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Vernor Vinge

Naufragio su Giri

1

L’autunno era già arrivato a Marina di Bogdaru e l’inverno non era lontano. Sui pendii delle montagne che riparavano la zona settentrionale della città i pini a tre corone si ergevano verdi e abbaglianti nella luce del sole al declino. La stessa Bogdaru era ancora sgombra di neve, ma la lama pungente del vento marittimo roteava sulla spiaggia, sospingendo nuvole di polvere e sabbia verso l’erba marrone e gelata che separava tra loro le case di pietra degli abitanti della città. In quei giorni, solo le sterne dalla folta pelliccia stavano bene all’aperto. Strillavano e stridevano lanciandosi in picchiata tra le case. I cittadini appartenevano al Popolo dell’Estate e quando il clima diventava più freddo molti si spostavano a sud, dove l’estate durava per sempre. Quei pochi che restavano si guardavano bene dall’uscire e lavoravano nelle loro caverne sepolte a centinaia di metri sottoterra nel ventre delle montagne.

Parapfu Moragha alzò gli occhi su quello scenario e maledisse tra sé il giorno in cui era stato nominato Prefetto di Bogdaru. Allora, per la verità, gli era sembrato un gran colpo di fortuna. La sua residenza in pietra sorgeva ampia e imponente sul crinale che faceva da schermo al capolinea della Strada Reale, la via che dalle montagne portava verso nord, e lui si trovava a governare una terra più ampia di molti ducati messi insieme. Ma quel “dominio” così vasto era solo una porzione fredda, brutta e marginale del Regno d’Estate. Bogdaru si trovava sette leghe a nord dell’equatore, un tragitto breve per un viaggio, ma lungo più di duemila e cinquecento chilometri per quei pellegrini che intendevano percorrerlo a piedi. I ghiacciai, le montagne e i deserti innevati che si stendevano da Bogdaru fino al Polo Nord appartenevano al Re delle Nevi.

Moragha distolse lo sguardo dalla massiccia finestra intagliata nel quarzo e lo posò sui visitatori, con disgusto appena mascherato. Un specie di contadino, un Corporato e un comune minatore. Era offensivo che gente simile venisse a seccarlo proprio alla vigilia della visita del principe imperiale, una visita che poteva anche rappresentare l’ultima occasione per convincere i suoi amici di corte a riservargli un nuovo incarico. Si sedette sul sedile in pietra ricoperto da cuscini di pelo e si mise comodo.

— Insomma, Prou, perché siete qui? — chiese.

Thengets del Prou, rappresentante della Corporazione, rispose al suo sguardo d’accusa con la soavità di sempre. Solo un impercettibile lampo negli occhi rivelò a Moragha che quell’uomo alto e dalla pelle scura in realtà rideva della sua sconfitta.

— Sono comunque all’interno del territorio convenzionato, mio Signore. Bogdaru dista meno di otto leghe da Dhendgaru.

Theso Lagha, primo oratore dell’associazione dei minatori, chinò la testa con rispetto. Lui, almeno, dimostrava di conoscere le buone maniere.

— Sono stato io a chiedergli di venire da voi stasera stessa, Signor Prefetto. Mi è sembrato che le cose viste da Hugo fossero importanti. Tanto importanti che avreste potuto avere immediatamente bisogno di un Corporato.

Moragha fece una smorfia. Aveva paura della Corporazione, a dispetto di qualunque convenzione. E si fidava di Prou ancora meno che di tutti i suoi colleghi. Aveva un viso scuro e saccente, apparteneva alla stirpe del deserto e vantava un nome praticamente impronunciabile. Moragha avrebbe di gran lunga preferito che i minatori non avessero bisogno così spesso del sengaggio di quell’uomo e che lui rimanesse al suo posto nella città che gli era assegnata.

— Molto bene, buon Theso. Ma che cosa ha visto il tuo uomo?

Lagha spinse con impazienza il terzo visitatore verso il trono.

— Ecco, mio Signore. Hugo è legato per contratto alla nostra associazione come taglialegna. Racconta a Sua Eccellenza che cosa hai visto, Hugo.

L’uomo era chiaramente un semplice, oltre che witling. Si gingillava nervosamente con le camere d’aria rattoppate del suo galleggiante, ruotando gli occhi senza meta nella stanza. Lagha e Prou avevano almeno avuto la decenza di lasciare l’arnese vicino alla polla. Dopo alcuni gargarismi incoerenti il vecchio riuscì finalmente a pronunciare qualcosa di più intelligibile.

— Io taglio la legna, Vossignoria… per l’uomo libero e i suoi amici, quelli che tirano via le rocce dalle colline. Per la maggior parte del tempo taglio i pini a tre corone, uno dopo l’altro…

— A nord-est della città, lontano dalle colline di ricerca — interloquì Lagha.

— Sì… bei posti, lassù. Niente gente. Niente di niente, a parte qualche piede palmato… e anche quelli solo dopo che la neve è scesa del tutto sulla città… — Fece una pausa, senza che il suo padrone lo incitasse a continuare. Alla fine, ritrovò il filo dei propri pensieri. — … Ma in questi ultimi novenali, in anticipo sulla prima neve, è arrivato qualcosa di strano, lassù. Delle luci, deboli. Come qualche volta se ne vedono di notte, in estate, sopra le paludi di Bilala. Pensavo che fosse la stessa cosa, invece no. Le luci rimangono e continuano a rimanere. Luci belle, bellissime. La notte scorsa mi sono avvicinato. Da nord, in silenzio. Be’, c’è della gente lassù, Vossignoria. Gente che ci controlla e che controlla la città.

— Quanti sono? — chiese il Prefetto in tono brusco.

Il witling si concentrò, corrugando il viso. — È difficile dirlo. Due, credo… Hanno una piccola casa sulla collina, stanno fermi e ci guardano dal di dentro. E sono strani. Uno è così grande, così alto… molto più alto anche dell’onorevole Corporato. — Abbozzò un cenno di deferenza in direzione di Thengets del Prou. — Insomma, sono andato vicino, e poi ancora più vicino, in silenzio come un piede palmato, e poi…

La sua voce si affievolì e gli occhi fissarono qualcosa al di là delle spesse pareti di roccia, come se ricordassero chissà quale visione. Il Prefetto udì il lamento impercettibile del vento, fuori nel crepuscolo. Rabbrividì. Quel posto era troppo a nord, molto oltre il limite dove gli uomini a modo avrebbero dovuto vivere. — Ebbene? — chiese alla fine. — Che cosa è successo poi?

— Mi sono messo a correre. Sono scappato via! Che spavento! — Il vecchio si accasciò singhiozzando contro il trono di pietra.

Moragha si girò verso Lagha. — E tu sei venuto a farmi perdere del tempo per questo, uomo libero? Non sai che il principe imperiale arriva nella prefettura di Bogdaru domani? — Un principe imperiale patetico e witling, pensò tra sé. — Ho faccende ben più importanti da sbrigare che non ascoltare i vaneggiamenti di una specie di idiota del villaggio!

La civile condiscendenza di Lagha subì un impercettibile calo. — Mio Signore, Hugo ha alcuni… problemi, ma è di proprietà della mia associazione da quasi trent’anni, e in quest’arco di tempo non credo che abbia mai raccontato bugie. — Il personaggio in questione non si era mosso e fissava con aria lugubre il pavimento. — In tutta franchezza, mio Signore, credo che abbia visto davvero qualcosa, lassù.

— Qualche squatter? - chiese Prou.

— Non lo so, signore, ma ci sono particolari che non quadrano. Secondo la descrizione di Hugo, le creature sono davvero molto strane. Per questo pensavo che Sua Eccellenza il Prefetto potesse volervi incaricare di sengare le colline. Siete in grado di scoprire se ci sono degli squatter del Popolo delle Nevi acquattati lassù. E se invece si tratta di qualcos’altro… — Gli mancò la voce.

Moragha si chiese brevemente perché la cattiva sorte si accanisse sempre contro di lui. Il principe imperiale era uno zotico senza qualità, una macchia sull’onore della famiglia reale, ma risultava comunque primo in linea di successione e sarebbe sicuramente arrivato in prefettura l’indomani. La visita era molto importante per lui, ma ecco che all’improvviso sorgevano dei problemi. Una vera ingiustizia. D’altra parte, e il pensiero lo consolò, nell’improbabile eventualità che il Popolo delle Nevi fosse arrivato davvero vicino alla città, il fatto che lui sventasse l’attacco proprio alla vigilia della visita imperiale avrebbe rappresentato un insperato colpo di fortuna. Anche se per garantirselo doveva trattare con quel Corporato.