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— Non so, Jim. Ma credo…

Lo schermo turbinò e un minuscolo grappolo di fili balzò in primo piano, ingrandito. Saul si schiarì la gola e borbottò una rapida sequenza di ordini sotto forma di parole-chiave. D'un tratto una sciabolata di luce saettò, riducendolo a un minuscolo frammento rossastro, in una vivida esplosione fiammeggiante. Uno degli schermi laterali s'increspò, mostrando le linee d'uno spettro luminoso.

— Niente da fare. Dopotutto, credo non possa essere una forma mutata di qualcosa che ci siamo portati dietro. Dev'essere nativo.

Saul si sfregò la mascella mentre analizzava il grafico d'una distribuzione d'isomeri. — Niente, nato sulla Madre Terra, ha mai utilizzato un complesso di zuccheri come quello. — Si chiese addirittura se esistesse un nome, per ciò che vedeva, negli annali della chimica.

Vidor annuì, come se se lo fosse aspettato fin dall'inizio. Talvolta l'innocenza balza alle giuste conclusioni là dove il sapere induce — al contrario — qualcuno a resistere con tutte le sue forze.

Anche Saul l'aveva sospettato, nel vedere la roba per la prima volta, giacché non assomigliava a niente di terrestre che avesse mai visto prima. Ma aveva trovato difficile crederlo fino a quel momento. I microrganismi erano qualcosa che poteva anche razionalizzare, soprattutto dopo aver visto la meravigliosa simulazione di JonVon su come poteva verificarsi l'evoluzione cometaria. Microbi procariotici primitivi, sì. Ma com'era possibile, in quello sconcertante universo di Dio, che potesse esserci qualcosa di così complesso… di così simile a un lichene, nelle profondità di una primordiale palla di ghiaccio?

Non avevo mai creduto veramente alla storia di Carl Osborn, dell'esistenza di macrorganismi qua fuori nei corridoi confessò a se stesso. Immagino di averlo cacciato via dalla mia mente, denigrando qualunque cosa avesse da riferire, rispondendo ostilmente all'ostilità. Invece mi sono dato da fare con i soliti lavori di routine, studiando i microbi, ignorando la prova che qualcosa di molto più grande stava accadendo qui.

Naturalmente, non era che Carl avesse proprio collaborato. Non si erano più visti da quel fatidico mattino ai colombari. E Carl non aveva mai più mandato i campioni che Saul aveva richiesto. C'era poco da meravigliarsi che fosse stato così contento quando Jim Vidor aveva preso l'iniziativa.

— In mancanza di una parola migliore, Jim, dovrò chiamare questo affare un lichenoide… qualcosa di simile a un lichene della Terra. Ciò significa che è una creatura associativa, una combinazione di qualcosa di autotrofico o fotosintetizzante, come un'alga, con qualche complesso eterotrofico come un fungo. Comunque, sono pronto ad ammettere che mi ha disorientato. Niente di così complicato dovrebbe…

— Conosce qualche modo per ucciderlo? — sbottò Vidor. I suoi occhi guizzarono veloci verso lo schermo, dove le fibre si muovevano lentamente sotto il forte ingrandimento.

D'un tratto Saul comprese.

Vidor è un emissario. Carl non è riuscito a ottenere nessuna indicazione utile da Malenkov. Naturalmente non uscirebbe mai allo scoperto avvicinandomi. No, arrabbiato com'è a causa di Virginia.

Si sentì colpire da un'altra ondata di stordimento che lo costrinse ad aggrapparsi all'orlo del tavolo, lottando per nascondere i sintomi.

Forse Nicholas ha ragione. Forse questo non è un altro bacillo dell'influenza. Forse sono già alla fine. Se è così, non ha forse ragione anche Carl? Cos'ho da offrire a Virginia salvo, forse, la possibilità di rimanere contagiata se mai uscissi dalla quarantena?

Che diritto ho di frappormi fra lei e Carl, se sono comunque condannato? Stranamente, l'idea di essere davvero morente gli fece battere il cuore in petto con violenza. Aveva supposto di essere libero da qualunque paura della morte per almeno dieci anni. Ma adesso la sola idea gli faceva tendere la pelle come un tamburo e inaridire la bocca.

Incredibile. Hai fatto questo per me, Virginia? Mi hai ridato la capacità di provare paura? La paura di perderti?

Era una cosa meravigliosa. Saul divenne di nuovo consapevole della presenza di Jim Vidor, con gli occhi che lo guardavano ammiccando da sopra la maschera, e sorrise.

— Di' a Carl che sono pronto a fare un patto con lui. Mi faccia uscire da questa fershlugginner di prigione, cosicché io possa andar fuori e vedere di persona quello che sta succedendo. In cambio farò tutto quello che posso per aiutarlo a tenere la poltiglia fuori dai suoi tubi. Anche se quello che potrò fare sarà soltanto impugnare una spugna insieme al resto di voi.

Vidor ristette per un momento, poi annuì: — Glielo dirò, dottor Lintz. E grazie, grazie tante.

Lo spaziale si girò di scatto e fischiò un rapido codice, cosicché la porta era già aperta quando salpò attraverso di essa per uscire in corridoio. Saul osservò il portello che tornava a chiudersi. Poi risollevò lo sguardo sull'aggrovigliato nido d'uccello fatto di filamenti alieni che appariva sullo schermo.

Una parte di lui si chiese se fosse moralmente legittimo mettersi a cercare dei modi per combattere le forme di vita indigene che causavano agli spaziali così tanta pena. Dopotutto, qui erano i terrestri gli invasori. Erano arrivati da un mondo remoto diverso da questo quanto si supponeva lo fosse il Paradiso dall'Inferno. Nessuno aveva invitato gli umani. Erano appena arrivati, come facevano sempre.

Come ci siamo immischiati sempre anche noi, eh, Simon?

Saul scrollò le spalle. Quella piccola voce moralizzatrice era facile da reprimere, come lo era la paura di morire. Avrebbe lottato e sarebbe vissuto. Perché per la prima volta in dieci anni aveva qualcosa per cui combattere e vivere.

Esatto pensò ironicamente. Fai lo scaricabarile, dài la colpa a Virginia.

Smise di asciugarsi il naso, e lasciò cadere il fazzoletto nello sterilizzatore. Poi s'infilò in bocca un'altra pillola contro il raffreddore.

Sorridendo truce, allungò la mano e aumentò l'ingrandimento.

— D'accordo, bello. Mi hai incuriosito. Voglio scoprire tutto su di te. Se dovremo combattere, voglio sapere cosa ti fa muovere.

Inserì il Quartetto d'Archi di Tokyo sulla videoparete, registrato da telecamere e microfono soltanto a pochi metri di distanza dal famoso complesso da camera. Suonarono Bartok per lui, mentre girava le manopole, parlava dentro il registratore, sorrideva cupo e sternutiva di tanto in tanto.

VIRGINIA

Vedi danzare i mech, vedi suonare i mech pensò Virginia di cattivo umore, a metà di una riprogrammazione. Dio, vorrei che se ne andassero via.

Erano passate ore e ore, ormai, e i lavori si stavano facendo più difficili. Giaceva lungo distesa, fisicamente comoda, ma vessata e irritata dalle interminabili richieste. Provò una nuova subroutine su un mech che riempiva la metà del suo schermo centrale. Il mech si girò, si avvicinò a un pannello fosforescente. Attento, attento lei pensò, ma non interferì. Un errore di un solo centimetro avrebbe fatto schizzare il braccio del mech attraverso la vernice fosforescente, interrompendo il canale conduttivo di quella sottile pellicola, oscurando il pannello. Le virtù dei fosfori risiedevano nella facilità di applicazione: bastava applicare uno strato di quella roba, collegare dei cavi a basso voltaggio agli angoli, e si otteneva una fonte di luce fredda a basso costo. Gli svantaggi stavano nel fatto che avevano poca resistenza meccanica e tendevano a sviluppare chiazze opache nei punti in cui la corrente elettrica scorreva ineguale. Un mech poteva urtarne uno e distruggerlo anche toccandolo lievemente.