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Ma cosa? Sì, lo so… non voglio chiamarlo. Non m'importa se non vedrò mai più quel bastardo. E so anche che si tratta soltanto di una infantile gelosia. Ma questo non mi facilita affatto le cose. Semmai il contrario, forse.

E comunque, era una buona idea che lui facesse un po' di pratica. Era probabile che fra qualche giorno avrebbe colombarizzato Saul. Mi auguro che Virginia non si prenda… qualunque cosa abbia lui.

Lavorava lentamente, con i pensieri impantanati nella melma. Doveva scrollarsi di dosso quell'umor nero, lo sapeva, altrimenti avrebbe commesso qualche stupido errore. La musica? Era press'a poco tutto quello che gli rimaneva, in quei giorni. Aveva ascoltato Mozart e Liszt e Haydn per sedici ore al giorno, l'unico modo per distanziare se stesso da quell'interminabile lavoro di pulizia spezzaschiena. E tutto il tempo a guardarsi le spalle, per vedere se un dannato purpureo non fosse penetrato attraverso l'isolante lì vicino, in attesa che lui lo sfiorasse, pronto a perforargli la tuta, bruciandola, iniettando dentro di lui il suo micidiale veleno…

— Carl!

Si girò di scatto, sorpreso da quella voce femminile. Virginia! Non era andata da lui malgrado tutto.

La vista di Lani che entrava nella sala di preparazione frantumò la sua improvvisa speranza.

— Ho sentito di Quiverian, ho pensato di scendere e… oh, l'hai già colombarizzato?

Carl annuì.

— Niente cerimonia?

— Non ero dell'umore. Jim non si sente molto bene, e una cerimonia da solo…

Lani lo studiò con espressione comprensiva. — Capisco.

— Forse possiamo incontrarci tutti, stasera, e stappare qualche birra… — Lasciò che la frase sgocciolasse via contrita, ricordando che loro due avevano quasi cominciato un idillio, qualche arco di vita prima. Era un po' di tempo che non ci aveva più pensato. Ogni giorno modificava in meglio la sua opinione di Lani, ma il suo polso batteva ancora per Virginia. Non che abbia importanza… Siamo tutti ridotti a pezzi.

Lani annuì con enfasi. — Sì, un po' di solidarietà di gruppo ci farebbe bene. Adesso sei tu il capo, Carl. Sta a te tenerci uniti.

Era stato il capo nominale per più di una settimana, anche se non aveva avuto il tempo di pensare in quel modo di se stesso. — Tutti e sei? Con due o tre che stanno male? Bell'equipaggio. Con metà del primo turno sparito in… quanto? Dieci giorni? No, meno. — Scosse la testa. — Le cose si stanno muovendo troppo in fretta.

Cosa avrebbe fatto il capitano Cruz che io non ho fatto? Cos'è che ho omesso?

— Sei stanco. — Gli appoggiò una mano sulla spalla, gliela batté con delicatezza. Come se fossi un grosso, stupido animale lui pensò. Be', in questo momento non sono granché meglio.

— Sono… sono contento che tu sia venuta.

— Anch'io. È ovvio che hai bisogno di aiuto.

— Ho cominciato a decolombarizzarne un altro paio.

— Non ce ne serviranno almeno una dozzina?

— È qui che mi serve aiuto. Ci serve gente in gamba ma… insomma, tu chi sceglieresti per ficcarlo dentro in questa casa della morte?

Lani annuì in silenzio, il suo volto era pensoso e assorto. Si chiese come se la stesse cavando emotivamente con quella minaccia sempre presente. Avrebbe potuto prendersi qualcosa da lui, o viceversa, in quello stesso momento. Non avevano nessuna idea di quali linee di propagazione seguissero quelle malattie.

— Non i miei amici…

Carl rimase sorpreso. — Non avevo pensato alla cosa in questo modo. Stavo pensando di scegliere quelli che so che possono reggere a questa situazione.

— Capisco. Prima di ogni altra cosa, volevo proteggere i miei amici; tu invece pensi di tirar fuori quelli di cui puoi fidarti. È per questo che tu sei adatto al comando, e io no.

Carl scrollò le spalle. Sapeva di non essere un vero capo, neppure remotamente simile al capitano Cruz. Faceva soltanto quello che gli sembrava ovvio. L'altro suo punto era giusto, comunque: era assai meno penoso vedere ammalarsi e morire delle persone relativamente estranee.

— Non mi piace dover prendere queste decisioni da solo. Io sono soltanto un comune spaziale. Questa è vita e morte, Cristo.

— Lo è.

In maniera impercettibile Lani si ritrasse da lui, mettendosi in disparte, il volto privo d'espressione e gli occhi guardinghi, in attesa dei suoi ordini. Non voleva la responsabilità. Neppure io la voglio.

— D'accordo. Devo dire al sistema quali celle deve cominciare a scaldare, altrimenti non potremo fare nessun passo avanti. — Si girò verso la grande consolle e cominciò a far scorrere le mani lungo l'elenco, sullo schermo, che mostrava le specializzazioni d'ogni singolo membro dell'equipaggio. Schiacciò il dito in due piccole depressioni accanto a due nomi.

— Jeffers e Sergeov — commentò, cupo. Poi riuscì a scoppiare in una risata dura e asciutta. — Ragazzi, se resteranno sorpresi!

SAUL

Basta così. Lascia tranquillo questo povero corpo. Saul si staccò dal tavolo operatorio e mise giù i suoi strumenti.

— Stacca il codice azzurro. Arresta le procedure di rianimazione — disse agli alti e affusolati med-mech raccolti intorno alla figura pallida e cerea che era stata Nicholas Mamenkov. — Mantenete l'ossigenazione tipo sei dei tessuti, e iniziate il preraffreddamento dell'infusione gliocemica per l'immaganizzamento terminale.

Era troppo tardi per «colombarizzare per malattia» il russo. La sua morte era penetrata troppo in profondità. Preparare il corpo meglio che poteva era la sola cosa a cui Saul poteva far ricorso, congelandolo nella speranza che un giorno sarebbe stata disponibile una cura, quando fosse stato scongelato.

L'unità principale produsse due bip. Saul, che aveva fissato con tristezza il suo defunto amico, sollevò lo sguardo.

— Sì? Qual è il problema?

RICHIESTA CHIARIFICAZIONE, DOTTORE — annunciò il med-mech. — PER FAVORE SCELGA PROFILO D'INFUSIONE E DI RAFFREDDAMENTO. INOLTRE LA COLOMBARIZZAZIONE TERMINALE RICHIEDE UN CERTIFICATO DI MORTE.

Saul annuì. Con delle capacità cliniche arrugginite come le sue, c'era da meravigliarsi che riuscisse a ricordarsi anche soltanto la giusta procedura generale.

— D'accordo, allora. Ident-voce: dottor Saul Lintz, cittadino della Confederazione Diasporica, settimo medico della spedizione Halley. Numero di codice… — Si premette le dita alle tempie. — Me lo sono dimenticato. Riempilo attingendo dall'archivio.

SÌ, DOTTORE — assentì prontamente la macchina.

— Certifico che il dottor Nicholas Malenkov, cittadino della Grande Russia, secondo medico della spedizione, è deceduto al di là di ogni possibilità di richiamo con i mezzi disponibili. Causa: massiccio danno neurale periferico dovuto a imperversante infezione non diagnosticata che ha attraversato la barriera cerebrale del sangue tre ore sono. I particolari e le analisi dei tessuti seguiranno in appendice.

«Paziente colombarizzato terminalmente oggi…»

Saul sollevò lo sguardo al proprio riflesso sul fianco del lucido mech… occhi pallidi, sì, stanchi. Più stanchi di quanto sembrava all'apparenza.

Qual è la data? Era ancora il novembre del 2061? Oppure era già dicembre?

Ho perso il compleanno di Miriam? Sono passati dieci anni da quando è morta a Gan Illana. Eppure sembra un altro secolo.

Talvolta gli pareva di continuare a combattere per una ragione soltanto, perché Virginia riuscisse ad arrivare a ventinove anni. Se fossero stati ancora vivi, fra sei mesi, per mettere un'altra candelina sulla sua torta, poi avrebbe trovato un altro buon motivo. Una cosa per volta.