Il trattamento era molto diverso da quello che aveva ricevuto in mattinata, quando era stata tirata giù da un giaciglio di paglia in una cella senza porte e trasportata senza tante cerimonie da una polla d’acqua all’altra. Ora le guardie la trattavano quasi con sollecitudine e dopo che il principe imperiale le aveva augurato la buona notte lei era persino riuscita a convincerle ad accompagnarla nella stanza a piedi piuttosto che attraverso le polle di transito.
Ajao aveva ragione a proposito del giovane Pelio. Come figlio numero uno del tizio che contava di più in tutto il continente, il ragazzo era maledettamente viziato. Tuttavia, non c’era voluto molto per capire che dietro a tutte le sue fanfaronate si nascondeva una sorta di toccante ingenuità. La cosa l’aveva lasciata perplessa per tutto il giorno finché lassù, in quella strana stanza gelida, lui non le aveva confessato di non essere in grado di teletrasportarsi più di quanto non lo fosse lei. Sembrava quasi la confessione di chissà quale terribile malattia, e forse per lui lo era veramente, povero diavolo.
L’ammissione era una prova in più che gli Azhiri non necessitavano di nessuna supertecnologia. Certo, avevano le loro forme di artigianato, come la lavorazione del ferro e simili, ma tutte le incredibili operazioni che eseguivano erano applicazioni dirette del “Talento” di cui la maggior parte di loro era dotata fin dalla nascita. Lei non ne era stata convinta del tutto finché non aveva visto quello che passava per.”servizi igienico sanitari” tra le classi alte. Gli aggeggi appositi erano intagliati nel marmo e nel quarzo, ma il sistema di scarico non era molto diverso da quello di un comunissimo cesso all’aperto.
Tutto considerato, non le era sembrato pericoloso dire a Pelio che nessun esponente della sua razza sapeva te1etrasportarsi. E la dichiarazione sembrava aver mandato il ragazzo addirittura in estasi.
Attraverso le foglie e i tronchi degli alberi comparve un guizzo di luce gialla. Il sentiero si snodava per altri quindici metri, prima di allargarsi in uno spiazzo sul fianco della collina e al chiaro di luna, Yoninne vide una grande capanna costruita secondo il solito stile, in pietra e legno. Ma questa aveva una porta ritagliata nella parete! La luce tremula che proveniva dall’interno dipingeva un trapezoide giallastro sul terreno ricoperto di muschio.
La ragazza attraversò la porta intagliata di fresco e Ajao Bjault distolse lo sguardo dalla torcia a parete che stava esaminando.
— Yoninne! — Dopo un’intera giornata passata in compagnia di facce grigio-verdi, la pelle color cioccolato e i candidi capelli crespi dell’archeologo le sembrarono quasi irreali. Lo sguardo del vecchio passò rapidamente da lei ai due Azhiri ancora immobili nel buio al di là della stanza. — Non vi ho sentito arrivare. Stai bene?
Yoninne sorrise. L’udito di Ajao era così debole che probabilmente non si sarebbe accorto nemmeno dell’arrivo del giudizio universale. Mosse un passo all’interno della stanza e udì le due guardie ritirarsi alle sue spalle. — Sto bene. Davvero.
L’altro la guardò con aria un po’ perplessa. — Ti piace questo posticino? — chiese. — Mi hanno portato qui poco prima del tramonto. Un bel miglioramento. — Yoninne si guardò intorno. Come molte altre costruzioni isolate che aveva visto durante il giorno anche quella era costituita da una stanza singola, con una polla di transito al centro. Pelio aveva mantenuto la promessa: il nuovo alloggio non aveva certo l’opulenza degli appartamenti imperiali, ma sembrava abbastanza confortevole. Yoninne si rannicchiò tra i cuscini di una poltrona e all’improvviso si sentì stanchissima, ma stranamente appagata. La cena era stata superba. Il piombo e il mercurio contenuti nei generi “commestibili” del luogo alla lunga si sarebbero rivelati letali, ma di certo non rovinavano il sapore del cibo.
Ajao continuava ad avere l’espressione perplessa. — Cercavo di rendere queste torce più luminose — spiegò. — Non sono semplici pezzi di legno. Hanno uno stoppino, all’interno… — Si allontanò dalla mensola che sosteneva la torcia e dalla soglia spiò l’oscurità che li circondava. Poi si girò di nuovo verso Yoninne. — Non so il perché di tanta prudenza, dato che non possono capire una parola di quello che diciamo. — Osservandolo con più attenzione, lei capì che era stanco e nervoso. E continuava ad avere l’aria di non credere a ciò che vedeva. — Hai avuto fortuna, Yoninne?
— Quale fortuna?
Lui si accigliò. — Il maser, Yoninne. Il maser.
— No. Ma non preoccuparti, riusciremo a… — Le si incrinò la voce. Tacque, e l’atteggiamento pacifico svanì di colpo, come se qualcuno le avesse dato uno schiaffo in pieno viso. Finalmente si rese conto di ciò che l’altro vedeva e capì lo sguardo perplesso nei suoi occhi. Bjault vedeva Yoninne Leg-Wot, la donna pilota tozza e con il seno piatto. Si guardò e scorse l’indumento che aveva chiamato vestito, una specie di corto gonnellino verde, sufficiente appena a contenere i suoi ampi fianchi. Era andata in giro per tutto il giorno vestita come una grassona stupida e con le gambe corte. Balzò in piedi e si sentì sommergere da un’ondata di umiliazione. Quel vecchio bastardo decrepito continuava a starle davanti e a guardarla con aria di commiserazione.
— Crepa, Bjault — mormorò lei con voce strozzata prima di correre inciampando verso l’alcova che serviva da bagno. Chiuse con uno strattone la tenda e si strappò via il gonnellino corto. La tuta di volo era ancora bagnata, ma la indossò ugualmente con pochi movimenti rapidi. Tirò la cerniera diagonale e rimase per alcuni secondi in silenzio davanti allo specchio. Con addosso la tuta di volo era di nuovo la donna pilota gelida ed efficiente.
Scostò la tenda e ritornò nella stanza, con gli stivali inzuppati che facevano squash-squash. Il vecchio era ancora addossato con fare nervoso al lato più lontano della stanza. — Sai, Yoninne — disse con il suo solito tono incerto e diffidente — non sei l’unica persona che ha avuto una giornata spiacevole. Fino a stasera sono rimasto rinchiuso in quella cella a chiedermi cosa ti avessero fatto… e cosa avrebbero fatto a me. Io…
Leg-Wot alzò la mano. — D’accordo, Ajao. Scusami se ti ho mandato a quel paese. Dimentichiamo tutto, va bene? — Sistemò il proprio dolce peso sui cuscini e sentì il materiale freddo della tuta premerle gradevolmente contro la schiena. — Allora, vuoi sentire che cosa ho fatto oggi?
L’altro annuì e si sedette sulla poltrona di fronte.
— Prima di tutto — incominciò la ragazza — sono convinta che le tue idee a proposito della capacità di teletrasportarsi degli Azhiri siano assolutamente corrette. Ho visitato il palazzo in lungo e in largo, spedita di qua e di là come un pacco postale. Per la maggior parte del tempo sono riuscita a tenere d’occhio il sole, così ho fatto una stima di massima delle distanze coperte e delle direzioni in cui ci siamo mossi. E le stime corrispondevano abbastanza bene al senso di vertigine che sentivo, proprio come tu avevi previsto. — Yoninne era solo una modesta operatrice elettronica, ma come conoscitrice d’istinto delle lunghe distanze era eccezionale, la migliore pilota aerea in tutta la colonia di Novamerika. Aveva un infallibile senso delle accelerazioni in strutture rotanti di riferimento, ed era appunto quella la dote che aveva sfruttato quel giorno per individuare la loro posizione durante gli spostamenti effettuati. A volte, Yoninne rimpiangeva di non essere vissuta al tempo dell’Ultima Guerra di Interregno sul Mondo Natale, quando i combattimenti aerei avevano fatto la loro prima e unica comparsa nella storia del pianeta. Avrebbe potuto mostrare a quei vecchi “assi” qualcuno dei suoi trucchi migliori.
— In ogni caso, il ragazzo di nome Pelio mi ha fatto visitare quella specie di parco sovradimensionato che lui chiama palazzo. — Leg-Wot continuò a descrivere i posti che aveva visto, la fortificazione sul fianco della montagna, la gigantesca casa sugli alberi, eccetera. Le domande di Bjault le riportarono alla memoria una quantità di altri dettagli e così parlarono per ore, finché lei non ebbe quasi la sensazione che l’archeologo si fosse creato un quadro d’insieme addirittura più chiaro del suo.