La Galleria si trovava sulla collina più bassa ai piedi del monte Thedherom. La veduta non era più spettacolare di altre nei dintorni del palazzo, ma Pelio aveva scelto quel posto per una ragione precisa. Con la cerimonia di benvenuto del nuovo ambasciatore del Popolo delle Nevi in corso nella Sala Alta e nel Torrione, quel giorno la Galleria sarebbe stata pressoché deserta. Aveva ragione. Le uniche persone in vista erano un gruppetto di giovani nobili che si godevano un pic-nic a cinquecento piedi di distanza sulla splendida balconata naturale che costituiva la Galleria.
Il principe condusse Ionina oltre la piattaforma di roccia, fino al prato. L’erba era verdissima e morbida sotto i piedi nudi, e la pioggia primaverile aveva lasciato la lucentezza dell’acqua sulle foglie e sui rami delle siepi. Alle loro spalle, le guardie del corpo rimanevano in vista, appena fuori dalla portata delle orecchie. Pelio indicò il mare di fiori rossi che tappezzava le colline verso nord, fino ai fianchi del Thedherom. Fiorivano solo tra la primavera e l’estate, ma quando la stagione fredda si avvicinava era sempre possibile ritrovarli nell’Ala Nord, dove le stagioni erano al contrario. Verso sud, lontano dalla cima innevata e coperta di nuvole del Thedherom, la distesa di pianure verdi si spingeva quasi fino all’orizzonte. Lì si univa a una vaga striscia color bruno polveroso, il Grande Deserto, dove vivevano i più tenaci nemici del Regno d’Estate. Pelio non se ne faceva un grande problema. Secondo lui, il Popolo del Deserto era rozzo e primitivo. Costituiva una minaccia solo perché attaccava i feudi di confine. Tuttavia dispiaceva ricordare che soltanto due generazioni prima il Grande Deserto, per quanto poco popolato, era stato un fedele suddito del Regno d’Estate.
Ionina non prestò attenzione alla striscia marrone. Piuttosto, indicò una processione di minuscole figure a circa un miglio di distanza, nel punto in cui le colline ai piedi del Thedherom digradavano, fino a trasformarsi in pianura.
— Pellegrini — spiegò Pelio. — Sono diretti qui lungo la Strada di Dgeredgerai.
— Sono witling, allora.
— No. Probabilmente si tratta di allievi soldati o servitori in tirocinio. — La maggior parte degli Azhiri normali trascorreva un buon numero di novenali della propria vita in pellegrinaggio. Infatti, a meno di non essere un Corporato, era impossibile teletrasportarsi fino a una destinazione che superasse le poche iarde di distanza senza aver raggiunto quella stessa destinazione a piedi in precedenza. Al tempo in cui suo padre nutriva ancora qualche speranza che Pelio possedesse una certa quantità di Talento utile, anche il principe aveva percorso il palazzo in tutta la sua lunghezza, da nord a sud, per ben milleseicento miglia. Ne aveva così conosciuto la reale immensità, ma poco altro. Oh, in seguito era riuscito occasionalmente a sengare la presenza delle polle lungo la linea di confine, cosa che sarebbe risultata impossibile senza il pellegrinaggio, ma non poteva comunque usarle per teletrasportarsi da solo. Era umiliante, sebbene Pelio avesse a disposizione una quantità di servi in grado di accompagnarlo dove voleva. Senza contare che in ogni caso anche la maggior parte della gente normale dipendeva da rengatori di professione per effettuare salti a lunga distanza.
Trascorsero un’ora a esplorare le fontane e le stanze giardino della Galleria, prima di tornare finalmente alla polla di transito per saltare ottocento miglia più a nord, fino alla foresta pluviale a triplo strato che copriva la porzione equatoriale del Regno d’Estate. Lì il principe mostrò a Ionina le stanze costruite tra i rami degli alberi di legno duro che si alzavano dalle profondità fumose della vegetazione. Percorsero un ampio viale livellato su un fondo di rami e ascoltarono i ronzii e le grida della vita che scorreva sotto di loro, nel verde fitto e scuro della foresta. Dai tronchi grigio-verdi simili a pilastri si alzavano odori non identificati, a volte allettanti e a volte vagamente sgradevoli.
Pelio continuava a parlare a ruota libera, ma per tutto il tempo osservava tra sé le reazioni della ragazza e ne ammirava il corpo bruno e snello. Ionina ascoltava con attenzione e le sue poche domande erano sempre sensate, anche se a volte un po’ ingenue. Ogni tanto gli rivolgeva uno sguardo di approvazione e lui si chiedeva come lo giudicasse. Non restava a bocca aperta di fronte a ciò che le veniva mostrato, come succedeva invece a molti rappresentanti della piccola nobiltà che venivano dalle baronie più lontane a visitare per la prima volta il palazzo. Da qualche parte, pensò il principe, lei doveva aver visto cose anche più impressionanti. Ma dove? Dimenticò Samadhom, sempre a pochi passi di distanza, e anche le guardie del corpo.
Per il pasto di mezzogiorno si fermarono nel padiglione di caccia affacciato sulle pianure di Dhendgaru. La sala da pranzo era virtualmente deserta. Con tutta la nobiltà riunita nel Torrione per il ricevimento dell’ambasciatore, lui e Ionina avevano l’opportunità senza precedenti di scorrazzare per tutto il palazzo senza farsi notare. Pelio preferiva non pensare al rovescio della medaglia. Il fatto che suo padre non gli avesse nemmeno chiesto di assistere al ricevimento era solo un’altra conferma di quanto lui fosse stato allontanato dai centri di potere. Quando un giorno avesse davvero ereditato la corona, sarebbe stato il primo monarca fantoccio dopo secoli di storia.
Di solito, il pensiero lo avrebbe fatto ammutolire, ma quel giorno niente sembrava avere più grande importanza. La bvepa in salsa rosa era deliziosa, anche se Ionina non la finì. Sembrava più interessata alla distesa argentata dei campi di grano che si stendevano ondulati fino all’orizzonte. Pelio si trovò a spiegarle in che modo il raccolto di tutte quelle centinaia di miglia quadrate venisse mietuto e teletrasportato nelle foreste per dar da mangiare agli animali che costituivano la base della loro alimentazione. Dalle sue domande capì che, nel posto da dove veniva, i contadini tenevano il bestiame in alloggi appositamente costruiti e che li alimentavano con il prodotto dei campi vicini. Il che confermava la sua teoria. Solo le persone con dei precisi limiti mentali avevano bisogno di concentrare in quel modo la loro produzione di cibo.
7
Trascorsero il pomeriggio rengando nel palazzo. Le stanze non distavano mai più di una lega l’una dall’altra, così anche se l’immenso edificio si stendeva per ottocento miglia a nord dell’equatore, per altrettante a sud e per trenta sia a est che a ovest del meridiano reale, qualsiasi posto al suo interno era raggiungibile con due o tre salti al massimo. Le ore passarono e le ombre incominciarono ad allungarsi. Attraverso le lunghe finestre della stanza dei giochi Pelio scorse a ovest i primi colori del tramonto.
Guardò il tavolo da gioco. Ionina sedeva protesa in avanti, concentrata sulle palle d’argento che lui aveva appena fatto rotolare sul piano. Parve avvertire il suo sguardo e alzò gli occhi.
— C’è qualcos’altro che vorresti vedere dopo che avremo finito la partita, Ionina?
La ragazza si raddrizzò di colpo, dimenticando il gioco. Schiuse le labbra, ma rimase in silenzio per parecchi secondi, come per riflettere. Sulla terrazza sotto di loro alcuni altri meccanismi continuavano rumorosamente il loro corso.
— Sì — rispose lei alla fine. — Quando Ajao e io siamo stati… presi dai soldati, avevamo con noi molte cose. Posso vederle? Sono solo poveri oggetti ormai inutili, ma mi farebbe felice vederli.
È una bugia, pensò Pelio. Ricordò i frammenti recuperati dalle truppe. Erano strani, come gioielli dalla forma insolita. Se fosse stato superstizioso li avrebbe chiamati talismani. Tornò a specchiarsi negli occhi misteriosi della ragazza. Ebbene, mi presterò volentieri al tuo gioco. Poteva essere un’ottima occasione per scoprire di più sulle origini di Ionina, e anche se c’era qualcosa di magico connesso a quegli oggetti non avrebbe potuto causare guai il solo vederli. L’unico problema era che lui li aveva nascosti nel suo magazzino personale nel Torrione.