Socchiuse gli occhi trattenendo il respiro finché gli parve di sentirsi scoppiare i polmoni, e poi sentì la ragazza che diceva: — Perfetto, Ben, perfetto. Non ho mai visto un Immi fare la sua prima discesa senza cadere. Perciò, se anche adesso doveste cadere, non ci sarebbe niente di male.
— Ma io non voglio cadere! — protestò Denison, che aspirò a fondo prima di riaprire gli occhi. La Terra era là davanti a lui, come prima, serena e indifferente. Lui stava rallentando, sempre più, sempre più…
— Sono fermo, Selene? — domandò. — Io non lo so.
— Sì, siete fermo. Non muovetevi. Dovete riposarvi prima che ci rimettiamo in cammino per tornare in città… Accidenti… L’ho lasciato qui da qualche parte quando siamo saliti…
Denison la guardò incredulo. Era salita e discesa con lui, ma mentre lui si sentiva esausto per la stanchezza e la tensione, ecco che Selene stava allontanandosi a grandi balzi da canguro. Era distante cento metri buoni quando sentì negli auricolari la sua voce che diceva: Eccolo! — risuonandogli nelle orecchie come se fosse a due passi da lui.
Tornò dopo un momento stringendo sottobraccio un voluminoso foglio di plastica ripiegato.
— Ricordate di avermi chiesto che cos’era mentre venivamo qui?… Vi avevo detto che l’avremmo adoperato prima di tornare — disse, aprendo il foglio e stendendolo sulla superficie polverosa della Luna.
— Si chiama “salotto lunare” — spiegò. — Ma noi lo chiamiamo semplicemente salotto perché tanto l’aggettivo è superfluo. — Inserì nel foglio una cartuccia e spinse una leva. Il foglio incominciò a gonfiarsi. — Prima che troviate da dire, vi avverto che anche questo è argon.
Il foglio si trasformò in un materasso sonetto da sei tozze gambe.
— Vi reggerà — disse Selene. — Ha pochissimo contatto col terreno e il vuoto che lo circonda mantiene il calore.
— Non vorrete dirmi che è caldo! — eslamò Denison.
— Man mano che esce, il gas si scalda, ma solo quanto basta per evitare che la vostra tuta isolata si raffreddi più in fretta di quanto voi non riusciate a mantenerla calda. Su, sdraiatevi!
Denison ubbidì, con enorme sollievo.
— Magnifico! — esclamò esalando un lungo sospiro.
— Mamma Selene pensa a tutto — commentò la ragazza.
Poi si mise a scivolare intorno a Denison ponendo un piede davanti all’altro come se avesse i pattini; quindi si sollevò e ricadde con grazia su un fianco e su un gomito, accanto a lui. Magnifico! — esclamò Denison. — Come fate?
— Ci vuol pratica. Voi non tentate di imitarmi. Vi rompereste un gomito. Se avrò freddo vi pregherò di farmi un po’ di posto sul divano. Ma intanto riposatevi finché il cuore non avrà ripreso il ritmo normale. Poi torneremo a casa. Se allungate le gambe dalla mia parte, vi toglierò gli scivoli. La prossima volta vi insegnerò a metterli e a toglierli da solo.
— Non sono tanto sicuro di aver voglia di riprovare un’altra volta.
— Proverete, proverete! Non vi siete divertito?
— Un po’. Ma avevo troppa paura.
— Ne avrete meno la prossima volta, finché a poco a poco la paura scomparirà del tutto. Farò di voi un vero scivolista.
— No, no, sono troppo vecchio.
— Non sulla Luna. “Sembrate” soltanto vecchio.
L’assoluta tranquillità della Luna si era comunicata a Denison. Guardava la Terra, la cui presenza nel cielo gli aveva dato, più di ogni altra cosa, un senso di stabilità mentre scivolava, e provò verso di essa un senso di gratitudine.
— Venite spesso, qui, Selene? — domandò. — Non coi turisti, intendo, né quando c’è qualche gara.
— Praticamente mai. A meno che non ci sia altra gente, questo è un po’ troppo anche per me. A dir la verità mi stupisco di quello che sto facendo.
— Davvero? — disse con indifferenza Denison.
— Non vi sorprende?
— Dovrei? Secondo me ognuno fa quel che fa o perché gli piace o per dovere, e comunque sia non è una cosa che mi riguardi.
— Grazie, Ben. Grazie di cuore. Mi fa piacere sentirvi parlare così. Una delle cose migliori in voi è che pur essendo un Immi, non ci criticate. Noi siamo abituati a vivere sotto terra, siamo dei cavernicoli… cosa c’è di male?
— Niente.
— A sentire i Terragni non si direbbe. E siccome sono una guida turistica, non posso fare a meno di sentire quello che dicono. Li ho sentiti ripetere un milione di volte le stesse cose, ma più di tutto dicono — e continuò con l’accento tipico dei Terrestri che parlavano lo standard planetario: — “Ma, cara, come fate a vivere nelle caverne? Non vi fa venire la claustrofobia? Non vi viene mai la voglia di vedere il cielo azzurro, gli alberi, l’oceano, sentire il vento e odorare i fiori?”… Potrei continuare a lungo, Ben. E non mancano mai di aggiungere: “Già, voi non avete mai visto gli alberi, e il cielo azzurro, e così non sentite nostalgia”… Come se non fossimo collegati alle reti TV terrestri e non disponessimo di film, diapositive, eccetera.
— Qual è la risposta ufficiale a queste osservazioni? — chiese Denison divertito.
— Ci limitiamo a ribattere: “Ci siamo abituati, signora (o signore)”. Ma di solito sono le donne. Gli uomini sono troppo occupati a guardarci le camicette chiedendosi quando ce le toglieremo, o almeno credo. E sapete cosa vorrei rispondere a quegli idioti? “Scusate, signora, ma perché mai credete che dovrebbe interessarci il vostro mondo? Non vogliamo starcene appesi sulla superficie di un pianeta aspettando di precipitare o di essere scagliati via, coll’aria che ci schiaccia e l’acqua sporca che ci bagna. Non vogliamo i vostri schifosi germi, né le vostre stupide nuvole, o la vostra erba puzzolente e il vostro monotono cielo blu. Quando ne abbiamo voglia possiamo vedere la Terra nel nostro cielo, ma non ci interessa molto. La Luna è la nostra casa, e ce la siamo fatta noi, alla lettera. È nostra, ci siamo creati il nostro ambiente, e non ci rincresce minimamente che sia diverso dal vostro. Tornatevene nel vostro mondo e lasciate che la forza di gravità vi faccia cadere i seni fino alle ginocchia”. Ecco che cosa direi.
— Bene! — disse Denison. — Quando vi verrà voglia di rispondere così a qualche Terragno, venite a sfogarvi da me.
— Sapete una cosa? Ogni tanto qualche Immi propone di costruire una Terra-Park sulla Luna, sapete, una piccola riproduzione della Terra con piante e fiori, e magari qualche animale.
— E voi naturalmente siete contrari.
— Certo! La Luna è casa nostra, e se qualche Immi ha nostalgia di casa sua, se ne torni sulla Terra.
— Cercherò di ricordarmelo.
— No, non mi pare che siate il tipo. — Seguì un breve silenzio, poi Selene riprese: — Vi secca se vi faccio una domanda?
— Per niente. Se vi interessa la mia vita privata, non ho segreti. Sono alto un metro e settanta, sulla Luna peso quattordici chili, avevo una moglie da cui ho divorziato, una figlia sposata assistente all’Università di…
— No, Ben, parlo sul serio. Posso chiedervi del vostro lavoro?
— Certamente, però non so cosa potrei dirvi.
— Be’, voi sapete che Barron ed io…
— Sì, lo so — tagliò corto lui.
— …Parliamo spesso insieme. Mi ha detto che secondo voi la Pompa Elettronica potrebbe fare esplodere l’universo.
— La nostra parte di universo. Potrebbe trasformare in un quasar il braccio della galassia dove ci troviamo.
— Davvero? Ci credete sul serio?
— Quando sono arrivato sulla Luna non ne ero sicuro — rispose Denison. — Adesso lo sono. Sono personalmente convinto che succederà.