Выбрать главу
VIII

Quando si era schierata completamente dalla parte di Pitt?

All’inizio, Eugenia era inorridita all’idea di tenere nascosta l’esistenza della Stella Vicina, aveva provato un profondo senso di disagio al pensiero di abbandonare il Sistema Solare per una destinazione di cui si conosceva solo la posizione. Per lei era contrario all’etica, vergognoso e disonorevole, accingersi a costruire una nuova civiltà in modo furtivo… una civiltà che escludesse il resto dell’umanità.

Aveva ceduto per non violare la sicurezza interna della Colonia, però intendeva opporsi a Pitt in privato, sollevare obiezioni. Le aveva preparate mentalmente, in modo che fossero argomentazioni logiche e inconfutabili. Poi, però, non le aveva mai espresse.

Pitt prendeva sempre l’iniziativa. Sempre…

«Ricorda, Eugenia» le disse un giorno. «Hai scoperto la stella compagna in modo abbastanza casuale, e potrebbe scoprirla anche qualche tuo collega.»

«Poco probabile…» iniziò lei.

«No, Eugenia, non dobbiamo affidarci alle probabilità. Dobbiamo avere la certezza. Farai in modo che nessuno guardi in quella direzione, che nessuno voglia studiare quei particolari tabulati che rivelerebbero la posizione di Nemesis.»

«E come?»

«Facile. Ho parlato al Commissario e, da questo momento, la direzione del progetto di ricerca della Sonda Remota passa a te.»

«Ma questo significherebbe scavalcare…»

«Esattamente. Questo comporta maggiori responsabilità, uno stipendio più alto, una posizione sociale più elevata. Qualcosa in contrario?»

«No, assolutamente» rispose lei, mentre il cuore cominciava a batterle forte.

«Sono certo che sarai all’altezza del tuo compito di Primo Astronomo, ma il tuo scopo principale sarà quello di assicurarti che il lavoro svolto si mantenga su un livello qualitativo il più alto possibile, sia importante, ma non abbia niente a che fare con Nemesis.»

«Ma, Janus, questo segreto non può durare in eterno.»

«Non deve durare in eterno. Una volta abbandonato il Sistema Solare, conosceremo tutti la nostra destinazione. Fino ad allora, ne sarà informato il minor numero possibile di persone, e quei pochi lo sapranno il più tardi possibile.»

La promozione aveva soffocato la sua smania di obiettare, constatò Eugenia vergognandosi un po’.

Un’altra volta, Pitt le disse: «E tuo marito?»

«Mio marito, cosa?» Eugenia assunse subito un atteggiamento difensivo.

«È un terrestre, a quanto pare.»

Eugenia serrò le labbra. «È di origine terrestre, ma è un cittadino rotoriano.»

«Capisco. Immagino che tu non gli abbia rivelato nulla di Nemesis.»

«Assolutamente.»

«E questo tuo marito non ti ha spiegato perché ha lasciato la Terra e si è impegnato tanto per diventare cittadino rotoriano?»

«No. E io non gliel’ho chiesto.»

«Ma non te lo domandi mai?»

Eugenia esitò, poi gli disse la verità. «Sì, me lo sono domandato, a volte.»

Pitt sorrise. «Dovrei dirtelo, forse.»

E lo fece, a poco a poco. Mai in maniera diretta e invadente. Non fu mai una rivelazione traumatica per lei, ma piuttosto un lento stillicidio ad ogni conversazione, che la aiutò a uscire dal suo guscio intellettuale. Vivendo su Rotor, in fin dei conti, era fin troppo facile prendere in considerazione solo le cose rotoriane.

Ma, grazie a Pitt, a quello che le disse, ai film che le suggerì di vedere, Eugenia acquistò una nuova consapevolezza della Terra e dei suoi miliardi di abitanti, della violenza e della carestia endemiche, delle sue droghe e della sua alienazione. Cominciò a vederla come un abisso immane di miserie, un luogo da cui fuggire. Non si chiese più come mai Crile Fisher avesse lasciato la Terra. Si chiese come mai così pochi terrestri seguissero il suo esempio.

E la situazione delle Colonie non era molto migliore. Eugenia si rese conto che erano chiuse in se stesse, che alla gente veniva impedito di muoversi liberamente da un insediamento all’altro. Nessuno voleva la flora e la fauna microscopiche delle altre Colonie. Gli scambi commerciali languivano, e ci si serviva sempre più spesso di navi automatizzate che trasportavano carichi accuratamente sterilizzati.

Le Colonie litigavano e si detestavano a vicenda. Per le Colonie circummarziane le cose non andavano molto meglio. Solo nella zona asteroidale le Colonie stavano moltiplicandosi liberamente, e perfino quelle ormai guardavano con diffidenza tutte le Colonie interne.

Eugenia cominciò a sentirsi d’accordo con Pitt, ad entusiasmarsi addirittura al pensiero di fuggire da una miseria insopportabile per dar vita a un sistema di mondi da cui i semi della sofferenza fossero stati estirpati. Un nuovo inizio, una nuova possibilità.

Poi scoprì che c’era un figlio in arrivo, e il suo entusiasmo cominciò a scemare. Per lei e per Crile valeva la pena di rischiare e di affrontare il lungo viaggio, d’accordo. Ma esporre a certi rischi un neonato, un bambino…

Pitt rimase imperturbabile. Si congratulò con lei. «Nascerà qui, e tu avrai un po’ di tempo per abituarti alla situazione. Ci vorrà almeno un anno e mezzo prima che siamo pronti a partire. E allora sarai contenta di non dovere più aspettare. Il bambino non avrà alcun ricordo delle miserie di un pianeta in rovina e di un’umanità disperatamente divisa. Conoscerà solo un nuovo mondo, dove regnerà un’armonia culturale… Un bambino fortunato. Mio figlio e mia figlia sono già grandi, sono già segnati.»

Ed Eugenia cominciò di nuovo a condividere l’opinione di Pitt, e alla nascita di Marlene aveva già paura, paura che prima della partenza la bambina venisse contagiata dal fallimento caotico che rispondeva al nome di Sistema Solare.

Ormai, era schierata completamente dalla parte di Janus Pitt.

Fisher sembrava affascinato da Marlene, con grande sollievo di Eugenia. Lei non se lo aspettava, immaginava che non sarebbe stato granché come padre. Invece Crile Fisher era sempre accanto alla figlia e, quando bisognava accudirla, non si tirava mai indietro, anzi lo faceva volentieri, sembrava più allegro.

Quando Marlene stava avvicinandosi al suo primo compleanno, in tutto il Sistema Solare si sparse la voce che Rotor intendeva andarsene. Ne derivò quasi una crisi generale e Pitt, che a questo punto aveva ottime probabilità di diventare Commissario, ebbe una reazione di macabro divertimento.

«Be’, cosa possono fare?» disse. «Non possono fermarci in nessun modo, e tutte queste accuse di slealtà, questa dimostrazione di sciovinismo «solare», serviranno solo a ostacolare le loro indagini nel campo dell’iperassistenza, il che, per noi, va benissimo.»

«Ma come si è sparsa la notizia, Janus?» chiese Eugenia.

«Ho provveduto io.» Pitt sorrise. «Ormai possono anche sapere che partiremo… nulla in contrario, purché non sappiano dove siamo diretti. Dopo tutto, sarebbe impossibile tenere nascosta la nostra partenza ancora a lungo. Sarà necessaria una votazione, e quando tutti i rotoriani saranno informati della nostra partenza, lo saprà anche il resto del sistema, è inevitabile.»

«Una votazione?»

«Certo. Rifletti. Non possiamo partire con una Colonia di persone troppo impaurite o troppo malate di nostalgia per il Sole. Non ce la faremmo mai. Vogliamo con noi solo quelli disposti a partire volentieri, ansiosi di andarsene, magari.»

Pitt aveva ragione. La campagna per convincere l’opinione pubblica a lasciare il Sistema Solare iniziò quasi subito, e il fatto che la notizia fosse già trapelata servì ad attenuare le reazioni esterne ed interne.

Alcuni rotoriani erano eccitati all’idea, altri avevano paura.

Fisher si accigliò moltissimo, e un giorno disse: «È pazzesco!»

«È inevitabile» replicò Eugenia con circospezione, senza sbilanciarsi.