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Pensai che sarebbe stato più utile cominciare a prendere confidenza con il normale metodo di comunicazione di quella gente. Nonostante le parole di Bert ed i miei tentativi attraverso gli oblò della capsula, mi pareva possibile che almeno qualcuno conoscesse un po’ qualcuna delle lingue che io sapevo. Mostrai alla ragazza la tavola per scrivere. Lei annuì, e lanciò un sorriso agli altri che stavano intorno. Scrissi una breve frase in ognuna delle lingue che conoscevo meglio, e le porsi la tavoletta perché la leggesse.

La ragazza guardò cortesemente e scrupolosamente, ma sorrise e scosse il capo. La mostrai agli altri, e ottenni la stessa reazione. Poi conversarono tra di loro a segni. Alcuni, compresa la ragazza, avevano l’aria divertita: forse si sarebbero messi a ridere, se fosse stato fisicamente possibile. Poi lei prese tavoletta e stilo dalle mie mani e cominciò a tracciare dei segni.

Lo stilo si muoveva rapidamente, ma non andando avanti e indietro come nella normale scrittura. Sembrava piuttosto un disegno, dal punto in cui mi trovavo io. La ragazza impiegò all’incirca trenta secondi, poi mi porse la tavoletta perché la guardassi. La guardai, sbarrando gli occhi.

È impossibile descrivere dettagliatamente quello che aveva disegnato: ma posso darne un’idea generale. In un certo senso, era abbastanza simile a un diagramma elettrico, con linee rette che andavano da un punto all’altro, quasi tutte parallele ai bordi della tavoletta. C’erano piccole lacune nelle righe, dove avrebbero dovuto intersecarsi; talvolta gli incroci erano contrassegnati da punti; oppure una linea tagliava l’altra senza effetti particolari. Qua e là, in quel labirinto, c’erano minuscoli motivi, incredibilmente complessi considerando il poco tempo che era stato loro dedicato. Non ce n’era nessuno identico ai simboli elettrici che conoscevo, ma mi davano un vago senso di familiarità. Il disegno, nel suo complesso era quasi un quadro. Mi faceva un effetto strano, come se fosse qualcosa che avrei dovuto riconoscere ma che non riuscivo ad estrarre dal fondo della mia mente. Tentavo continuamente di interpretarlo come un diagramma di circuiti, cui somigliava vagamente, ma non approdavo a nulla. Provai a considerarlo come uno di quei disegni ad effetti ottici formati di linee rette che di tanto in tanto ritornavano di moda come opere d’arte, e non ottenni risultati migliori. Dovetti scuotere il capo, come aveva fatto la ragazza.

Cancellai il foglio e provai con altre lingue: questa volta non le conoscevo altrettanto bene. Speravo, al massimo che qualcuno accennasse di averne riconosciuta una. Niente da fare. Neppure una traccia. E questo era stranissimo, perché quelle dodici lingue che usai per i miei tentativi erano parlate complessivamente da tre quarti della popolazione terrestre; e alcune erano note alle persone colte di tutto il mondo.

La ragazza ricambiò il mio secondo tentativo con un altro dei suoi. Vedevo che il disegno differiva nei dettagli dal primo, ma nel complesso era molto simile, e non ne ricavai molto di più. Se avessi avuto una macchina fotografica in grado di funzionare in quelle condizioni, avrei fotografato lo schizzo, nella speranza che avesse qualcosa a che vedere con le centrali elettriche, benché fosse molto ma molto improbabile, anche a voler essere ottimista.

Pensare in generale a un piano mi fece comunque venire un’idea. Cancellai di nuovo il foglio e tracciai al centro uno schizzo, per rappresentare la camera in cui ci trovavamo, le varie gallerie che si diramavano da essa e la sala in cui era attraccato il sommergibile di Marie. All’inizio, la ragazza non afferrò l’idea, perciò mi diressi a nuoto ad uno dei corridoi di cui avevo disegnato l’ingresso, lo studiai per vedere se era diritto o no, e lo riportai sul disegno.

Ero riuscito a farmi capire. La ragazza annuì, dopo aver parlato ancora a gesti con gli amici; poi mi rivolse uno sguardo interrogativo. Le porsi tavoletta e stilo e gesticolai, sperando di farle intendere che volevo una pianta generale.

Capirono anche questo, ne ero sicuro; ma la conversazione a cenni durò molto più a lungo. Mi augurai che discutessero soltanto sul modo migliore di fornirmi l’informazione, non sull’opportunità di darmela o meno. Mi sarebbe piaciuto avere una vera e propria carta topografica, non schizzi a mano libera.

La discussione, se pure era tale, fu interrotta dal ritorno di Bert. Fu un sollievo, per me, poter conversare in modo comprensibile, sia pure lentamente: ma Bert aveva le sue idee circa il tema del dialogo. Si fece dare dalla ragazza il necessario per scrivere e cancellò il foglio senza neppure degnarlo di un’occhiata.

«Sei riuscito a ottenere un po’ di collaborazione da Marie, oppure lei ti ha relegato insieme agli altri fuorilegge?» chiese.

«Credo di essere in libertà condizionata,» risposi io. «In realtà, per farla contenta ci vorrebbero notizie precise di Joey.»

«Be’, non possiamo dargliene. A quanto ne so io, qui non è mai arrivato.»

«Non hai neppure avvistato il suo sommergibile nei dintorni?»

«Nessuno lo ha segnalato.»

«E il tuo sonar?»

«Non lo usiamo mai, se non in circostanze specialissime. Sarebbe troppo probabile che ne captassero l’emissione. Siamo dispostissimi a far sì che il mondo sappia di noi, ma solo se scopre tutto sul nostro conto. Non hai ancora un quadro chiaro della situazione? Non vogliamo venire classificati insieme agli sprecatori d’energia che il Consiglio perseguita continuamente, e tu sai benissimo che la gente si farà proprio questa idea di noi, se non avremo la possibilità di spiegarci.»

«Penso sia vero. È l’idea che se ne è fatta Marie, e non vuol saperne di rinunciarvi. Mi domando se sarà sufficiente spiegare come stanno le cose.»

«Lo sarebbe, se la gente credesse alla spiegazione.» Non feci commenti sulla profondità di quell’affermazione.

«Tu hai continuato a spiegarlo a Marie per sei settimane, ma lei non ci crede.»

«Non siamo riusciti a spiegarci. Abbiamo parlato per sei settimane, e lei non ci ascolta. È diverso. Vuole parlare soltanto di Joey. Penso che il servizio più grande che potessi rendere, a noi ed al Consiglio, sarebbe convincerla a prestare ascolto ad una descrizione fedele dell’intera situazione.»

Ci rimuginai sopra per mezzo minuto. Molti di coloro che erano lì all’arrivo di Bert adesso se ne erano andati, ma la ragazza ed altri due o tre stavano ancora osservando, interessati. Guardavano, profondamente assorti, quello che stavamo scrivendo sulla tabella, affollandosi a guardare ogni messaggio al di sopra della spalla dello scrivente o del destinatario. La ragazza sembrava piazzarsi sempre nel posto migliore. Le regole del galateo apparivano un po’ antiquate, in confronto a quelle in uso quasi dovunque alla superficie.

«Forse hai ragione tu,» scrissi finalmente, dopo aver cercato di inquadrare quel che Bert aveva detto nel programma che mi ero prefissato. «Sarebbe a dire che io dovrò vedere l’intera installazione con i miei occhi, per poter dire di avere una conoscenza diretta.»

«Precisamente. Vieni. Con questo incarico, può darsi che eviterai il lavoro agricolo, ma almeno le colture dovrai vederle. Per la verità, mi sta venendo fame, e per te deve essere passato ancora più tempo, dopo l’ultimo pasto decente.»

Non trovai nulla da eccepire, e lo seguii a nuoto in un’altra galleria. La ragazza ed altri tre, dopo essersi scambiati qualche gesto, si accodarono a noi.

Come prima, non era pratico nuotare e scrivere nel contempo, perciò ebbi parecchio tempo per pensare, durante il tragitto. Non riuscii a utilizzarlo in modo molto costruttivo, e non posso dire molto di quel trasferimento, se non che durò quindici o venti minuti. Non accadde assolutamente nulla d’interessante o d’importante, fino a quando arrivammo ad una porta di forma assai meno regolare di quella circolare e quella rettangolare che avevo già visto.