I due uomini cominciarono ad avanzare con brevi saltelli, passando sopra i gusci purpurei raggrinziti fino a un buco carbonizzato nel rivestimento giallo del pavimento, dentro il quale erano rotolati i resti dello spaziale Garner, insieme alla coperta elettrica infelicemente scelta. Il tutto era finito dentro una stretta fenditura: era una faglia nella caverna alla quale nessuno aveva dato importanza quando la cavità era stata scelta e rivestita.
— Non scavano attraverso il ghiaccio compatto! — sospirò Vidor. — Avevamo pensato che potessero farlo… che potessero colpire da qualsiasi punto. Che sollievo…
Saul era stato capace soltanto di fissare, sgomento, quel guazzabuglio di resti umani sparpagliati giù dentro quella ripida fenditura nel ghiaccio. Il giovane Vidor… sì, era fatto di una stoffa più dura.
— Si muovono lungo le vene a bassa densità, allora?
Vidor annuì. — Dovremo cercarne altre e sbarrarle, fondendole. So come fare.
Virginia mi ha fatto vedere le fotografie di alcune delle sue sculture ricordò Saul. Jim Vidor era un mago con il ghiaccio. Se c'era qualcuno che avrebbe saputo come fare a sigillare le cavità, quello era lui.
Arrivò un suono di voci dall'ingresso della Galleria J. Lo spaziale si voltò: — Sarà meglio che vada a prendere qualche occhialone per i ragazzi, o a spegnere quelle lampade.
Saul lo seguì. Comunque, non potevano far niente di più per il povero Garner. — Non dimenticarti la pomata — gli gridò. — Già così tu ed io ci prenderemo delle feroci scottature.
Malgrado il dolore alla caviglia e il tremito dovuto all'improvviso afflusso di adrenalina che adesso si stava dissolvendo, Saul si sentiva bene. Una porzione atavica del suo io pareva eccitata all'idea di aver superato gli ultimi minuti e di essere sopravvissuta. L'azione aveva i suoi vantaggi. C'erano alcune cose che non si potevano tenere in un laboratorio.
Con gli occhialoni infilati Joao Quiverian pareva una grande creatura notturna. — Farai meglio a dare un'occhiata a Ustinov — disse a Saul. — È in condizioni molto brutte.
Saul annuì. — Devo andare a prendere la mia borsa.
— Se ha dentro le stesse tossine che hanno fatto fuori Conti…
— Ci sono cose che posso tentare. Ma devo agire in fretta. Aiutami, Joao.
Anche se non potrò salvarlo, forse questa volta riusciremo a rallentare la reazione chimica quel tanto che basta per colombarizzarlo. Forse un giorno avremo un antidoto.
L'unica lampada rimasta continuava ad ardere, accompagnata dall'incessante stridore del segnale d'allarme.
Sotto quel bagliore, Saul raccolse la sua borsa nera e riprese, dopo tanti anni, la sua pratica di medico.
VIRGINIA
Fece scorrere le righe scritte il giorno prima e cercò di vederle spassionatamente. Questo era il suo intervallo di riposo e scrivere poesie le pareva il modo migliore per trascorrerlo, una fuga mentale più veloce dell'incessante, opprimente lavoro con i mech, piuttosto che starsene nel salone a sorbire caffè. Soprattutto perché con tutta probabilità là non ci sarebbe stato nessun altro; era certa che tutti quelli che non lavoravano stavano galleggiando immersi in un sonno esausto.
L'equipaggio, a norma di regolamento, avrebbe dovuto trascorrere la maggior parte del proprio tempo a letto nella ruota, dove la pseudogravità centrifuga poteva imitare in qualche modo i sottili flussi che evitavano gli squilibri della gravità zero. Ma i sopravvissuti avevano trovato dei cubicoli isolati liberi dalla poltiglia verde e avevano cercato di dormire meglio che potevano sul posto.
Adesso, la situazione della battaglia era meno dominata dal panico, ma sempre critica. Erano riusciti a ricacciare le infestazioni dai colombari e dalle centrali elettriche. Fondendo il ghiaccio dietro i punti più critici, avevano negato a quelle creature una facile via di accesso.
Lei avrebbe dovuto riposare, dormire… ma il sonno non voleva venire.
All'inferno l'esterno, la tetra realtà. Si tuffò nella sua poesia.
— Uhm — rifletté fra sé. — Artistico no. Terapia, forse.
CERTO RIVELA IL TENORE GENERALE DEI TUOI PENSIERI.
Delle lettere azzurro-verdi galleggiarono nell'olo sopra di lei.
— JonVon, questo è privato! Avrei dovuto scollegarmi.
MI SPIACE. NON SO COME DIRLO.
— Il tuo buonsenso dovrebbe… giusto, non è una caratteristica sopra la quale ho lavorato, vero?
ALCUNE DELLE MIE PERSONALITÀ SIMULATE CONOSCONO DELLE REGOLE, MA NON HO UNA COMPRENSIONE BASILARE DEL «BUONSENSO», FORSE NON SERVE AL LAVORO DI TUTTI I GIORNI?
— No, solo che non c'è stato il tempo… lascia perdere.
LE FACCENDE SESSUALI RICHIEDONO BUONSENSO?
— Sì, quando hai a che fare con gli esseri umani. In effetti sarebbe meglio che tu rimanessi zitto. Nessuno pensa che le macchine abbiano qualcosa da dire sul sesso.
CI SONO PROGRAMMI DI PSICANALISI CHE POSSO RICHIAMARE, SISTEMI ESPERTI CHE SI SONO DISTINTI NELLA DIAGNOSI…
— No, JonVon! Lasciami andare avanti con la mia poesia.
POSSO OSSERVARE?
— Non posso certo impedirti di leggere i miei versi da due soldi, non è vero? È nei Manoscritti Generali.
POSSO NASCONDERE I RISULTATI NEI MIEI PROPRI BANCHI.
— Buona idea, davvero. Non voglio che nessuno incappi neanche per caso in questo.
Fissò lo schermo. L'intrusione di JonVon l'aveva imbarazzata. Mai prima di allora era stata così apertamente sessuale nei suoi scritti, e sentiva che la sua passione era una cosa intensamente privata, per Saul soltanto. Alle Hawaii gli uomini l'avevano giudicata un po' pudibonda.
Così, sei sempre stata un po' timidina in proposito, e allora? Devi superare questo blocco!
Fissò accigliata la poesia. Una tradizione vecchia di secoli imponeva che le poesie d'amore dovessero essere scritte con inchiostro scorrevole su spessa e lussuosa carta cremosa… non certo con lettere che brillavano nel vuoto. Oh, all'inferno la tradizione. Vediamo… non è che le mie cosce siano pingui, a esser sinceri… vale la pena salvare questa espressione per il ritmo?… Salta oltre e prova qualcos'altro…