«Lo so,» rispose Marie. «Ma non credo che sia un caso del genere. Succedeva ai tempi delle nazioni e dei partiti politici, prima che ci si rendesse conto della necessità di istituire il Consiglio.»
«Se tu credi che ci siamo lasciati alle spalle la politica,» ribattei, con tutta la rapidità con cui potevo muovere lo stilo, «Allora tenevi gli occhi meno aperti di quanto pensassi io. E che male c’è a considerare questa gente come una nazione? È appunto l’idea che me ne sono fatto io.»
«Nazioni? Hai un corto circuito nel cervello. Sono soltanto un branco di dissipatori d’energia. Non sono abbastanza numerosi per formare una nazione.»
«Sai quanti sono?»
«No di certo. Non ho avuto la possibilità di contarli. Qualche centinaio, direi.»
«Credi che qualche centinaio di persone potrebbe creare un posto come questo? O anche una piccola parte? Debbono esserci chilometri e chilometri di gallerie, quaggiù. Io ho nuotato per circa un’ora, per arrivare fin qui dal luogo in cui mi hanno operato, ed è un labirinto. Un labirinto, capisci? Non ho ancora visto la loro centrale elettrica, ma deve essere enorme per fornire la luce a un simile volume di spazio, e fuori c’è quella grande area coperta dal telone… devi averla vista anche tu. Come potrebbero fare un lavoro simile poche centinaia di persone? Alla superficie, certo, avendo a disposizione tempo illimitato e i normali macchinari da costruzione: ma quali macchinari normali avrebbero potuto usare qui?»
Marie avrebbe voluto interrompermi, ma mi lasciò finire. Non è il caso di riferire testualmente quello che disse poi: in pratica, venni a sapere che non aveva visto l’area illuminata all’esterno. Aveva scorto un sommergibile da lavoro, mentre si aggirava alla ricerca di Joey; l’aveva seguito, ed era finita davanti a un’entrata apparentemente molto lontana dal «telone». A quanto sembrava, di entrate ce n’erano parecchie. Non era in grado di esprimere un’opinione sull’area illuminata, e avevo l’impressione che non credesse totalmente alla mia descrizione.
Non era stata neppure catturata. Aveva seguito il sommergibile fino all’ingresso, si era accorta di non avere zavorra sufficiente per superare il punto di contatto tra i due liquidi ed era rimasta lì, bloccando il traffico, fino a quando avevano appesantito il suo mezzo e l’avevano rimorchiato all’interno. Le donne sono creature interessanti, e hanno poteri interessanti. Non ero sicuro di crederle, ma preferii non dirglielo.
«Sta bene,» riassunsi finalmente, per iscritto. «A quanto pare, il mio compito consiste nel trovare Joey o almeno sue notizie attendibili; scoprire una ragione specifica, convincente per spiegare come mai questi ci tengono tanto a che ci uniamo a loro; procurarmi informazioni sulla grandezza e la popolazione di questo posto; e ottenere informazioni tecniche sulla loro centrale elettrica.»
«Giusto.» Marie annuì. «Non pretendo che tu faccia tutto questo senza ricorrere a Bert, perché non ho la possibilità di importelo. Ti dico solo che di lui non mi fido.»
«Non vedo perché, comunque. È modificato per vivere in queste condizioni ad altra pressione, ma sono modificato anch’io, eppure hai deciso di fidarti di me, direi.»
«Non ricordarmelo. È un punto a tuo sfavore. Comunque, spero che nel tuo caso sia solo una copertura. Dopotutto, mi sembri convinto che si tratti di un cambiamento reversibile, anche se io non lo sono: l’ho capito dalla tua espressione, quando ho detto che non era reversibile. Spero, per il tuo bene, che abbia ragione tu.»
«E perché Bert non dovrebbe averlo creduto, perché non dovrebbe avere gli stessi motivi?»
«Se è così, perché è qui da un anno? Se può ritornare lassù, e non lo ha fatto, allora sta combinando qualcosa. Se non può ritornare, sta egualmente combinando qualcosa, perché deve essere stato lui a dirti che era possibile. Pensaci bene.»
Ci pensai, e non riuscii a trovare una risposta. Potei dire soltanto: «D’accordo, sarò prudente.» Mi stavo già allontanando a nuoto quando Marie mi chiamò per nome. Irritato, mi voltai, e scorsi il suo viso premuto contro l’oblò. Mentre la guardavo, lei parlò ancora, molto più sommessamente: immerso com’ero nel liquido, la sentii appena.
«Sei un caro ragazzo. Se non fosse per Joey…»
S’interruppe, e il suo viso sparì.
Me ne andai, ascoltando il battito del mio cuore e cercando di organizzare i miei pensieri.
CAPITOLO 14
Fuori, nel corridoio, non c’era traccia di Bert, e non osai andarlo a cercare. Ricordavo la strada per arrivare all’entrata, e vi andai a nuoto, nella speranza che mi stesse aspettando proprio lì.
C’era almeno una dozzina di persone nella grande camera, e se ne scorgevano altre, vagamente, nell’acqua più scura, in alto: ma Bert non c’era. Non sapevo che altro fare, se non aspettarlo. Ma mi sembrava un’occasione buona per imparare qualcosa.
Mi avvicinai a nuoto al punto di contatto tra i due liquidi ed esitai. Di tanto in tanto, qualcuno passava di lì. Decisi di osservare la tecnica che usavano, prima di provarmici.
Era abbastanza semplice. Bastava afferrarsi a una scaletta a grappe, togliersi la cintura zavorrata ed appenderla ad uno dei numerosi ganci lungo il bordo, e poi passare a nuoto. Tuttavia, quelli che lo facevano portavano casco e tuta, presumibilmente per mantenere nella bocca, nelle orecchie e così via quel liquido speciale. Forse l’acqua marina faceva male ai polmoni. Comunque, nessuno infilava la testa oltre il confine se non portava il casco, e decisi di non correre rischi, anche se non capivo quale poteva essere il pericolo.
Molti mi stavano osservando, notai. Alcuni avevano espressioni preoccupate. Una donna mi rivolse dei gesti, ma naturalmente io non potevo capire quel linguaggio. Mi fissò per un momento, vide che non rispondevo, rivolse altri rapidi gesti con la mano a quelli che le stavano intorno e poi a me, quindi salì a nuoto nella mia direzione. Indicò l’acqua, poi me, e inarcò le sopracciglia con aria interrogativa. Era facile capire il significato della domanda, sebbene la ragazza attirasse l’attenzione più dei suoi segnali.
Forse era quella che avevo visto fuori, benché fosse impossibile averne la certezza. Nel gruppo ce n’erano altre che potevano esserlo. Aveva i capelli biondi e lisci, tagliati corti in un’aureola che poteva entrare senza difficoltà in uno dei caschi. Era alta circa un metro e sessanta, e fuori dall’acqua poteva pesare sui cinquanta chili. Indossava un due pezzi che non era una tuta, ma copriva una maggiore superficie di un bikini. Il volto era piuttosto sottile, e non riuscii a indovinare la sua origine.
In risposta alla sua domanda, o a quella che ritenevo tale, alzai un braccio verso la superficie dell’acqua, guardandola a sopracciglia inarcate.
Lei scrollò la testa energicamente, si cinse le spalle con le braccia e rabbrividì in modo molto realistico. Potei interpretare anche quella risposta, e mi irritai con me stesso, perché non avevo ricordato che fuori l’acqua doveva essere fredda. Era un dato utile: giustificava la deduzione che il liquido in cui ci trovavamo immersi non era un buon conduttore di calore, altrimenti avrei sentito il gelo dell’oceano già a pochi metri di distanza. Naturalmente, non poteva essere neppure un pessimo conduttore, altrimenti avremmo avuto l’abituale problema delle tute spaziali: come eliminare il calore corporeo in eccesso. Fino a quel momento, non avevo sentito né caldo né freddo. Adesso avrei voluto avere sottomano un termometro, per farmene un’idea.
Alzai un dito, puntandolo verso il confine, e rivolsi alla ragazza la stessa domanda con le sopracciglia. Lei scrollò le spalle, come per dire che il dito era mio: e perciò lo feci passare all’esterno.
La temperatura era sopportabile, ma capii perché i sommozzatori portavano le tute. Pensai che avrei potuto sopportarla per un po’ di tempo, se fosse stato necessario; ma non mi pareva il caso di fare la prova, in quel momento.