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Questa volta la pausa fu ancora più lunga. La ragazza rimase seduta rigidamente sulla panca intagliata, mentre l’acqua colava lentamente dal suo vestito riero. Seguiva con gli occhi Samadhom che si era avvicinato per annusare. Pelio se ne sentì quasi geloso. Era raro che l’animale mostrasse interesse verso altre persone. Forse, in quel momento avvertiva le particolari somiglianze tra lui e la fanciulla. Alla fine, l’orso mise la testa massiccia in grembo alla prigioniera e alzò il muso peloso per guardarla. Meep?

Lei lo accarezzò, prima di rivolgersi di nuovo a Pelio. — Veniamo da lassù. — Alzò il braccio snello e indicò un punto vago nel cielo oltre la finestra.

Il principe avvertì l’irritazione montargli alla testa. Da una delle Lune, forse? La ragazza mentiva. Non che le Lune fossero irraggiungibili. La Corporazione era in grado di rengare oggetti fin lassù. Ma le lune si muovevano a velocità straordinaria. Saltare su una di loro sarebbe stato un suicidio, come teletrasportarsi agli antipodi. Eppure doveva chiederlo.

— Dalle lune?

— No. Da molto più lontano.

Più lontano? Dal sole? Dai pianeti? Nemmeno i Corporati riuscivano a sengare simili distanze. — Da dove, esattamente? chiese.

Lei raddrizzò impercettibilmente la schiena. — Non… posso dirlo.

— Non puoi o non vuoi, Ionina? — Dimenticò quasi la sua bellezza, tanto era grande il mistero suscitato dalle sue parole. Si sollevò, protendendosi attraverso la scrivania. — Riuscirò a farmelo dire comunque, Ionina. Da dove venite?

Lei parlò con durezza, in un linguaggio sconosciuto. Aveva perso l’aria timida. I morbidi contorni bruni del suo viso divennero una maschera di legno e gli occhi sembravano dire: Torturami pure, ma non ti dirò una sola parola. Il principe si sentì come il personaggio di una favola per bambini. Aveva catturato un elfo dei boschi che lo avrebbe fatto impazzire con la sua bellezza e la sua ostinazione.

Si lasciò ricadere indietro sulla sedia, mentre un’altra ipotesi gli si affacciava alla mente. Scrutò di nuovo la prigioniera.

— Scommetto che avete paura. Pensate che l’esercito del Regno d’Estate verrà a invadere le vostre terre se riuscirà a scoprire dove sono. — La ragazza si era irrigidita, o era solo una sua impressione? — Anzi, scommetto che siete una razza di witling, rintanati in qualche angolo oscuro del mondo.

— Witling?

Pelio per poco non scoppiò a ridere. — Quello che sei tu. Una persona che non può teletrasportarsi, e che non riesce a kengare nemmeno un lombrico a dieci piedi di distanza.

La ragazza si limitò a sorridere, e lui non riuscì a leggere più nulla nel suo sguardo. Rimase incerto. Per un attimo ne aveva quasi avuta la certezza. Del resto, quello era sempre stato il suo sogno: che esistesse da qualche parte una razza di gente come lui. Una razza composta interamente da persone di facoltà limitate, che vivevano su qualche isola in un angolo remoto di Giri. Ionina sarebbe stata la rappresentante ideale di quel regno di sogno, perché era una witling eppure si comportava da nata libera.

Pelio sospirò. — E va bene, Ionina, non ti seccherò più con questa domanda. — Almeno per il momento. - E ti risparmierò anche le altre, che sono molte. Non abbiamo neppure affrontato l’argomento del mostro volante abbattuto e di quell’altro strisciante che vi accompagnava. Ma, come ho detto, qui da me sei un’ospite. Sono disposto a fornirti informazioni, se le desideri. Mi hai già detto qualcosa su di te, ora vuoi vedere il resto del palazzo?

Lei annuì. — Sei sicuro che in questo modo non metterai a repentaglio la sicurezza del tuo regno? — Chissà come, riuscì a sembrare timida e sarcastica al medesimo tempo.

— Oh, no! — Il principe rise. — Siamo così forti che non abbiamo bisogno di grandi segreti. — Si alzò e la invitò a seguirlo verso l’ampio davanzale in marmo della finestra esposta a nord. La ragazza camminava con una grazia tutta particolare, capace di trasparire anche dal costume nero fradicio e informe. Pelio sfiorò con le dita l’indumento verde scuro steso al sole sul davanzale. Lo aveva preso dal guardaroba del suo harem regolamentare. Il tessuto era così fine da risplendere, bagnato o asciutto che fosse, e in entrambe le condizioni sarebbe stato comodo e leggero. Lo stile era semplice, con una sola fila di rubini sul bordo superiore, ma nell’insieme era il vestito più bello che potesse offrire alla ragazza senza suscitare commenti tra la servitù. Sollevò quella nuvola verde dal davanzale e lo porse a Ionina.

— Prendilo. È per te.

— Grazie… — Lei lo esaminò, prendendolo a rovescio. — Che cos’è?

La domanda lo stupì. Non riusciva a pensare alla ragazza come a una selvaggia. — È un vestito, naturalmente. — Lo rivoltò e glielo mise davanti nella posizione corretta. — Ecco, il bordo superiore va qui e il resto basta che ricada in basso. — Avvicinò le mani, senza però nemmeno sfiorarla. — Lo puoi indossare nell’alcova.

Ionina disse qualcosa di incomprensibile. Sembrava in lotta con se stessa, e i suoi grandi occhi color nocciola evitavano di guardarlo. — Posso comunque conservare gli indumenti che porto adesso?

Pelio cercò di non mostrare la propria irritazione. — Certo.

La ragazza annuì e scomparve nell’alcova. Com’era possibile che una creatura così incantevole desiderasse vestirsi come un sodomita?

Passò un minuto e Ionina uscì dall’alcova. Il vestito le rendeva pienamente giustizia. Era ancora più bella di quanto i precedenti indumenti avessero lasciato intuire. Lei rimase ferma, con le lunghe gambe snelle tese e le mani sui fianchi, a guardarlo con aria di sfida.

Pelio trattenne le parole che gli erano salite spontanee alle labbra. — Il vestito ti dona, Ionina. Adesso sembri l’ospite perfetta di un principe imperiale. — Indicò la spilla d’argento che le pendeva lungo la curva del fianco. — La chiusura non è allacciata bene, però. Ecco. Sei pronta a vedere il palazzo.

Lei annuì con un pizzico di incertezza, e sollevò tra le mani i vecchi indumenti fradici.

— Lasciali sul davanzale — suggerì Pelio, tirando la corda del campanello. — Prometto che nessuno li toccherà. — Ancora prima che finisse la frase, le sue due guardie del corpo uscirono dall’acqua e si misero sull’attenti davanti a lui. Senza le loro proprietà di rengaggio, il principe non poteva muoversi nel palazzo più di quanto non potesse Ionina. — All’Ala Sud — comandò. — Nella Galleria.

La Galleria e lo studio di Pelio si trovavano alla stessa distanza dall’equatore, l’una a sud e l’altro a nord, distanziati tra loro da più di milleseicento miglia. Quando Pelio e gli altri sbucarono nel punto di destinazione, il pavimento e la superficie della polla sembrarono inclinati, il che non era affatto sorprendente considerato che si trovavano a quasi venti gradi di latitudine di distanza dall’Ala Nord. Ionina si tirò su dall’acqua e rimase per un attimo in punta di piedi, incerta sull’improvviso cambio di posizione del “basso”. Pelio e gli altri uscirono sguazzando e lasciarono Samadhom da solo, con le due zampe anteriori sul bordo della polla. L’animale scalciò energicamente e produsse una serie di furibondi ma fiochi meep, meep mentre cercava di tirarsi fuori. Razza di mangione sfaticato!, pensò Pelio prendendo l’orso da guardia per la collottola e tirando le sue centocinquanta libbre di ciccia sul pavimento.