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Gli avvenimenti si susseguirono tanto in fretta che lui faticò a seguirli. Alla sua destra, Leg-Wot si alzò in ginocchio, puntando la mitraglietta contro i tre indigeni. Si udì di nuovo il suono secco di poco prima. La neve l’avvolse e lei venne scaraventata all’indietro.

Il primo soldato la raggiunse in un batter d’occhio. — Là! Ecco perché non hai tentato di fuggire. — Sembrava all’improvviso più rilassato, quasi gioviale. — Sei una witling. - Ajao sollevò appena la testa. La neve scendeva fitta come prima dell’atterraggio, ma alla luce discontinua del fuoco lui scorse parecchi altri soldati nelle immediate vicinanze. Gli uomini stavano sistematicamente setacciando il campo innevato. Erano distanziati di cinque metri l’uno dall’altro, proprio come soldati moderni attenti a evitare il fuoco delle armi automatiche. Perché?

Due mani forti lo afferrarono sotto le ascelle. — Ne abbiamo preso un altro, Dgedga — gridò l’uomo che lo aveva catturato. — Anche questo è un witling. — Il soldato gli tolse la pistola e lo portò, un po’ trascinandolo e un po’ sollevandolo, oltre la slitta, verso Leg-Wot. Lo lasciò cadere accanto alla ragazza e scomparve di nuovo nella tormenta. C’era qualcosa di umiliante nell’indifferenza con cui vennero lasciati lì, apparentemente senza sorveglianza. L’oscurità era tornata, ma Ajao udì i soldati muoversi su e giù lungo il fianco della collina, sondando la coltre di neve. In pochi minuti gli Azhiri scoprirono la scialuppa di ablazione e il suo paracadute in fiberene.

Quello chiamato Apfaneru parlò ad alta voce. — Il quarto gruppo rimarrà qui per la notte. State all’erta. Potrebbero esserci altri mostri. I capigruppo potranno chiamare aiuto al minimo segnale di pericolo. Il secondo e il terzo gruppo recupereranno ciò che rimane dei due mostri. Il primo gruppo porterà i witling nella prigione più profonda di Deleru Moragha.

Ancora una volta Ajao venne preso e trascinato sulla neve. Dietro di lui, per quello che riuscì a capire, anche Leg-Wot subiva lo stesso trattamento. Qual era la gravità delle sue ferite? E se non fosse stata solo svenuta?

Si fermarono e Bjault si rialzò in piedi. Vide qualcosa che assomigliava a una pentola d’acciaio, larga forse due metri. Era sospesa su un massiccio treppiedi di legno, e al di sotto un soldato cercava di mantenere vivo il fuoco con un po’ di legna minuta. Con un improvviso brivido di paura, Ajao capì che la pentola era piena d’acqua. Lottò come un pazzo per liberarsi del soldato che l’aveva catturato, ma l’uomo non aveva di certo i suoi stessi problemi di gravità. Ajao venne sbattuto a terra.

— Witling, se non vuoi rischiare di essere ferito salirai lì dentro. — Il soldato contribuì a rendere la scena ancora più assurda girandosi e salendo l’angusta scaletta di legno che conduceva sopra le fiamme fino al bordo della pentola. Quando saltò all’interno si udì l’inconfondibile rumore di un tuffo.

Bjault rimase per un attimo a fissare il vuoto. Qualcuno lo spinse da dietro, senza tante cerimonie.

— Hai sentito che cosa ti ha detto, witling? Muoviti!

Lui mosse qualche passo in avanti e incominciò a scalare in modo goffo i pioli troppo ravvicinati. Dietro di lui, un altro soldato trascinava su per la scala Leg-Wot, la quale incominciava a manifestare le prime deboli reazioni. Ajao si fermò sul bordo della pentola e guardò giù, ma per un attimo non vide nulla. Poi udì la voce del tizio che si era tuffato.

— Iou, l’acqua è gelata! Avremmo dovuto aspettare che il fuoco la riscaldasse ancora un po’. — L’indigeno si teneva a un bordo con la mano, in modo che solo la testa affiorasse. — Saltate, voi due. Prima entrate e prima ne uscirete.

Bjault cercò di sedersi sul bordo, ma la neve aveva reso il metallo troppo scivoloso e così finì per cadere in acqua, con un tuffo maldestro. Signore, l’acqua era gelata davvero! Non avrebbe potuto sopportarla per più di tre o quattro minuti, senza la tuta riscaldata. Agitò le gambe per risalire in superficie e venne subito rispedito sotto dall’arrivo di Leg-Wot. Riaffiorarono insieme e la ragazza imprecò ad alta voce. Sta bene, dunque!, pensò Ajao sollevato. Frustò l’acqua in modo frenetico, cercando con la mano un appiglio, ma il soldato lo prese per una spalla.

— Da che mondo venite, voi due? Lasciatevi andare sotto.

Fecero come era stato loro ordinato. Ajao era arrivato al punto di pensare che il sogno si confondesse con la realtà. Guardò in su, attraverso l’acqua. L’oscurità non era più così completa. Per quanto strano, sopra di loro si intravedeva qualcosa di verde, del tutto diverso dalla luce di una torcia elettrica. Poi, le solite mani forti lo spinsero all’altezza delle natiche e lui affiorò insieme a Yoninne in superficie. Uscirono ansimanti dall’acqua, assistiti dal soldato che li seguiva. Bjault si accasciò, stordito, sul pavimento di pietra tiepida. L’aria puzzava di escrementi umani o peggio. Si trovavano in una camera squallida, larga non più di tre metri. Il riflesso verde proveniva da una specie di fungo fosforescente che pendeva a festoni dalla roccia nuda della parete. Non si vedevano porte, né bocche di ventilazione.

Il soldato oscillò sulla superficie verde e scintillante dell’acqua, con un sorriso stampato sulla faccia pallida. — Comodi? — Indicò con un gesto la roccia scura che li circondava da ogni parte. — Ci vorrebbe un Corporato per uscire di qui, quindi non credo proprio che il Prefetto si preoccupi della fuga di un paio di witling. - Tolse la mano dal bordo della polla d’acqua e scivolò di nuovo sotto la superficie. Yoninne si rialzò in ginocchio a fatica e strisciò fino al bordo. Ajao la seguì e insieme guardarono nell’acqua. La luce proveniente dall’alto era debole, ma sufficiente a lasciar vedere il fondo della polla. Nessuna traccia del soldato. L’archeologo tuffò la mano nell’acqua schiumosa.

Leg-Wot continuò a fissare l’acqua a lungo. — Stazioni di teletrasporto — disse alla fine. — Sono delle dannatissime stazioni di teletrasporto.

3

Il capolinea della Strada Reale era stato preparato con cura per l’arrivo del principe imperiale. A eccezione di una nave di scorta dell’esercito, arrivata pochi minuti prima, il lago era sgombro di traffico. Lungo il bordo dell’acqua, i primi ghiacci della stagione erano stati frantumati e le sculture in pietra lucidate. Molti novenali prima, il Prefetto aveva importato un giardino di giada ornamentale e l’aveva “piantato” lungo la parte del lago dove si trovava anche il molo. Gli alberi e i cespugli di pietra, in grandezza naturale, erano ornati da centinaia di fiori intagliati in topazi gialli e azzurri. Quella mattina, gli uomini della città avevano spolverato ogni traccia di neve dal giardino di giada, che ora splendeva di una grazia sterile.

I cittadini erano in piedi lungo il molo. Ognuno, uomo, donna o bambino, teneva in mano una piccola copia del tricolore imperiale, distribuita dagli uomini del Prefetto. I discorsi erano allegri e rilassati. Sebbene la partecipazione fosse stata quasi imposta, molti attendevano con autentica impazienza. La visita di un membro della famiglia imperiale rappresentava pur sempre un evento molto raro. Nessuno se ne rendeva conto con più ansia e più chiarezza del Prefetto in persona. Parapfu Moragha era in piedi sull’attenti, rigido, tra la banda della guarnigione e il giardino di giada.

Il sole splendeva alto nel cielo perfettamente azzurro del mezzogiorno, ma il vento che soffiava sul lago era gelato e le colline che gli facevano da sfondo, coperte di pini e di neve, lo rendevano simile a una pozzanghera di un blu glaciale sorpresa da un inverno precoce.