Maelcum stava sussurrando nella radio in un patois concitato quando Case fece il suo ingresso dalla camera stagna di prua, togliendosi il casco.
— Aerol è tornato al Rocker - l’informò Case.
Maelcum annuì, senza smettere di parlottare nel microfono.
Case si issò oltre il groviglio di dreadlock del pilota e cominciò a togliersi la tuta. Adesso Maelcum aveva gli occhi chiusi e annuiva mentre prestava orecchio a una qualche risposta che gli stava giungendo tramite un paio di auricolari con i tamponcini color arancio vivo, la fronte aggrottata per la concentrazione. Indossava dei jeans sbrindellati e una vecchia giubba verde di nylon con le maniche strappate. Case ficcò la tuta rossa della Sanyo in un’amaca portabagagli e si calò fino alla rete-g.
— Vedi un po’ cosa dice quel fantasma, amico — propose Maelcum. — Il computer continua a chiedere di te.
— Ma allora chi c’è sopra quell’affare?
— Lo stesso giapponese già venuto prima. E adesso c’è con lui il tuo signor Armitage, uscito dal Freeside…
Case si applicò gli elettrodi e si inserì.
— Dixie?
La matrice gli mostrò le sfere rosa dell’acciaieria del Sikkim.
— Cosa stai combinando, ragazzo? Ho sentito delle storie sensazionali. Adesso l’Hosaka è collegato a un a tastiera gemella sulla barca del tuo capo. Va a mille. Hai attirato l’attenzione dei Turing?
— Sì, ma Invernomuto li ha ammazzati.
— Be’, questo non li fermerà a lungo. Ce ne sono ancora molti di quella razza. Verranno quassù in forze. Scommetto che i loro deck stanno già ronzando per tutto questo settore della griglia come le mosche sulla merda. E il tuo capo, Case, lui dice che è ora di andare. Di partire… e di partire adesso.
Case digitò le coordinate del Freeside.
— Mi ci vorrà un secondo, Case… — La matrice si offuscò ed entrò in fase quando il Flatline eseguì un’intricata serie di balzi con una velocità e una precisione che fecero trasalire Case per l’invidia.
— Merda, Dixie…
— Ehi, ragazzo, anch’io ero parecchio in gamba quand’ero al mondo. Non hai ancora visto niente. Senza mani!
— È quello, eh? Quel grosso rettangolo verde sulla sinistra?
— Ci sei. Il nucleo dei dati societari della Tessier-Ashpool S.A., e quell’ice è generato dalle loro due amichevoli IA. Mi pare che siano all’altezza di quelle militari. È un ice formato gigante quello, Case, un ice d’inferno, nero come una tomba e liscio come il ghiaccio. Ti frigge il cervello appena ti guarda. Se adesso ti avvicini un po’ di più, ti pianterà dei traccianti nel culo che ti usciranno da tutte e due le orecchie mentre lui fa sapere ai ragazzi della sala di controllo della T-A il tuo numero di scarpe e quanto ce l’hai lungo.
— Non ti pare che scotti un po’ troppo ’sta faccenda? Voglio dire, con quelli del Turing fra i piedi. Stavo pensando che forse dovremmo cercare di squagliarcela. Posso portarti con me.
— Sì? Davvero. Non vuoi vedere cosa può fare quel programma cinese?
— Be’, io… — Case studiò le pareti verdi dell’ice della T-A. — Ma sì, proviamo.
— Lancialo.
— Ehi, Maelcum — disse Case, scollegandosi. — È probabile che mi tocchi rimanere sotto gli elettrodi per otto ore filate. — Maelcum stava fumando di nuovo. La cabina era invasa dal fumo. — Così non potrò arrivare a…
— Nessun problema, amico. — Lo zionita eseguì un’acrobatica capriola in avanti per andare a rovistare nel contenuto di una borsa a maglia chiusa da una cerniera. Ne tirò fuori un rotolo di tubo trasparente e qualcos’altro, sigillato in un pacchetto a bolla sterile.
Spiegò che era un catetere texano, e a Case non piacque per niente.
Quest’ultimo lanciò il virus cinese, fece una pausa, poi completò l’operazione.
— Va bene. Ci siamo. Stammi a sentire, Maelcum: se la cosa si fa seria, puoi afferrarmi il polso sinistro. Lo sentirò. Altrimenti credo che dovrai fare quello che ti dice l’Hosaka, d’accordo?
— Sicuro, capo. — Maelcum s’accese un altro spinello.
— E accendi il depuratore. Non voglio che quella merda di fumo mi mandi a puttane i neurotrasmettitori. Già così ho un tremendo mal di testa.
Maelcum sogghignò.
Case si ricollegò.
— Cristo santo — disse il Flatline. — Guarda un po’ che roba.
Il virus cinese si stava propagando tutt’intorno a loro. Ombre policrome, innumerevoli strati alabastrini che si spostavano e si ricombinavano. Proteiforme, immenso, torreggiava su di loro, cancellando il vuoto.
— Grande madre — disse il Flatline.
— Vado a controllare Molly — dichiarò Case, attivando il pulsante del simstim.
Caduta libera. La sensazione di un tuffo nell’acqua perfettamente limpida. Molly stava cadendo-salendo attraverso un ampio tubo scanalato di cemento lunare, illuminato a intervalli di due metri da anelli di neon bianco. Il collegamento era a senso unico. Case non poteva parlarle.
Disattivò.
— Ragazzi, questo sì che è un pezzo di software davvero carogna. La più grossa novità dopo l’invenzione dei toast. Quel dannato affare è invisibile. Proprio adesso ho affittato venti secondi su quella scatoletta rosa, quattro salti a sinistra sull’ice della T-A, per dare un’occhiata a come apparivamo. Be’, non appariamo affatto. Non ci siamo.
Case esplorò la matrice intorno all’ice della Tessier-Ashpool fino a quando non trovò la struttura rosa, un’unità commerciale standard, e si digitò il più possibile vicino a essa. — Forse è difettosa.
— Forse, ma ne dubito. È una creatura dei militari, comunque. Ed è nuova. Banalmente, non fa registrare la sua presenza. Se lo facesse, avremmo letto i dati relativi a qualche genere di attacco cinese a sorpresa, invece nessuno si è agitato di un millimetro nonostante la nostra presenza. Forse neppure la gente a Straylight.
Case osservò la parete vuota che schermava villa Straylight. — Be’, è un vantaggio, giusto?
— Forse. — Il costrutto fece la vaga imitazione d’una risata. Case trasalì a quella sensazione. — Ho ricontrollato il vecchio Kuang Undici per te, ragazzo. Puoi fidarti… fintanto che sei dalla parte del grilletto è quanto di più cortese e servizievole si possa immaginare. Parla anche un discreto inglese. Hai mai sentito parlare di virus ad azione lenta?
— No.
— Io sì, una volta. All’epoca era soltanto un’ipotesi. Comunque è proprio di questo che si tratta. Qui non è questione di perforare e iniettare, ma è piuttosto come se ci interfacciassimo con l’ice in modo così lento che l’ice non se ne accorge neppure. In un certo senso la configurazione logica del Kuang si avvicina subdola al bersaglio, e poi muta in modo da diventare esattamente come il tessuto dell’ice. Poi noi ci agganciamo e subentrano i programmi principali, cominciando a menare per il naso i sistemi logici dell’ice. E diventiamo fratelli siamesi prima ancora che inizino ad agitarsi. — Il Flatline scoppiò nuovamente a ridere.
— Vorrei che non fossi così maledettamente allegro oggi, amico. Non so perché, ma quella tua risata mi fa correre i brividi lungo la schiena.
— Peggio per te — rispose il Flatline. — Il vecchio cadavere ha bisogno delle sue risate. — Case fece scattare l’interruttore del simstim.
E si schiantò in mezzo al metallo contorto e all’odore della polvere. Le mani scivolarono sulla carta liscia. Qualcosa alle sue spalle cadde con fracasso.
— Suvvia — disse Finn. — Tirati su un po’.
Case era riverso su una pila di riviste ingiallite, con le ragazze che lo guardavano raggianti nella penombra della Metro Holografix, una languida galassia di dolci denti bianchi. Giacque così fino a quando il suo cuore non ebbe rallentato il ritmo, respirando l’odore delle vecchie riviste.