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Il che non rispondeva comunque all’interrogativo di Bjault. — Ma perché devono capovolgere le navi?

Pelio si strinse ancora nelle spalle. — La gente al Polo Sud cammina a testa in giù, rispetto a noi. È più facile rengare una barca se viene prima girata in modo da puntare già la chiglia verso il punto di destinazione. E questo vale anche per i salti che abbiamo già compiuto, anche se forse non avrai notato le variazioni di assetto, dato che sono state quasi impercettibili.

Sembrava una sciocchezza, eppure Ajao la collegò subito alle leggi di conservazione dell’energia. Se non fossero state necessarie variazioni, si sarebbe potuto costruire una macchina per il moto perpetuo teletrasportando un pendolo su e giù tra il Polo Nord e il Polo Sud. Un fatto interessante e curioso, ma per il momento a lui non venne in mente nient’altro da chiedere. E Pelio non sembrava interessato a proseguire la conversazione. Nonostante tutti gli uomini sul ponte, il ragazzo era completamente e inesorabilmente solo. Ajao sospirò e tornò al suo posto.

Il loro arrivo al Polo Nord fu brusco e inaspettato. Si trovarono di colpo a galleggiare in un nuovo lago, molte volte più ampio di quelli precedenti… Lì il traffico era pesante, come se il lago rappresentasse il punto di intersezione di molte strade importanti. I magazzini di ghiaccio circondavano l’acqua da ogni parte e molti erano collegati da passaggi coperti di cui si intravedeva appena il tetto tra i minuscoli fiocchi di neve che turbinavano sull’acqua sospinti dal vento di pianura. Se quegli edifici nani erano il palazzo di cui avevano tanto sentito parlare, rappresentavano proprio una delusione.

Invece, Pelio indicò qualcosa all’orizzonte. In lontananza, Ajao scorse una moltitudine di cupole basse e di torri tozze che scintillavano di un bel colore azzurro argentato sotto il chiaro di luna. Qua e là, le superfici ricurve erano interrotte da minuscole fessure.

— Sono finestre — spiegò Pelio, dietro gentile ma insistente richiesta di Ajao. — Le torri di avvistamento misurano circa duecento piedi in altezza. In un certo senso, il Palazzo del Re delle Nevi è ancora più sicuro del Torrione di mio padre. A entrambi i poli, l’edificio è circondato da centinaia di miglia di ghiacci. Qualunque pellegrino che si avventurasse fin qui sarebbe avvistato dalle torri molto prima di raggiungere il Palazzo.

Sessanta metri di altezza, pensò Ajao sbalordito. Quella cifra poneva il palazzo in una nuova prospettiva. Qualcuno doveva conoscere almeno le principali leggi della statica, per erigere una costruzione del genere con il ghiaccio. L’edificio apparteneva a una classe del tutto diversa rispetto alle squallide capanne di neve incontrate lungo la strada.

Il pilota locale aprì a fatica un boccaporto e si sporse per gridare qualcosa alla coppia di figure mascherate e intabarrate, ferme sul molo spazzato dai venti. I due ascoltarono per un attimo, poi fecero ampi cenni con la mano e arrancarono lentamente per tornare all’interno del loro posto di guardia. Il pilota chiuse il boccaporto e il torrente di aria gelida che si era riversato sul ponte divenne solo un ricordo.

— Abbiamo ottenuto il permesso di entrare nel lago di transito all’interno del Palazzo — commentò Pelio. — Laggiù sarà più facile controllare lo scafo e ripulire i vetri dalle incrostazioni… Non mi aspettavo tanta cortesia.

Una coppia di luci gialle scintillò all’interno di una delle torri del palazzo. Il pilota osservò le luci, annuì e si sedette. Si concentrò un attimo per quell’ultimo salto, e finalmente si ritrovarono all’interno del Palazzo delle Nevi. Il luogo, vastissimo, sarebbe stato completamente immerso nel buio se il chiaro di luna che filtrava dalle fessure della cupola non lo avesse illuminato. La nave galleggiava in una polla di cinquanta metri di diametro e attorno alla riva un anello di pilastri ampi come la polla stessa salivano affusolati verso il soffitto. Nonostante tutta la loro apparente solidità, il chiaro di luna rendeva le colonne traslucide. Gli spigoli delle scanalature, affilati come lame, erano addirittura, trasparenti. Gli uomini dell’equipaggio unirono le forze per aprire il boccaporto principale e Ajao ebbe modo di vedere che il terreno attorno alla polla era ingombro di ghiaccio e di neve. Una strana trascuratezza, considerata la perfezione geometrica di tutto il resto. In ogni caso, l’aria che entrava attraverso il boccaporto sembrava più calda di quella all’esterno del Palazzo e, particolare ancora più importante, non c’era vento.

All’improvviso, gli uomini vicino all’uscita scivolarono lentamente in ginocchio e caddero sul ponte esterno. Pelio si alzò, per raggiungerli, ma il navigatore capo fece cenno ai tre witling di restare indietro, mentre lui e gli altri membri dell’equipaggio si precipitavano verso le figure ormai immobili. Bjault sentì le dita di Yoninne Leg-Wot artigliargli il gomito. — È gas — bisbigliò la ragazza, in lingua natale. E nel momento in cui lo disse, lui capì che aveva ragione. Aveva partecipato a un numero sufficiente di esercitazioni spaziali per riconoscere quel particolare caso di emergenza.

Ormai, la maggior parte dell’equipaggio era raggruppato attorno ai compagni caduti. — Credete che siano stati kengati, Capitano? — chiese uno, rivolto al navigatore capo.

L’ufficiale scosse la testa, irritato. — Non avete percepito nessun attacco, no? E poi, anche il pilota locale è a terra. — Gli si piegarono le ginocchia mentre stava ancora parlando. Ricadde pesantemente in avanti, sopra gli altri corpi. Attorno a lui, le grida di terrore si trasformarono rapidamente in suoni strozzati, mentre anche gli altri seguivano la stessa sorte. I due Novamerikani trattennero il fiato mentre gli Azhiri cadevano uno dopo l’altro, prima quelli vicino all’uscita e poi, a mano a mano, quelli più lontani. Alla fine, solo Leg-Wot e Bjault rimasero in piedi. Si fissarono in silenzio, impotenti. Sapevano che cosa stava succedendo ma non potevano farci niente.

Alla fine, Ajao fu costretto a inspirare. Non avvertì nessun odore particolare, niente di corrosivo almeno, ma all’improvviso si ritrovò in ginocchio, mentre la realtà scivolava via. Da qualche parte, chissà dove, udì Leg-Wot che imprecava tra sé, mentre accettava anche lei l’inevitabile.

15

La luce del giorno. Fu la prima sensazione che Yoninne avvertì mentre lottava per riprendere conoscenza. Un’allegra luce gialla che penetrava dietro le palpebre e le ricordava le mattine di primavera sul Mondo Natale. Ma le dita erano indolenzite e la schiena sembrava paralizzata dal freddo. Dove si trovava? Aprì gli occhi e fissò i riflessi abbaglianti della luce del sole che scendevano dai pilastri ghiacciati e dalla cupola che la sovrastava. Il Palazzo delle Nevi! Erano ancora intrappolati lì dentro. Solo che adesso il sole era alto, così alto nel cielo che i suoi raggi cadevano direttamente sul pavimento vitreo e scintillavano sulle infinite lame e sfaccettature dei pilastri di sostegno alla cupola. Impossibile! Il sole non sarebbe sorto sul Palazzo delle Nevi fino a primavera…

Qualcuno si lamentò, poco lontano. Con un grande sforzo, Yoninne si rialzò a sedere e spinse lo sguardo al di là del cumulo di pelli tinte su cui era adagiata. C’erano Pelio e Bjault. Il primo aveva l’aria di essersi svegliato già da parecchi minuti. Yoninne distolse in fretta lo sguardo. Era stato Ajao a lamentarsi, mentre incominciava a rinvenire. Lei strisciò sulle pelli per raggiungerlo.

— La luce. Da dove viene tutta questa luce? — domandò.

Pelio increspò le labbra, ma non disse niente.

— Sembra proprio che ci abbiano scaraventati al Polo Sud — rispose Bjault con un filo di voce.

Chi? Leg-Wot seguì la direzione del suo sguardo. Gli autori dell’impresa erano evidentemente uomini appartenenti al Popolo delle Nevi. Un po’ più in là, a circa dieci metri di distanza, c’era un grosso assembramento di servi e soldati. Altri cinque individui, vestiti solo di pantaloni e gambali pesanti riccamente ingioiellati, sedevano attorno a un tavolo ricoperto di pellicce. Lei ne riconobbe uno, il personaggio ambiguo e untuoso che aveva già incontrato una volta nel Palazzo d’Estate… si chiamava Bre’en, se non ricordava male. Anche adesso che erano svegli, i rapitori continuavano a fissare i tre witling con aria impassibile, come avrebbero fatto con un trio di insetti da esposizione. Accanto al tavolo c’era lo scafo nero della scialuppa di ablazione che lei e Ajao avevano sistemato con tanta cura nella stiva del vascello di Pelio. E lì, sul tavolo, c’erano le mitragliatrici, il maser, e persino il machete del corredo di sopravvivenza. Tutti e tre erano stati così sicuri che solo un Corporato o un nobile della corte di Tutt’Estate avesse potuto svaligiare il Torrione da infilarsi spontaneamente proprio nelle mani del loro vero nemico!