quale scusa addurre per giustificare la tua metamorfosi?»

Annuii; non vedevo motivo di sprecare tempo scrivendo i dettagli più di una volta, e presi tavola e stilo. Bert mi guardò con aria interrogativa, ma io gli feci un cenno di commiato e mi diressi verso il sommergibile. Quando mi voltai, poco prima di raggiungerlo, Bert era sparito. Poi ricordai che presto avrei avuto bisogno di cibo normale e, presumibilmente, anche della sostanza generatrice d’ossigeno. E non sapevo ancora come procurarmeli.

CAPITOLO 13

Quando mi avvicinai, non riuscii a vedere nessuno attraverso gli oblò del sommergibile, sebbene gli girassi intorno. A quanto pareva, Marie dormiva. Non ero sicuro che fosse una buona idea svegliarla, ma finii per decidermi. Bussai sulla chiglia.

«Se sei Bert, sparisci. Sto pensando!» Le parole erano chiare e comprensibili, ma la voce non sembrava quella di Marie. Non saprei descrivere quel suono. Ci sono toni prodotti dalle corde vocali umane che di solito non superano il meccanismo equilibratore dell’orecchio medio dell’ascoltatore… è una delle ragioni per cui la propria voce sembra così strana, quando la si sente registrata. È anche peggio quando ci si trova immersi in un fluido che trasporta i suoni più o meno alla stessa velocità dell’acqua, e quando quel fluido è presente da entrambe le parti del timpano. Come ho detto, non saprei come descrivere il risultato esatto.

Bussai di nuovo. La seconda risposta fu altrettanto chiara, ma ho promesso a Marie di non riferirla. Mi irritai, e quando bussai per la terza volta lo feci con violenza, per quanto lo permetteva l’ambiente liquido. Fu uno sbaglio.

Un uomo può sopportare facilmente l’esplosione di un candelotto di dinamite ad una trentina di metri di distanza. Il rumore è fastidioso, ma non pericoloso in se stesso. Se invece nuota alla stessa distanza quando il candelotto esplode sott’acqua, è sicuro di lasciarci la pelle.

Il mio pugno non aveva l’energia di una carica di dinamite, ma forse in tal caso avrei sofferto meno. Se non altro, sarei morto e basta. I miei timpani non si spezzarono, quando l’onda d’urto li investì, ma la sensazione non fu molto diversa. Impiegai tanto a riprendermi che Marie ebbe il tempo di avvicinarsi all’oblò, riconoscermi, superare il trauma che la mia vista poteva averle causato, e congelarsi di nuovo.

Adesso lei sostiene di essere stata lieta di vedermi, per il primo mezzo secondo. Dice di avere addirittura gridato il mio nome, sebbene sapesse cosa ne penso io. Comunque, quando mi ripresi, lei non stava sicuramente esternando sentimenti di gioia. Mi guardava molto male. Vedevo che muoveva le labbra, ma non potevo ancora udire le sue parole: avevo troppo baccano dentro le orecchie. Me le coprii con le mani, per un momento, e cercai di farle segno di aspettare, ma le sue labbra continuarono a muoversi.