— Ma per immettere dei ricordi completi dentro un altro cervello umano, il secondo dev'essere quasi identico al primo. Ci ho provato molte volte, ma i risultati sono stati tutti disastrosi.
Allora come ho fatto ad entrare qua dentro?
— È un procedimento completamente diverso. — Il Saul simulato scrollò le spalle. — Ho impresso JonVon per anni con frammenti della tua personalità. Era collegato con te mentre dormivi nel colombario. La matrice era pronta.
Sì. Alla fine ha funzionato. Quasi. Peccato che sia fallito per un pelo. — No! — urlò Saul. — Pensaci! Cerca di trovare un modo per uscirne!
Ormai era come una formica nel palmo della sua mano. Virginia provava l'impressione di venir schiacciata nella bara di un bambino, oppure che le stessero tagliando le gambe e le braccia per farla entrare nel letto di Procuste.
Se ci fosse il tempo… Sentì il soffitto di marmo che cedeva, e seppe, con un'improvvisa introspezione, che la metafora rappresentava un certo tipo d'immagazzinamento della memoria.
E c'era un'alternativa…
Semplice… eppure nessuno ci aveva pensato prima! Poteva vederla parecchi livelli oltre quello metaforico, compresa la limpidezza della matematica pura.
C'è un modo. Ma ci vorrebbero parecchie migliaia di secondi per programmarlo.
— Circa un'ora. E allora nu? Fallo!
La vista di Virginia era un sibilo di gas elettronico raffreddato.
No. Nel giro di diciassette secondi non ci sarò più. La dissipazione è cominciata. Non c'è nessun posto per immagazzinare le parti essenziali di me fino a quando il lavoro non sarà concluso.
Il volto di Saul si contorse. L'immagine, più piccola d'un microbo, tremolò. — C'è un modo.
Non posso…
— Prendi il mio cervello.
Cosa?
— Siamo stati collegati così spesso. Sono sicuro che si può fare. Entra, presto!
No! Tu, dove andresti?
— Devi usarne soltanto una parte. Inoltre, adesso ci sono sette copie di me in giro, con la maggior parte dei miei ricordi.
Ciò malgrado non sono te gemette lei.
Piccolo come un atomo, il suo viso venne lo stesso messo a fuoco. — Loro ti ameranno. Noi tutti ti amiamo, Virginia. Fallo per noi. Fallo adesso.
Saul rimpicciolì, si ripiegò su se stesso, divenne una suzione che precipitava verso il basso, come l'acqua giù per lo scarico. Come il gas che scorreva dentro una singolarità. E con lui le porzioni di lei tirate dietro. Frammenti che in quel momento lei non aveva bisogno di usare.
Nell'autospazio che si lasciarono alle spalle, altre parti di lei scorsero dentro i banchi di memoria. Appena in tempo. I pensieri di Virginia si schiarirono, come se si fossero amplificati alla fredda luce del quarzo, come se stesse pensando veramente per la primissima volta.
Ecco. Ma è tutto così ovvio! Le equazioni sono divenute chiare. Potrei entrare in uno spazio molto più piccolo, se davvero dovessi farlo. È tutta una questione di prospettiva.
La matematica era adorabile. Tutto andò al suo posto, giacché i ricordi potevano venir piegati.
E d'un tratto si trovò circondata dal buio, liscio e ovoidale, un guscio che tremava mentre lei premeva contro di esso.
Usa una trasformazione Cramer come un dente d'uovo.
Cominciò a scheggiare il guscio, come un uccello che lottasse per liberarsi, affrettandosi perché la pressione stava aumentando.
Una mappatura conforme… cambiando la topologia in un telaio a sette dimensioni… la matematica era la sua arma contro la pressione soffocante. La somma di un numero infinito di punti infinitesimali da…
Luce. Rantolò quando aprì un forellino nella parete. Quel minuscolo bagliore la indusse a lottare con ancora maggior vigore, riprogrammando, piegando se stessa secondo nuovi disegni, lottando, colpendo quell'imprigionante, soffocante metafora.
Con un improvviso crepitio euristico, cedette tutto d'un tratto. Virginia si dispiegò come una molla compressa e piombò fuori, provando una sensazione di gloriosa, dolorosa liberazione su una nube di forme granulose. Tutt'intorno a lei, un rombo parve riempire l'aria.
Spazio. Spazio in abbondanza. Esplorò i limiti di quella nuova piegatura, e si rese conto che ce n'era più che in abbondanza, perfino da poter richiamare tutto quello che aveva immagazzinato altrove.
Ma aveva bisogno di tutta quella roba umana, emozioni, sensazioni, paure? Quella liquida chiarezza era bellissima. La matematica così bianca e pura.
Milioni di forme cristalline, incalcolabilmente numerose, si ammucchiavano spingendosi e sgomitando davanti a lei, in una pura e bellissima geometria, cubi e piramidi e dodecaedri…
Una remota parte di lei sapeva che la questione non era mai stata in dubbio. Se non trarrò di nuovo a me quelle parti, Saul morirà.
C'era spazio in quel nuovo ambiente. Il resto di lei vi rifluì dentro, e con quella marea la nuova metafora ne uscì arricchita.
Gli innumerevoli, piccoli cristalli sfumarono arretrando sempre di più, fino a diventare uno sciame di minuscoli puntini.
Il flusso di ritorno di quella marea di sensazioni, ambizioni, capacità, crebbe impetuoso dentro di lei, e con esse le sensazioni simulate.
Odore di sale… come se fosse originato dal sudore o… da cosa?
Un suono martellante… come da un cuore che lei non aveva più, o… cosa?
La metafora s'ispessì. Poiché non si era mai trovata senza un corpo prima di allora, ecco, uno parve prendere forma intorno a lei. Sentì la presenza della pelle, le gambe, le braccia.
Questa roba granulosa sotto di me… Quella che era stata una folla di cristalli sfaccettati, adesso assomigliava molto a sabbia, sotto le sue mani.
Confusa, spinse contro quella roba gialla, consistente, e si rizzò a sedere. Si guardò intorno, sbatté gli occhi e… se ne uscì in un ampio sorriso.
— Casa — bisbigliò Virginia. — E huumanao no au ia oe. — Chi avrebbe potuto sperare in una metafora migliore?
Inspirò l'odore delle plumerie e ascoltò il fragore della risacca, la quale borbottava subito oltre una collinetta d'erba salmastra. Le palme ondeggiavano alla dolce brezza, le loro fronde frusciavano musicalmente. Nubi luminose come diamanti sfidavano un cielo più azzurro di qualunque altra cosa lei avesse visto nella metà dell'arco della sua vita.
Quella bianca chiarezza era sparita. La matematica originaria che le aveva permesso di realizzare quella meraviglia stava sfumando nello sfondo, una debole voce trasportata dal vento, un geroglifico appena visibile sulla sabbia, la bellezza appuntata attraverso le acque splendenti.
Era nuda, calda. Malgrado la gravità da lei percepita fosse come quella della Terra, si sentiva integra e forte. Virginia si alzò in piedi percependo la sabbia calda fra le dita, e raggiunse la sponda lussureggiante di una laguna ombreggiata dalle palme, sapendo quello che vi avrebbe trovato.
Con la mano sinistra agitò l'acqua immobile. Quando le increspature si acquietarono, il riflesso che vide non era quello del suo viso. Invece, c'era una scena che conosceva benissimo.