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— Immagino che Invernomuto si sia occupato anche dei tuoi Turing, eh? Come si è occupato dei miei — disse Case.

Armitage continuò a fissarlo. Case resistette all’improvviso impulso di guardare altrove, di abbassare lo sguardo. — Stai bene, Armitage?

— Case… — e per un istante qualcosa parve muoversi, dietro quell’azzurro sguardo fisso. — Hai visto Invernomuto, vero? Nella matrice.

Case annuì. Una telecamera sulla superficie del suo Hosaka sul Marcus Garvey poteva trasmettere il gesto al monitor dell’Haniwa. Immaginò Maelcum intento ad ascoltare le sue mezze conversazioni in trance, incapace di percepire le voci del costrutto o di Armitage.

— Case… — e gli occhi divennero più grandi. Armitage che si chinava verso il suo computer. — Che cos’è quando lo vedi?

— Un costrutto simstim ad alta definizione.

— Ma chi?

— Finn, l’ultima volta… Prima ancora, quel magnaccia che io…

— Non il generale Girling?

— Il generale chi?

La losanga si spense.

— Fallo scorrere di nuovo e di’ all’Hosaka di controllare — disse al costrutto.

Cambiò.

La prospettiva lo sorprese. Molly era rannicchiata fra le travi d’acciaio, venti metri sopra un ampio piancito di liscio cemento chiazzato. Il vasto locale era un hangar o un’area di servizio. Poteva vedere tre mezzi spaziali, nessuno più grande del Garvey, e tutti in differenti fasi di riparazione. Voci che parlavano in giapponese. Una figura in tuta arancione uscì dallo scafo di un veicolo di servizio tondeggiante per fermarsi accanto a un braccio a pistoni curiosamente antropomorfo della macchina. L’uomo digitò qualcosa su una consolle portatile e si diede una grattatina alle costole. Un telecomandato rosso simile a un carrello comparve muovendosi su grigi copertoni.

CASE, lampeggiò il chip di Molly.

— Ehi — disse lei. — Sto aspettando una guida.

E tornò ad accovacciarsi, le braccia e le ginocchia della tuta dei Moderni del colore della vernice grigio azzurra delle travi. La gamba le faceva male, un dolore acuto e costante. — Avrei fatto meglio a tornare a Chin — borbottò Molly.

Qualcosa sbucò dall’ombra ticchettando tranquillamente, all’altezza della sua spalla sinistra. Si fermò un istante, fece ondeggiare il corpo sferico sulle zampe da ragno, emise una raffica di luce laser diffusa della durata di un microsecondo e s’immobilizzò. Era un micromobile Braun. Un tempo Case aveva posseduto lo stesso modello, un accessorio inutile che aveva ottenuto come parte di un accordo “tutto compreso” con un ricettatore di hardware a Cleveland. Pareva uno stilizzato Papà Gambalunga d’un nero opaco. Un led rosso cominciò a pulsare all’equatore della sfera. Il corpo non era più grande di una palla da baseball. — Perfetto — disse Molly. — Ti sento. — Si alzò in piedi per dare sollievo alla gamba sinistra mentre seguiva con lo sguardo il piccolo veicolo che faceva inversione. La macchina avanzò metodicamente lungo la trave scomparendo di nuovo nel buio.

Molly si girò verso l’area di servizio. L’uomo con la tuta arancione stava chiudendo la parte anteriore di uno scafandro bianco. Molly l’osservò mentre girava la guarnizione ad anello e sigillava il casco, per poi afferrare la consolle e rientrare attraverso il varco nello scafo del mezzo di servizio. Si udì il gemito crescente dei motori, quindi l’oggetto scivolò senza sforzo apparente fuori dalla vista su un cerchio di dieci metri di diametro che affondò nel pavimento in mezzo al crudo bagliore di lampade ad arco. Il veicolo rosso aspettava paziente sul bordo del foro lasciato dal ripiano del montacarichi.

Poi Molly si mosse dietro al Braun, facendosi strada in mezzo alla foresta di putrelle d’acciaio saldate. Il Braun continuava ad ammiccare con il suo led, indicandole di proseguire.

— Come te la cavi, Case? Sei di nuovo sul Garvey di Maelcum? Sicuro. E sei collegato. Mi piace, sai. Mi è sempre piaciuto parlare con me stessa quando mi sono trovata in situazioni critiche. Fingo di avere degli amici, qualcuno di cui potermi fidare, e gli dico quello che provo, quello che penso veramente, e così via. Averti qui è un po’ la stessa cosa. Quella scena con Ashpool… — Si morse il labbro inferiore, girando attorno a una trave, senza perdere di vista il veicolo. — Mi aspettavo qualcosa di meno deteriorato, sai. Voglio dire, questi tipi qui dentro sono tutti una gran massa di sterco di pipistrello, quasi che avessero dei messaggi luminosi scribacchiati all’interno della fronte o qualcosa del genere. Non mi piace quello che vedo, non mi piace l’odore che hall veicolo si stava inerpicando per una scala quasi invisibile di pioli d’acciaio a forma di U che saliva verso un’apertura stretta e scura. — E visto che mi sento in vena di confessioni, bimbo, devo ammettere che comunque stavolta non mi aspettavo più di tanto di farcela. È da un po’ che sono sulla lista dei cattivi, e tu sei il solo miglioramento che mi sia capitato da quando ho firmato con Armitage. — Molly sollevò lo sguardo sul cerchio nero. Il led ammiccava mentre la macchina continuava la sua scalata. — Anche se non sei poi così forte, dopo tutto. — Sorrise, ma il sorriso se ne andò troppo in fretta. Molly digrignò i denti per il dolore lancinante alla gamba quando cominciò ad arrampicarsi. La scala continuava a salire attraverso un tubo metallico, a stento largo abbastanza da lasciar passare le spalle.

Si stava arrampicando fuori della gravità, verso l’asse senza peso.

Il suo chip scandiva il tempo.

04:23:04.

Era stata una giornata molto lunga. La chiarezza del sensorio interrompeva il morso della betafenetilammina, ma Case la sentiva ancora. Preferiva il dolore della gamba di Molly.

CASE: 0000

00000000

0000000.

— Credo sia per te — disse Molly, continuando ad arrampicarsi meccanicamente. Gli zeri ricomparvero sfarfallanti e un messaggio balbettò nell’angolo del campo visivo, tagliato dal circuito del display:

GENERALE G

IRLING::::

ADDESTRATO

CORTO PER

PUGNO URLA

NTE EVEND

UTO SUOCU

LO A PENTA

GONO::::::

LA PRESA P

RIMARIA DI

I/MUTO SU

ARMITAGE È

UN COSTRUT

TO DI GIRL

ING:::::::

I/MUTO DIC

E CHE MENZ

IONE DI G

SIGNIFICA

CHE STA CR

OLLANDO:::

GUARDATI L

E SPALLE::

::::DIXIE

— Be’, mi pare che anche tu abbia qualche problemino — disse Molly, facendo gravare tutto il suo peso sulla gamba sinistra. Abbassò lo sguardo. Un debole cerchio di luce, non più grande della chiave Chubb che le penzolava sul seno. Sollevò lo sguardo. Niente del tutto. Appena toccò con la lingua gli ampli, il tubo parve protendersi all’infinito, mentre il Braun continuava a salire lungo i pioli. — Nessuno mi aveva parlato di questa parte — disse Molly.

Case si scollegò.

— Maelcum…

— Amico, tuo capo diventato molto strano. — Lo zionita indossava una tuta da vuoto azzurra della Sanyo di vent’anni più antiquata, come minimo, di quella che Case aveva affittato a Freeside, con il casco sotto il braccio e i dreadlock raccolti in un berrettino di rete confezionato con filo di cotone viola lavorato all’uncinetto. I suoi occhi erano due fessure che trasudavano ganja e tensione. — Ha continuato a chiamare quaggiù con ordini, amico, ma sembra una guerra di Babilonia… — Maelcum scosse il capo. — Aerol e io parlato, e Aerol parlato con Zion, i fondatori detto… tagliate l’angolo e battetevela. — Si passò il dorso d’una manona scura sulla bocca.