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— Invernomuto mi ha detto… — bisbigliò lei. — Mi ha detto di aver fatto un gioco di attesa per anni. Allora non aveva un vero potere, però era in grado di usare i sistemi di sicurezza e di protezione della villa per sapere dove si trovava ogni oggetto, a quale scopo serviva e come funzionava. Vent’anni fa ha visto qualcuno perdere questa chiave, e ha fatto in modo che qualcun altro la lasciasse qui. Poi ha ucciso chi l’ha portata qui. Era un ragazzino di otto anni. — Molly serrò le dita bianche sulla chiave. — Così nessuno avrebbe potuto trovarla. — Prese un tratto di cordicella di nylon nero dal marsupio della tuta e l’infilò nel foro rotondo sopra CHUBB. L’annodò, passandosela intorno al collo. — Mi ha detto che gli rompevano sempre i coglioni con quella storia di com’erano all’antica, con tutta la loro roba del diciannovesimo secolo. Lui aveva proprio l’aspetto di Finn sullo schermo in quella topaia dei pupazzi di carne. Potevo quasi convincermi che fosse Finn, se non facevo molta attenzione. — Sul suo schermo balenò l’ora. Alfanumerici sovrapposti ai grigi armadietti d’acciaio. — Ha detto che se fossero diventati quello che voleva lui avrebbe potuto uscire già da un bel pezzo. Ma non l’hanno fatto. Hanno sballato tutto. Mostriciattoli come 3Jane. È così che l’ha chiamata. Me ne ha parlato come se gli fosse simpatica.

Molly si girò, aprì la porta e uscì, sfiorando con la mano l’impugnatura a scacchi della Fletcher infilata nella fondina.

Case commutò.

Il Kuang Grade Versione Undici stava crescendo.

— Dixie, pensi che questo affare funzionerà?

— Come no? — Il Flatline li digitò ambedue attraverso strati cangianti di arcobaleno.

Qualcosa di scuro si stava formando nel nucleo del programma cinese. La densità dell’informazione sopraffece la trama della matrice, attivando immagini ipnagogiche. Deboli sprazzi caleidoscopici si focalizzarono su un punto nero-argento. Case vide i simboli del male e della sfortuna della sua infanzia roteare lungo piani luminescenti, svastiche, teschi e tibie incrociate, dadi con un doppio uno. Se guardava direttamente quel punto zero, non si formava nessun contorno. Eseguì rapidamente una dozzina di ricognizioni periferiche prima di vederla, qualcosa simile a uno squalo, luccicante come ossidiana, gli specchi neri dei fianchi riflettenti deboli luci lontane che non avevano nessun rapporto con la matrice intorno.

— È quello il pungiglione — disse il costrutto. — Una volta che il Kuang avrà saldamente in pugno il nucleo della Tessier-Ashpool, potremo passarci attraverso.

— Avevi ragione, Dix. C’è una possibilità di intervento manuale sull’hardware che tiene Invernomuto sotto controllo. Per quanto lui sia per la maggior parte sotto controllo — aggiunse.

— Lui — replicò il costrutto. — Lui. Stai attento. Non è un lui, è una cosa. Non faccio altro che ripeterlo.

— È un codice. Una parola, ha detto. Qualcuno deve pronunciarla in una specie di leggiadro terminale in una certa stanza, mentre noi ci occupiamo di qualunque cosa ci stia aspettando dietro quell’ice.

— Be’, ne hai di tempo da ammazzare, ragazzo — osservò il Flatline. — Il vecchio Kuang è lento ma sicuro.

Case si scollegò.

E si trovò davanti Maelcum che lo fissava.

— Tu morto mentre eri là, amico.

— Cose che capitano — rispose Case. — Io ci sono abituato.

— Tu hai a che fare con buio, amico.

— È il solo gioco in città, a quanto pare.

— Te piace, Case — disse Maelcum prima di riportare la sua attenzione sul radiomodulo. Case osservò i muscoli tesi sulle braccia scure dell’uomo.

Si ricollegò.

Era di nuovo dentro.

Molly stava avanzando a passo svelto in un tratto di corridoio che forse aveva già percorso prima. Adesso le bacheche con la parete anteriore di vetro erano sparite, e Case decise che stavano andando verso la punta del fuso, dal momento che la gravità stava diventando sempre più debole. Ben presto Molly si trovò a saltellare disinvoltamente sopra le collinette ondulate formate dai tappeti. Deboli fitte nella gamba…

D’un tratto il corridoio si strinse, svoltò, si divise.

Molly girò a sinistra e cominciò a salire una strana rampa di scale, mentre la gamba cominciava a farle davvero male. Sopra di lei, sulla tromba delle scale, c’erano cavi legati in fasci e attaccati al soffitto, simili a gangli linfatici colorati. Le pareti erano chiazzate dall’umidità.

Quando Molly arrivò a un pianerottolo triangolare si fermò, massaggiandosi la gamba. Altri corridoi, angusti, con tappeti appesi alle pareti. Si diramavano in tre direzioni.

SINISTRA.

Molly scrollò le spalle.

SINISTRA.

— Rilassati. C’è tempo. — S’incamminò lungo il corridoio di destra.

FERMATI.

TORNA INDIETRO.

PERICOLO.

Esitò. Dalla porta socchiusa all’estremità opposta del corridoio giunse una voce, forte e biascicata, come quella di un ubriaco. Case sospettò che la lingua potesse essere francese, ma era troppo indistinta. Molly fece un passo, un altro, facendo scivolare la mano dentro la tuta per toccare il calcio della Fletcher. Quando entrò nel campo neurale disgregante, nelle orecchie le risuonò una sottile vibrazione crescente che a Case ricordò il rumore della Fletcher. Molly crollò in avanti, con i muscoli striati fuori uso, e colpì la porta con la fronte. Si rigirò e giacque supina, con gli occhi sfocati, il respiro cessato.

— Cos’è questo? — disse la voce biascicata. — Un ballo in maschera? — Una mano penetrò nel davanti della tuta e quando trovò la Fletcher la sfilò. — Vieni a farmi visita, bambina. Adesso.

Molly si rialzò adagio, con gli occhi fissi sulla bocca della nera pistola automatica. Adesso la mano dell’uomo era diventata abbastanza ferma, e la canna della pistola pareva attaccata alla gola di Molly da una cordicella tesa e invisibile.

Era vecchio, molto alto, e i lineamenti ricordavano a Case la ragazza che aveva intravisto al Vingtième Siècle. Indossava una pesante vestaglia di seta marrone, imbottita nei lunghi polsini e nel colletto a scialle. Un piede era nudo, l’altro calzato in una pantofola di velluto nero con una testa di volpe ricamata in oro sopra la tomaia. Le fece cenno di entrare nella stanza. — Piano, carina. — La stanza era molto ampia, gremita di un assortimento di oggetti che non avevano nessun significato per Case. Vide una scaffalatura d’acciaio piena di monitor Sony vecchio modello, un ampio letto d’ottone sul quale erano ammucchiate pelli di pecora, con cuscini che parevano confezionati con lo stesso tipo di tappeto usato per i corridoi. Gli occhi di Molly guizzarono dalla gigantesca consolle giochi della Telefunken agli scaffali di antiche registrazioni su disco, con i dorsi sbriciolati racchiusi nella plastica trasparente, a un ampio bancone da lavoro su cui erano sparpagliate placche di silicio. Case registrò la presenza di un deck da cyberspazio con i relativi elettrodi, ma lo sguardo di Molly vi passò sopra senza fermarsi.

— A questo punto per me sarebbe d’uopo ucciderti — disse il vecchio. Case la sentì tendersi, pronta a scattare. — Ma stanotte voglio concedermi un piccolo lusso. Come ti chiami?

— Molly.

— Molly. Io sono Ashpool. — Il vecchio tornò ad affondare nella morbidezza sgualcita di una gigantesca poltrona di cuoio con squadrate gambe cromate, ma la pistola non ebbe un solo istante di esitazione. Poi posò la Fletcher di Molly su un tavolino di vetro accanto alla poltrona, rovesciando un flacone di plastica pieno di pillole rosse. Il tavolino era coperto di flaconi, bottiglie di liquore, bustine di plastica da cui fuoriuscivano polveri bianche. Case notò un’ipodermica di vetro di vecchio tipo e un comune cucchiaio metallico.