Выбрать главу

«Qual è la ragione per metterle? La temperatura?» scrissi io, quando Bert mi indicò a gesti di indossarne una.

«No. Probabilmente non l’hai ancora scoperto, e per il tuo bene mi auguro che non lo scopra: ma, immersi come siamo nel liquido, siamo estremamente sensibili alle onde sonore intense.» Non lo interruppi per riferirgli la mia esperienza, ma una volta tanto ero certo che mi raccontava la verità senza abbellimenti. «La centrale elettrica è molto efficiente, ma c’è ancora una traccia di rumore… più che sufficiente per uccidere un individuo non protetto. Metti la muta e assicurati che sia stagna.»

Obbedii. Fu piuttosto difficile; l’indumento non era semplice come sembrava a prima vista. Una delle fibbie aveva un orlo tagliente, e mi aprì una ferita piuttosto profonda su una mano; mi chiesi quale servizio di controllo della qualità avrebbe potuto sopportare un simile difetto di fabbrica. Le gocce di sangue sembravano un po’ strane: globuli rossovivo che si innalzavano dalla ferita. Ma era una lesione di poco conto. Prima che Bert avesse risolto il mio problema con la fibbia, aveva già finito di sanguinare.

Lui controllò meticolosamente la mia muta, soprattutto le giunture ai polsi e al casco. Anche gli altri si erano vestiti e si stavano ispezionando a vicenda. Con gesti che persino io riuscii ad interpretare, segnalarono che il controllo era ultimato, e Bert si girò verso la porta.

Azionò un quadrante laterale, e la grande valvola, capace di lasciar passare un piccolo sommergibile da lavoro, si aprì senza difficoltà. Bert ci accennò di passare, attese che avessimo varcato la porta e poi la chiuse dietro di noi. Ebbi ancora un volta l’impressione che avesse un’aria non solo di familiarità, ma di autorità. Com’era possibile che, in un solo anno, un agente del Consiglio avesse guadagnato la fiducia completa di quella gente? Tra tutti gli abitanti della Terra, un agente del Consiglio della Commissione per l’Energia era quello che più logicamente avrebbe dovuto opporsi a loro e al modo di vita. Possibile che fosse stato in contatto con costoro prima ancora di scomparire, un anno prima? Possibile che avesse ragione Marie? E se aveva ragione lei, in che pasticcio mi stavo cacciando? Mi ero fidato completamente di Bert Wheltsrahl, quando l’avevo visto laggiù per la prima volta, ed avevo accantonato quasi tutte le affermazioni di Marie, pensando che venivano da una donna resa quasi isterica dall’angoscia. Mi era sembrato verosimile che il suo Joey (be’, anche se lui non si era mai considerato una proprietà di Marie) non fosse mai arrivato lì. Potevano capitare parecchie altre cose, per causare la scomparsa di un sommergibile monoposto nel Pacifico.

Adesso me lo domandavo, un po’ turbato. Ma c’erano altre cose che richiamavano la mia attenzione.

CAPITOLO 16

Per la prima volta, mi trovai in una galleria chiaramente ripida: il peso della cintura zavorrata mi permise di accertarlo senza alcun dubbio, quando ci pensai sopra. Eravamo diretti verso il basso, con un’inclinazione di sessanta gradi. Le lampade della galleria, che costituivano le uniche caratteristiche spiccate delle pareti, mi passavano accanto molto velocemente, il che dimostrava che il nostro movimento era facilitato dalle pompe: c’era una netta corrente in discesa. Mi chiesi se al ritorno avremmo dovuto risalire nuotando controcorrente, e pensai che sarebbe stato impossibile. Se non avessero invertito la corrente, avremmo dovuto usare un’altra galleria.

Non notai alcun cambiamento di temperatura, benché sapessi che stavamo andando a visitare un congegno a calore. Forse costoro avevano scrupoli morali, circa lo spreco d’energia, quando si trattava delle perdite che sottraevano efficienza ad una macchina, anche se poi si comportavano in modo riprovevole per il resto.

Non riuscii a calcolare la lunghezza della discesa, prima di arrivare alla sala comando. Certamente era di parecchie decine di metri, probabilmente centinaia, forse addirittura un miglio. In seguito vidi le carte topografiche, ma le idee strane in fatto di scala che gli esecutori avevano adottato mi confondono le idee ancora oggi. Certamente, la profondità era tale da costituire un ostacolo insuperabile per ogni difesa basata sulla forza bruta, con la pressione usata come corazza.

La sala era così grande che era difficile scorgerne l’estremità più remota. Il liquido, come forse ho dimenticato di riferire, spandeva un po’ la luce, e conferiva un aspetto nebuloso agli oggetti che si trovavano oltre i cinquanta metri.

Comunque, come sala comandi era fin troppo convenzionale. Lungo le pareti c’era una serie di cavi che persino io potei riconoscere: erano una rete di distribuzione. Più sotto c’era un’altra serie, più difficile da riconoscere ma dall’orientamento spiccatamente verticale, e io sospettai che indicasse i circuiti del fluido attivo tra la sottostante sorgente di calore ed i convertitori in alto. Una macchina a calore, di qualunque tipo sia, funziona in base alla termodinamica elementare, e i suoi diagrammi finiscono inevitabilmente per somigliare a quelli di altri impianti simili, sia che si tratti di una turbina a vapore che di una termocoppia.

Lungo i cavi di entrambi i diagrammi c’erano indicatori, quasi tutti del solito tipo con quadrante ad ago, interruttori e reostati. Non c’era niente di enigmatico: era un comando d’una centrale elettrica, e tale appariva a prima vista. Con un po’ di fortuna e di competenza, era possibile impararlo a memoria in un paio di mesi.

Trenta o quaranta sommozzatori, con mute e caschi come noi, fluttuavano a poca distanza dalla parete, e le dedicavano tutta la loro attenzione. Questo era abbastanza soprendente. Mi sarei aspettato un numero minore di operatori, con un quadro di quelle dimensioni. Se erano tutti indispensabili per i comandi manuali, era un punto a discredito del livello generale della competenza tecnica, come la fibbia tagliente. Mi auguravo che la scarsa coordinazione da parte loro producesse soltanto seccature, non catastrofi. Senza dubbio, c’erano interruttori di sicurezza nella rete della distribuzione d’energia elettrica, e scolmatori d’emergenza, qua e là: ma anche così, quella folla di operatori conferiva al quadro generale una certa aria primitiva. Osservai pensieroso la scena. Quelli che ci avevano accompagnati guardavano con lo stesso interesse che provavo io: ebbi l’impressione che anche loro non fossero mai venuti lì prima. Bene, era possibile. Difficilmente l’intera popolazione poteva essere formata da ingegneri elettrotecnici.

Tuttavia, questo rendeva più fitto il mistero, perché sapevo che non lo era neppure Bert. Aveva una preparazione generica in fatto d’ingegneria, come me, quella che è necessaria per poter identificare gli sprechi di energia. Perché mai avrebbe dovuto godere di una qualche autorità, laggiù?

Bert si voltò e rivolse alcuni gesti alla nostra scorta. Poi mi scrisse un messaggio.

«Non avvicinarti troppo: potresti distrarre questa gente. Più della metà sono apprendisti.» Questo faceva apparire la situazione in una luce un po’ migliore.

«Prendete molto sul serio l’istruzione, qui,» risposi io.

«Puoi star certo. E presto capirai il perché. Vattene pure in giro quanto vuoi, e guarda quello che ti interessa… ne sai abbastanza, tu, e non sarò costretto a tenerti d’occhio come gli altri. Ma non metterti davanti agli operatori.»

Annuii. Per mezz’ora feci proprio ciò che mi aveva detto Bert, esaminando l’intero quadro con la massima meticolosità. La sistemazione mi appariva sempre più logica, con il passare del tempo. Una ragione sorprendente per questa sensazione era che i quadranti e le manopole dei comandi erano contrassegnati da numeri normalissimi. E questo non me l’ero aspettato, dopo aver visto che cosa usavano lì al posto della scrittura.