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— Rimanga immobile, dottor Lintz! — Era Vidor che lo stava chiamando. — Ce ne sono altri due alle sue spalle! La coperta elettrica deve aver fatto corto circuito. Quelli che non stanno mangiando Garner si stanno sparpagliando a ventaglio sul pavimento, adesso!

Saul non aveva mai provato niente di simile nei confronti di una creatura vivente, neppure contro i fanatici della folla che aveva raso al suolo il Technion. Ma in questo momento, comunque, bramava con tutto il suo essere poter uccidere. Fissò quelle orribili creature che si stavano rinserrando su di lui da ogni lato, e seppe cos'era l'odio.

Raccolse tra le braccia il tremante Ustinov. Cosa c'è che non va in quest'uomo? Pensavo che gli spaziali fossero fatti tutti di una stoffa più forte di questa.

Mio Dio, scommetto che è stato morso!

Ustinov non era pesante, naturalmente, non nella gravità di Halley. Ma la sua massa era quasi la stessa che era stata sulla Terra, e ciò rendeva ingombranti l'inerzia e il volume del russocanadese. Ancora stordito e disorientato, Saul sapeva che non era preparato a balzar fuori da lì, sorreggendo quel fardello poco maneggevole.

Una cosa o l'altra, però. Saltare o lanciare. Si rannicchiò.

— Te lo lancio! Tienti pronto!

— No! Aspetti! Ho quasi preparato una lampada…

— Non c'è tempo! — insistette Saul. Scattò come una molla, impiegando tutte le sue forze per scagliar via Ustinov. Quel corpo massiccio quasi esanime volò fuori dalle sue braccia, sorvolando il groviglio delle creature che si contorcevano e avevano fatto irruzione attraverso il pavimento di fibratessuto cercando calore.

Fu un buon lancio, ma il rinculo lo spinse indietro. Saul allungò il collo per guardare. E fu ovvio che avrebbe finito per atterrare fra due di quei polposi e famelici eterotrofi.

Stranamente, una parte di lui era più curiosa che preoccupata. Era una delle sue prime possibilità di guardare da vicino una delle halleyforme superiori senza che fosse già stata messa in salamoia per la dissezione. Quella più vicina mostrò di essersi accorta di lui agitando una bocca polposa bordata di rossi aghi luccicanti di ferronickel primordiale. La creatura non aveva nessun vero muso, ma Saul poteva percepire il suo sguardo puntato su di lui.

Probabilmente riesce a rintracciarmi grazie all'infrarosso pensò.

Erano davvero strane creature. Anche se, forse, non erano più strane di quei vermi che vivevano in profondità, negli sfiatatoi sottomarini, sulla Terra. Anch'essi vivevano nel buio totale, sotto immani pressioni idrostatiche, cibandosi dei batteri che trasformavano i solfati. Signore, la tua opera non smette mai di stupirmi.

Meravigliosa, sì. E misteriosa. Ma il brutto era brutto, e la morte la morte.

Frugò all'altezza della propria cintura, cercando qualcosa da scagliare, per cambiare la propria traiettoria, ma i cappi della cintura erano vuoti. Tutto quello che riuscì a fare, fu ruotare goffamente su se stesso, sempre continuando ad andare alla deriva verso quelle creature.

Senza alcun dubbio avrebbe potuto schiacciarne un buon numero a mani nude, ma non aveva nessun desiderio d'ingaggiare un corpo a corpo con esse se poteva evitarlo, non dopo l'agonia sofferta da Samuelson e Conti a causa delle loro ferite avvelenate.

Saul si torse su se stesso, come un gatto, riuscendo in qualche modo a portare i piedi in avanti. Lo stivale sinistro toccò, e quello destro scalciò obliquamente per compensare il movimento, colpendo un ondulante orifizio rivestito di denti raschianti. Vi fu un nauseante urto spiaccicato mentre slittava e ricominciava a rovesciarsi.

— Salta, Saul!

Era la sua unica possibilità. Ma mentre piegava le ginocchia, il dolore gli trafisse la caviglia sinistra e quella gamba cedette. Si girò di scatto per evitare di cadere dentro il brulichio dei vermi dalle mascelle spalancate, e nel farlo incespicò.

L'illusione del movimento lento lo aiutò quando atterrò sulla punta delle dita e in qualche modo camminò lungo il pavimento sulle mani, saltellando da un braccio all'altro per evitare quei maledetti affari. Non c'era nessun'altra maniera. Se si fosse fermato per girarsi o raccogliere le forze, l'avrebbero raggiunto.

Finalmente, parve che ci fosse uno spazio sgombro davanti a lui, dove avrebbe potuto flettere gli arti e spingerti davvero lontano dal suolo…

— Saul! — gridò qualcuno. — Chiudi gli occhi!

Udì un forte rumore raschiante.

Oh, magnifico! Proprio adesso che avevo bisogno di vedere dove stavo andando.

Proprio all'ultimo istante i suoi occhi si chiusero. L'ultima cosa che vide fu una massa sporca, a segmenti, di polposo tessuto color malva, che si voltava verso il suo calore, sfoderando un cerchio scintillante di aguzze pietre primordiali.

Poi il mondo scomparve nel fulgore. Saul urlò e le sue braccia si agitarono convulse mentre si spingeva lontano dal pavimento, andando alla deriva in direzione di chissà che cosa… Si coprì gli occhi con le braccia e si arrotolò a palla, sperando che la sua tuta spaziale lo proteggesse la prossima volta che fosse atterrato in mezzo a quelle creature fameliche.

Come contrappunto, quel lamento stridente s'innalzò ancora più forte quando un'altra lampada si unì alla prima da una diversa angolazione. Avvertì quel nuovo fulgore sotto forma di calore sulla sua pelle. Saul non riuscì ad aprire gli occhi neppure per quel tanto che bastava a cercar riparo dai raggi, progettati per essere visibili attraverso migliaia di chilometri di spazio aperto, contro le stelle vivide come diamanti.

Colpì di nuovo il suolo andando a fermarsi contro qualcosa di duro. Saul cercò di rimanere immobile; di non fare la minima mossa, e immaginò di essere un ghiacciolo.

— Saul? Qui è Virginia. Puoi essere più specifico? Cosa è successo? Tutt'a un tratto quei pick-up remoti nel colombario Uno hanno cessato di trasmettere.

Un'altra voce interloquì: — Lintz, Osborn, stiamo arrivando. In quattro, con spruzzatori e torce. Tempo di arrivo previsto, duecento secondi.

Allora Saul si rese conto che non dovevano essere passati più di un paio di minuti dall'istante in cui aveva riferito di quell'irruzione dei purpurei. Il tempo si era allungato a telescopio. La cavalleria stava arrivando, ma lui sarebbe riuscito a resistere abbastanza a lungo perché quell'aiuto servisse a qualcosa?

Più in là, su un lato, sentì lo spaziale Vidor che borbottava imprecazioni di sorpresa, per poi urlare nel suo microfono:

— Carl, Jim, l'ultravioletto intenso li fa scappare! Si dissolvono, se non riescono a uscire dalla radiazione abbastanza in fretta!

Saul giaceva arrotolato a palla, ma il suo respiro si era fatto meno affannoso. Se soltanto…

Vi fu un sonoro pop e il livello di quel doloroso fulgore che penetrava le sue palpebre serrate si dimezzò d'un tratto. Risuonò un'imprecazione, poi Vidor tornò a parlare:

— Una delle lampadine è appena scoppiata, ma credo non abbia più nessuna importanza. Sono tutti morti o scappati. Resisti, Saul. Ti porto un paio di occhialoni.

Un attimo dopo, Saul sentì una mano sulla sua spalla, e un'ombra oscurò quel fulgore solare che ancora rimaneva. Grato, con gli occhi ancora chiusi, sollevò la testa e aiutò Vidor a sistemare la protezione sulla parte alta del suo viso.

— Congratulazioni, Saul. Un'arma dannatamente buona.

Saul sbatté gli occhi attraverso le lacrime e lo sfarfallio delle macchie luminose, e vide il giovane spaziale che gli offriva la mano. Alzò la sua, e accettò l'aiuto per alzarsi in piedi.

— Uh, grazie. — Ma stava riflettendo su quante poche lampadine fossero rimaste. Tre erano già andate. Dovremo escogitare degli espedienti migliori di questo. Tanto per cominciare, non possiamo lavorare tutto il tempo con gli occhialoni…