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In fondo al corteo i servi continuarono a teletrasportare la brezza calda dall’emisfero meridionale e accanto a Pelio il Prefetto incominciò a sudare sotto il pesante mantello di pelle decorata. Ma l’aria calda aveva ben poco a che fare con l’ostinato silenzio del principe: erano pochi gli adulatori capaci di sostenere la laconicità e lo sguardo impassibile che gli erano propri. A corte, quei silenzi glaciali venivano considerati un segno di rozzezza e di stupidità. Bisognava ammettere che dai modi di Pelio traspariva una certa arroganza, ma era dettata più che altro dalla sfiducia e dalla solitudine.

Finalmente, il discorsetto che Moragha si era preparato giunse al termine. I due camminarono in silenzio per parecchi passi, finché il principe non si rivolse al suo accompagnatore.

— Raccontatemi della schermaglia dell’altra notte, buon Parapfu.

— Come fate a… — Il Prefetto si interruppe e ricacciò indietro la sorpresa. — Non c’è molto da riferire, Altezza. La faccenda è ancora un mistero. I miei agenti hanno individuato degli intrusi sulle colline verso nord. Ho spedito sul posto le truppe della guarnigione, che hanno incontrato una grande creatura volante e l’hanno distrutta.

— E gli intrusi? — insisté il ragazzo.

Il Prefetto agitò la mano come per liquidare in fretta la faccenda. — Sono witl… gente di nessuna importanza, Altezza.

Witling! Dunque, il suo informatore anonimo aveva detto la verità. Witling che lottavano contro la gente normale, incredibile!

— Creature del Popolo delle Nevi? — domandò Pelio con noncuranza, cercando di nascondere l’emozione.

— No, Altezza. Almeno, non ho mai visto nessun Uomo delle Nevi che somigli a loro.

— Li interrogherò.

— Ma il Generale Barone Ngatheru ha inquisitori assai esperti ad Atsobi…

Ti contraddici da solo, idiota, pensò Pelio. Dunque hai davvero per le mani qualcosa di molto interessante.

— Gli stranieri sono già stati inviati nella sede della guarnigione?

— Uhm, no, Altezza. Si trovano in una delle prigioni sotto la mia residenza. Il Barone pensava che…

— Benissimo, Parapfu. Allora interrogherò questi strani prigionieri immediatamente.

Il Prefetto non era così stupido da opporsi a un capriccio imperiale, fosse pure del principe Pelio. — Certo, Altezza. Sarà più comodo usare la polla di transito della mia modesta casa.

Ormai avevano raggiunto la terrazza di quarzo rosa che circondava la residenza del Prefetto. L’edificio, sistemato a soli cinquecento piedi dal lago, si trovava cinquanta piedi più in alto sul fianco del crinale che difendeva il capolinea della Strada Reale dalla curiosità di chi si trovava a nord. Non c’era da stupirsi che Moragha non avesse suggerito di arrivare lassù via teletrasporto. Usare le polle di transito con quel clima doveva essere una faccenda gelida e sgradevole.

Come molti altri edifici delle regioni fredde, la residenza aveva una porta intagliata nel muro. A Pelio le porte piacevano. Gli garantivano quella mobilità che altri possedevano per natura. All’interno della prefettura lo spazio era troppo angusto perché gli addetti al riscaldamento compissero il loro lavoro, e di conseguenza le stanze risultavano fredde e stantie. La pallida luce che filtrava dalle finestre era molto meno allegra di quella che il principe era abituato a vedere nei grandi saloni da ballo del Palazzo d’Estate. Gli schiavi di Moragha circolavano tra i nobili offrendo dolci e bevande, e il Prefetto era persino riuscito a far arrivare un piccolo gruppo di cantanti da un posto a sud di Atsobi. Era una scena di festa… nei limiti del possibile.

Parapfu condusse il principe e le guardie lontano dalla folla e, attraverso un misero giardino interno, fino alla polla di transito della casa, dove i suoi servi stavano preparando dei galleggianti a tenuta d’acqua.

— La prigione è a circa 400 metri sotto il livello del suolo, Altezza — spiegò. — Ho pensato che la polla di transito sia l’entrata più conveniente.

Pelio annuì, infilandosi il galleggiante. Se Moragha fosse stato più abile avrebbero potuto saltare esattamente dal punto in cui si trovavano. Ma 400 metri erano un bel tuffo. Una volta il Prefetto aveva compiuto un balzo di 500 metri verso il basso, senza prima immergersi in una polla di transito, e lo sbalzo termico gli aveva procurato un mal di testa durato più di un novenale.

L’acqua nella polla era fredda e vischiosa, tanto che Pelio fu contento della tuta a tenuta stagna, nonostante la scomodità e la seccatura. La cosa dimostrava ancora una volta come l’unico posto decente per vivere fossero i tropici, dove l’inverno non veniva mai. Nell’acqua attorno a lui, mentre Moragha si preparava al salto, Pelio sengò una tensione familiare. Passò un minuto, la tensione si “ravvivò”, poi si concentrò su se stessa mentre l’acqua e il suo contenuto passavano dalla polla di partenza a quella di destinazione.

Sbucarono in superficie, mentre le guardie prendevano immediatamente posizione ai bordi. Pelio e Moragha si tirarono su e uscirono dall’acqua. L’ambiente puzzava e il fungo delle rocce sulla Darete mandava forti riflessi verdastri, segno che l’aria non veniva cambiata da molte ore. La prigione illuminata di verde era larga, e abbastanza calda, anche se si trattava solo di uno spazio cavo in un letto abissale di rocce. Senza l’attenzione costante dei guardiani che ne conoscevano la dislocazione, la cella sarebbe diventata ben presto una bara per i suoi prigionieri.

— Ehi, voi! In piedi! — ordinò Moragha con voce tagliente. Il suo uomo incominciò a sferrare calci alle sagome vestite di scuro sul pavimento. Pelio soppresse un sussulto quando il primo degli stranieri si alzò. La creatura (un uomo?) era tanto alta da raggiungere e forse superare i sei piedi, ma il particolare più grottesco era l’incredibile esilità delle sue membra. Sembrava che anche una semplice caduta sarebbe bastata a distruggerlo.

— In piedi, ho detto! Sull’attenti. Vi è stato riservato un onore immeritato. Alzati! — Moragha diede un calcio alla seconda creatura, che rotolò agilmente in piedi come se avesse aspettato all’erta per tutto quel tempo.

Per Pelio, il resto dell’universo si ritirò in una posizione di assoluta irrilevanza. Non udì le esclamazioni trattenute a stento dalle guardie. Non notò il silenzio che si dilatava all’infinito.

Lei era bellissima. In piedi, la ragazza era alta, almeno quanto Pelio, eppure snella come una femmina di cerbiatto dei boschi. Anche nella luce fioca, la tuta rivelava la strana perfezione della sua figura. E poi il viso… il suo fascino era quasi soprannaturale. I lineamenti erano decisi, con il naso e il mento quasi appuntiti. Era come se un artista dotato di grande sensibilità avesse preso spunto dalla faccia scura e grottesca dell’uomo più alto per crearne un viso dalla grazia infinita. La carnagione, a differenza di quella bianca e gessosa del Popolo delle Nevi e della pelle verde-grigiastra di Pelio, era quasi nera alla luce del fungo delle rocce, e il viso della ragazza sembrava intagliato nell’ebano. Nella mente del principe affiorarono di colpo tutte le favole dell’infanzia che parlavano di driadi e di elfi dei boschi. La sconosciuta sembrava uscita da un sogno.

Pelio passò un tempo infinito a perdersi negli occhi scuri e profondi di quel viso miracoloso. Finalmente l’incantesimo si attenuò e lui ritrovò il coraggio di parlare.

— Ed è… sono witling, Parapfu?

— Sì, come vi ho già detto, Altezza — confermò il Prefetto, guardandolo con aria strana.

— Parlano Azhiri?

— Quanto basta, almeno. Pelio si rivolse alla ragazza. — Qual è il tuo nome? — chiese, parlando lentamente.