Выбрать главу

Riviera non si comportava come uno che la sera prima fosse stato aggredito, drogato da una freccetta tossica, rapito, sottoposto all’esame di Finn e costretto da Armitage a unirsi alla loro squadra.

Case controllò l’orologio. Avendo trovato la droga, Molly doveva arrivare a momenti. Sollevò di nuovo lo sguardo su Riviera. — Scommetto che sei già fatto, stronzo — disse, tenendo gli occhi fissi sull’atrio dell’Hilton. Una matrona italiana dai capelli che cominciavano a ingrigire, con indosso una giacca elegante di cuoio bianco, abbassò i suoi occhiali Porsche per fissarlo. Case le regalò un sorrisone, si alzò e si mise la borsa a tracolla. Aveva bisogno di sigarette per il volo. Si chiese se per caso ci fosse uno scompartimento per fumatori sullo shuttle della JAL. — Ci vediamo, signora — disse rivolto alla donna, la quale risollevò prontamente gli occhiali da sole e volse altrove lo sguardo.

Vendevano sigarette nel negozio dei ricordini, ma non gli piaceva affatto la prospettiva di mettersi a chiacchierare con Armitage o, peggio ancora, con Riviera. Lasciò l’atrio dell’Hilton e localizzò una consolle per la vendita automatica dentro una piccola nicchia, oltre una fila di telefoni a gettone.

Si frugò in una tasca piena di lire turche, infilando una dopo l’altra le monete piccole e opache, vagamente divertito dall’anacronismo di quella procedura. Il telefono più vicino a lui squillò.

Per puro riflesso automatico sollevò il ricevitore.

— Sì?

Un suono vagamente modulato, minuscole voci quasi impercettibili accavallate in un qualche collegamento orbitale, e poi un fruscio simile al vento.

— Ciao, Case.

Una moneta da cinquanta lire turche gli cadde di mano, rimbalzò e rotolò lontano attraverso la moquette dell’Hilton.

— Invernomuto, Case. È ora di fare quattro chiacchiere.

Era la voce di un chip.

— Non vuoi parlare, Case?

Riappese.

Mentre tornava nell’atrio dell’albergo senza aver comprato le sigarette, Case fu costretto a ripercorrere per tutta la lunghezza il corridoio con la fila di telefoni. Uno dopo l’altro, squillarono tutti al suo passaggio.

PARTE TERZA

Mezzanotte in rue Jules Verne

8

Arcipelago.

Le isole. Anello, fuso, ammasso. Il DNA che si propaga dal ripido pozzo gravitazionale come una chiazza di petrolio.

Richiamate la schermata che rappresenta semplificato lo scambio di dati dell’arcipelago L-5. Focalizzate un certo frammento… ed eccolo lì, rosso, compatto, un massiccio rettangolo che domina lo schermo.

Freeside. Il Freeside è molte cose, non tutte evidenti ai turisti che vanno e vengono su e giù con le navette lungo il pozzo gravitazionale. Il Freeside è un nesso di bordelli e banche, luogo di piaceri e porto franco, città di frontiera e stazione termale. Il Freeside è Las Vegas e i giardini pensili di Babilonia, una Ginevra orbitale e dimora d’una famiglia cresciuta attraverso matrimoni tra consanguinei selezionati con estrema cura, il clan industriale dei Tessier e Ashpool.

Sul transcontinentale della THY diretto a Parigi viaggiarono in prima classe, Molly sul sedile accanto al finestrino, Case subito accanto a lei, Riviera e Armitage verso il corridoio. Vi fu un attimo, quando l’aereo s’inclinò, virando sopra l’acqua, in cui Case colse il bagliore di una città su un’isola greca, simile a un gioiello. E mentre allungava la mano verso il bicchiere colse il tremolio di qualcosa che pareva un immenso spermatozoo umano negli abissi del suo bourbon con acqua.

Molly si allungò oltre lui per mollare un violento ceffone a Riviera. — No, bimbo, niente scherzi. Se non mi togli subito di torno quella merda subliminale, ti farò male sul serio. E posso farlo senza procurarti il minimo danno. E ti garantisco che, sì, mi piacerebbe. - Case si girò d’istinto per controllare la reazione di Armitage. Ma il volto liscio dell’altro sembrava tranquillo, gli occhi azzurri vigili, senza collera. — Sì, Peter. Ha ragione. Non farlo.

Case tornò a voltarsi, appena in tempo per cogliere il brevissimo lampeggiare d’una rosa nera, i petali lucenti come il cuoio, lo stelo scuro cosparso di spine di cromo riflettente.

Peter Riviera accennò un sorriso cordiale, chiuse gli occhi e in un attimo sprofondò nel sonno.

Molly guardò altrove, le sue lenti riflesse sul finestrino scuro.

— Sei già stato su, vero? — chiese Molly, mentre lui si dimenava per mettersi comodo sullo spesso divano di termopiuma dello shuttle della JAL.

— Oh, no. Non ho mai viaggiato granché, soltanto per lavoro. — Lo steward gli stava applicando degli elettrodi al polso e all’orecchio sinistro.

— Spero che non ti prenda la sindrome da adattamento allo spazio — disse Molly.

— Mal d’aria? Non c’è pericolo.

— Non è la stessa cosa. A gravità zero il tuo battito cardiaco accelera e l’orecchio interno impazzisce per un tot. Attiva il tuo riflesso di fuga, come se avessi ricevuto il segnale di scappare a gambe levate, più un sacco di adrenalina. — Lo steward passò a Riviera, prelevando una nuova serie di elettrodi dal suo grembiule di plastica rossa.

Case girò il capo, cercando di distinguere i profili dei vecchi terminali di Orly, ma la piattaforma della navetta era schermata da graziosi deflettori di cemento bagnato. Quello più vicino mostrava uno slogan in arabo tracciato con una bomboletta spray rossa.

Chiuse gli occhi e si disse che la navetta era soltanto un aereo un po’ più grande, che volava molto alto. Aveva lo stesso odore di aeroplano, di vestiti nuovi, di gomma da masticare e di fumi di scappamento. Ascoltò la stridula musica di un koto, e attese.

Venti minuti, poi la gravità calò su di lui come una grande mano morbida con ossa di antica pietra.

La sindrome da adattamento allo spazio era peggio della descrizione che ne aveva fatto Molly, ma passò abbastanza in fretta, dopodiché Case fu in grado di dormire. Lo steward lo svegliò mentre si stavano preparando ad attraccare al gruppo di terminal della JAL.

— Adesso andiamo a Freeside? — domandò, seguendo con lo sguardo un filo di tabacco Yeheyuan che gli era scivolato dal taschino della camicia e se ne stava andando alla deriva leggiadro a una decina di centimetri dal naso. Non si poteva fumare durante il volo della navetta.

— No, abbiamo la solita, piccola trovata del capo che scombussola il piano originario, sai. Prenderemo un tassi fino a Zion, nel gruppo di Zion. — Molly sfiorò la piastra di rilascio della propria imbracatura e cominciò a liberarsi dall’abbraccio della gommapiuma. — Strana scelta per un appuntamento, se vuoi la mia opinione.

— Come mai?

— Pericolo. Rasta. Adesso la colonia ha circa trent’anni.

— Cosa vuol dire?

— Vedrai. A me quel posto va a genio. Comunque, là ti lasceranno fumare le tue sigarette.

Zion era stata fondata da cinque operai che si erano rifiutati di tornare: voltate le spalle al pozzo, avevano cominciato a costruire, soffrendo della carenza di calcio e del restringimento del cuore prima che venisse creata la gravità rotazionale nell’anello principale della colonia. Vista dalla bolla del tassi, la struttura improvvisata dello scafo di Zion ricordò a Case i falansteri rattoppati di Istanbul, soprattutto le piastre irregolari, scolorite, scribacchiate con il laser in simboli rastafariani, più le iniziali dei saldatori.