Выбрать главу

— Stimolanti. Attivatori del sistema nervoso centrale. Induttori del sistema nervoso centrale estremamente potenti.

— Be’, ne ha qualcuno? — Cath si fece più vicino. Gocce d’acqua clorurata caddero sui calzoni di Case.

— No. È questo il mio problema, Cath. Sai dove possiamo trovarne?

Cath si dondolò all’indietro sui talloni abbronzati e si leccò una ciocca di capelli castani che le si era incollata accanto alla bocca. — Che preferenze hai?

— Niente coca o amfe, o roba del genere… ma più su, voglio andare molto più su. - Basta così, si disse, cupo, continuando a sorriderle.

— Betafenetilammina — disse la donna. — Non è difficile. Ce l’hai sul tuo chip.

— Stai scherzando — esclamò il partner e compagno di stanza di Cath quando Case gli ebbe spiegato le peculiari proprietà del pancreas che gli avevano trapiantato a Chiba. — Voglio dire, non puoi fargli causa o qualcosa del genere? Per incompetenza professionale? — Si chiamava Bruce. Pareva una versione di Cath al maschile, fino all’ultima efelide.

— Be’, sapete come vanno le cose. Come la compatibilità dei tessuti e tutto il resto — rispose Case. Ma gli occhi di Bruce erario già intorpiditi dalla noia. Ha la stessa attenzione di un moscerino, si disse Case, studiando gli occhi castani del ragazzo.

La loro camera era più piccola di quella che Case divideva con Molly, e si trovava a un altro livello, più prossima alla superficie. Cinque giganteschi Cibachrome di Tally Isham erano appiccicati con nastro adesivo alla finestra del terrazzino, suggerendo così una permanenza prolungata.

— Non sono favolose? — chiese Cath, vedendo che lui sbirciava le enormi diapo. — Mie. Le ho scattate alla piramide S/R, l’ultima volta che siamo scesi in fondo al pozzo… sulla Terra, voglio dire. Lei era così vicina e mi ha sorriso e basta, in modo così naturale. Ed era davvero brutto, Lupus… era il giorno dopo che quei terroristi di Cristo Re avevano messo la cocaina nell’acqua, sai.

— Già — mormorò Case, d’un tratto a disagio. — Una cosa terribile.

— Allora — li interruppe Bruce. — A proposito di questa beta che vuoi comprare…

— Il fatto è… posso metabolizzarla? — Case inarcò le sopracciglia.

— Sai che ti dico? Fai un assaggio. Se per il tuo pancreas è okay, offre la casa. La prima volta è gratis.

— Questa l’ho già sentita — disse Case, prendendo il derma azzurro vivo che Bruce gli passava sopra il copriletto nero.

— Case? — Molly si rizzò a sedere sul letto e scostò i capelli dalle lenti.

— Chi altri, tesoro?

— Cosa ti ha preso? — Gli specchi lo seguirono attraverso la stanza.

— Ho dimenticato come si pronuncia — rispose lui, sfilando una striscia arrotolata di dermi azzurri dal taschino.

— Cristo, proprio quello che ci serviva.

— Mai furono dette parole più vere.

— Ti perdo di vista per due ore, e subito mi freghi e ti procuri una dose. — Molly scosse la testa. — Spero che tu sia pronto per la nostra grande cena con Armitage. In quel locale stile ventesimo secolo. Dovremo anche sorbirci Riviera che ostenta la sua menata.

— Già — replicò Case, inarcando la schiena, con il sorriso bloccato in un rictus di piacere. — Magnifico.

— Amico, se quell’affare riesce a passare attraverso quello che i chirurghi ti hanno fatto a Chiba, sarai nello stato più triste che si possa immaginare, quando l’effetto sarà finito.

— Maledetta puttana — replicò Case, slacciandosi la cintura. — Triste, da fine del mondo… È tutto quello che sento. — Si sfilò i calzoni, si tolse la camicia e la biancheria intima. — Credo che dovresti avere quel minimo di buon senso da approfittare del mio stato innaturale. — Abbassò gli occhi. — Voglio dire, guarda che stato innaturale.

Molly scoppiò a ridere. — Non durerà.

— E invece sì — ribatté lui, salendo sulla termopiuma color sabbia. — Ecco cos’ha di tanto innaturale.

11

— Case, qualcosa che non va? — chiese Armitage mentre il cameriere li faceva accomodare al tavolo del Vingtième Siècle. Era il più piccolo e il più costoso dei numerosi ristoranti galleggianti su un laghetto vicino all’Intercontinental.

Case rabbrividì. Bruce non aveva parlato di strascichi. Cercò di afferrare un bicchiere di acqua ghiacciata, ma le mani gli tremavano troppo. — Qualcosa che ho mangiato, forse.

— Vorrei che ti facessi vedere da un medico — disse Armitage.

— È soltanto la reazione all’istamina — mentì Case. — Mi capita ogni tanto quando viaggio e mangio roba diversa.

Armitage indossava un abito scuro, troppo formale per quel posto, e una camicia bianca di seta. Il suo braccialetto d’oro tintinnò quando sollevò il bicchiere e ne sorseggiò il contenuto. — Ho già ordinato per voi — li informò.

Molly e Armitage mangiarono in silenzio, mentre Case tagliava con mano tremante la propria bistecca, riducendola a frammenti grandi come bocconi che si limitò a far navigare nell’abbondante salsa, rinunciando a mangiarli.

— Gesù, dalla a me — esclamò Molly, il suo piatto ormai vuoto. — Sai quanto costa? — Prese il piatto di Case. — Devono allevare un intero animale per anni, e poi ucciderlo. Questa non è roba delle vasche. — Si riempì la bocca con una forchettata e cominciò a masticare.

— Non ho appetito — riuscì a dire Case. Il suo cervello era stato fritto a puntino. No, decise in seguito, era stato buttato nel grasso bollente e lasciato a mollo, e il grasso si era raffreddato, un untume denso e opaco s’era coagulato sui lobi arricciati, venato da lampi violacei di dolore.

— Hai un aspetto tremendo — commentò Molly con brio.

Case assaggiò il vino. A causa dei postumi della betafenetilammina sembrava di bere iodio.

Le luci si abbassarono.

— Le Restaurant Vingtième Siècle è orgoglioso di presentare il cabaret olografico del signor Peter Riviera — disse una voce disincarnata con un marcato accento dello Sprawl. Sparuti applausi si levarono dagli altri tavoli. Un cameriere accese un’unica candela e la posò al centro del loro tavolo, poi cominciò a portare via i piatti. Poco dopo una candela tremolava su ciascuno dell’altra dozzina di tavoli del ristorante, e vennero serviti i drink.

— Cosa sta succedendo? — domandò Case, rivolto ad Armitage, che non rispose.

Molly si pulì i denti con un’unghia borgogna.

— Buona sera — salutò Riviera, salendo su un piccolo palco all’estremità opposta della sala. Case sbatté le palpebre: nel suo malessere non aveva notato la presenza del palcoscenico. Non aveva visto da dove fosse sbucato Riviera. L’inquietudine crebbe.

In un primo momento aveva pensato che l’uomo fosse illuminato da un riflettore.

Invece Riviera brillava di suo, la luce aderiva su di lui come una seconda pelle, illuminando i tendaggi scuri in fondo al palco. Era lui a proiettare la luce.

Riviera sorrise. Indossava uno smoking bianco sul cui bavero carboni azzurri ardevano nelle viscere di un garofano nero. Le unghie balenarono quando sollevò la mano in un gesto di saluto, un abbraccio rivolto al suo pubblico. Case sentì lo sciabordio dell’acqua bassa che lambiva il fianco del ristorante.

— Questa sera vorrei esibirmi per voi in un numero più lungo del solito. Un nuovo lavoro — annunciò Riviera, con i lunghi occhi che brillavano. La fredda luce di un rubino si concretizzò sul palmo della mano destra sollevata. Lo lasciò cadere. Una colomba grigia si levò con un frullar d’ali dal punto dell’impatto e scomparve fra le ombre. Qualcuno fischiò, altri applaudirono.