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— Visto che voi avete resistito per due anni, penso che anch’io riuscirò a sopravvivere.

— Non sono rimasto qui due anni di fila. Ho fatto qualche scappata sulla Terra. Sono viaggi obbligatoli. Ve l’hanno detto, no?

— Infatti — disse Gottstein.

— Nonostante tutto l’esercizio fisico che farete qui, è necessario tornare di tanto in tanto a gravità normale, perché le ossa e i muscoli non se ne dimentichino. E quando sarete sulla Terra, ah, che mangiate! E un po’ di contrabbando di viveri non guasta.

Gottstein disse: — All’arrivo hanno accuratamente ispezionato il mio bagaglio, naturalmente, ma avevo in tasca una scatoletta di carne. Non l’avevo vista… e anche loro hanno fatto finta di niente.

Montez sorrise, poi disse, esitando: — Immagino che adesso mi offrirete di dividerla con voi.

— No — disse Gottstein giudiziosamente, arricciando il naso a patata. — Stavo per dire con tutta la tragica nobiltà di cui sono capace: “Ecco, Montez, tenetevela tutta! Ne avete più bisogno di me”.

Il sorriso di Montez si allargò, ma poi si spense. — No — disse, scuotendo la testa. — Fra una settimana potrò mangiare cibi terrestri a sazietà. Voi no. Dovrete tirare la cinghia nei prossimi anni e passerete fin troppo tempo a rimpiangere la generosità di adesso. Tenetevela voi… Insisto. Non vorrei guadagnarmi il vostro odio retroattivo.

Parlava con serietà, tenendo una mano sulla spalla di Gottstein, e fissandolo negli occhi. — Inoltre — aggiunse — voglio parlarvi di una cosa che ho continuato a rinviare perché non so come abbordarla, e quella scatoletta sarebbe una scusa per un ulteriore rinvio.

Gottstein si affrettò a rimettere in tasca la scatoletta e tornò serio a sua volta. — Si tratta di qualcosa che non potevate inserire nei vostri dispacci, signor Montez?

— Si tratta di qualcosa che ho tentato di inserire nei dispacci, signor Gottstein, ma fra la mia incapacità a esprimermi e la riluttanza terrestre ad afferrare i miei sottintesi, abbiamo finito col non capirci. Voi, me lo auguro, potrete fare meglio di me. Uno dei motivi per cui non ho chiesto la proroga del mio mandato è il fatto che non riuscivo a sopportare la responsabilità del mio fallimento nelle comunicazioni.

— Da come parlate, mi pare che si tratti di una cosa grave.

— Vorrei che la riteneste grave, ma francamente potrebbe sembrarvi sciocca. Nella colonia lunare ci sono alcune decine di migliaia di persone, di cui meno della metà Lunariti di nascita. Essi sono ostacolati dall’insufficienza delle risorse naturali, dall’insufficienza di spazio, da un mondo ostile, e tuttavia… tuttavia…

— Tuttavia? — ripeté Gottstein in tono incoraggiante.

— Sta succedendo qualcosa qui… Non so esattamente cosa, ma potrebbe esser pericoloso.

— Pericoloso in che senso? Che cosa possono fare? Far guerra alla Terra? — Gottstein faceva fatica a mantenersi serio.

— No, no, è qualcosa di indefinibile. — Montez si passò una mano sulla faccia, fregandosi a lungo gli occhi. — Permettetemi di essere franco con voi. La Terra si è infiacchita.

— Come sarebbe a dire?

— Be’, in che altro modo potreste definire la situazione? Nell’epoca in cui venne fondata la colonia lunare la Terra fu colpita dalla Grande Crisi. Questo non c’è bisogno che ve lo ricordi.

— No di certo — rispose con disgusto Gottstein.

— Da sei, la popolazione terrestre scese a due miliardi.

— E sulla Terra si sta meglio, adesso, non è vero?

— Senza dubbio, anche se io sono del parere che poteva esserci un sistema migliore per diminuire la popolazione… A ogni modo dopo la Crisi è rimasta una grande sfiducia nella tecnologia, un’inerzia diffusa, la riluttanza a correre rischi per il timore degli effetti collaterali. Progetti molto importanti, ma ritenuti pericolosi, sono stati abbandonati perché si temeva più il pericolo di quanto non se ne desiderassero i risultati.

— Immagino che vogliate alludere al programma d’ingegneria genetica.

— Questo, ovviamente, fu il caso più spettacolare, ma non fu l’unico — disse Montez, con amarezza.

— Francamente non rimpiango che abbiano abbandonato l’ingegneria genetica. Era stata un seguito di fallimenti.

— Ma abbiamo perso l’intuitivismo.

— Be’, non c’era nessuna prova che l’intuitivismo fosse una qualità mentale desiderabile, e molte che dimostravano la sua pericolosità… Ma, a proposito della colonia lunare? Vi pare che sia una prova dell’inerzia della Terra?

— Sissignore! — esclamò con enfasi Montez. — La colonia lunare è un pesante retaggio dei giorni precedenti la Crisi: qualcosa di simile all’estrema avanzata dell’umanità, prima di ritirarsi definitivamente.

— Come siete drammatico, Montez!

— Non direi. La Terra è in ritirata. L’umanità è in ritirata, ovunque meno che sulla Luna. La colonia lunare è l’ultima frontiera dell’uomo, non solo materialmente ma anche psicologicamente. Questo è un mondo in cui non è mai esistita una forma di vita da distruggere o un ambiente complesso in equilibrio precario da sovvertire. Tutto quello che sulla Luna vi è di utile all’uomo, è un manufatto dell’uomo. La Luna è un mondo costruito dall’uomo fin dall’inizio e perciò senza fondamenta. Qui non hanno un passato.

— E allora?

— Sulla Terra stiamo andando alla deriva a causa della nostalgia di un passato pastorale che in realtà non è mai esistito e, se anche fosse esistito, non potrebbe mai più tornare. Sotto alcuni aspetti l’ecologia è stata sconvolta dalla Crisi e noi stiamo facendo del nostro meglio con i cocci, perciò abbiamo paura, una paura che non ci abbandona un istante… Sulla Luna non esiste un passato da temere o da sognare. Qui esiste un’unica direzione: verso l’avvenire. — Infervorato dalle sue stesse parole, Montez proseguì: — Gottstein, io l’ho osservato per due anni, e voi farete altrettanto, forse per più tempo. C’è un fuoco che arde senza mai spegnersi, qui sulla Luna! Qui si espandono in tutte le direzioni. Fisicamente. Tutti i mesi vengono scavati nuovi corridoi e sistemati nuovi alloggi per fare posto a potenziali nuovi abitanti. E sfruttano al massimo le risorse locali, trovano nuovi materiali da costruzione, nuove sorgenti d’acqua, nuovi filoni. Allargano le stazioni di accumulatori a energia solare, ingrandiscono le fabbriche di materiale elettronico… Immagino sappiate che le diecimila persone che vivono qui costituiscono la maggior fonte produttiva di congegni elettronici miniaturizzati e prodotti biochimici di altissima qualità per la Terra.

— So che ne sono importanti fornitori.

— I principali: la Terra non può farne a meno. Andando avanti di questo passo, saranno anche gli unici in un prossimo futuro… Qui progrediscono anche intellettualmente, Gottstein. Sono sicuro che non esiste sulla Terra un giovane d’ingegno portato per le scienze che non sogni più o meno vagamente, o forse non tanto vagamente, di venire un giorno sulla Luna. Con la Terra in ritirata dalla tecnologia, la Luna è l’unico posto in cui si combatta.

— Immagino che vogliate alludere al protosincrotrone.

— È un esempio. Quando è stato costruito l’ultimo protosincrotrone sulla Terra? Ma è solo l’esempio più evidente e più grande. Se volete sapere qual è l’apparecchio scientifico più importante qui sulla Luna…

— Una cosa segreta di cui non mi hanno informato?

— No, anzi, una cosa talmente ovvia che non ci si bada neppure. I diecimila migliori cervelli umani che sono qui. L’unico gruppo compatto di cervelli umani, portati per le scienze che è qui.

Gottstein si mosse dalla sedia, ma questa, essendo inchiodata al pavimento, restò immobile. Sarebbe caduto se Montez non si fosse sporto a impedirglielo.