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«Sei sicura che non fosse un gemito o qualcosa di simile?» domandai.

«No,» disse Thinta.

«Beh,» dissi io. «Cosa significa?»

«Non lo so,» disse Thinta. «Ho guardato negli archivi storici e qua e là, in effetti, lo nominano. Sembra che fosse una sorta di computer enorme, speciale.»

«Non mi sembra molto probabile,» dissi io.

«No,» fece Thinta. «Solo che… ecco, mi ha un po’ preoccupata.»

Benissimo, così adesso sono preoccupata anch’io. Grazie, Thinta ooma.

Qualche volta, adesso, mi preoccupo. Mi sveglio, la notte, da tutti quegli strani sogni del deserto, e penso… Dio? Dio? Ma sembra che una risposta non esista.

Comunque, adesso sono molto calma. Serena. Forse come Danor. Di solito non mi eccito e non mi infurio più come una volta. Forse ho imparato ad accettare il sole, e ho rinunciato a morderlo.

L’altro unit, Hatta mi ha chiamata di nuovo, tutto bernoccoli e bitorzoli e tentacoli, ed è una vergogna, lo so, ma così proprio non lo sopporto. So che lui ha bisogno di questa prova d’amore, posso capirlo; adesso cerca di nasconderlo a se stesso e continua solo a ripetere che è molto importante essere brutti, qualche volta, e che andare con lui così com’è sarebbe un’Esperienza Essenziale. Forse lo sarebbe e forse dovrei provare. Forse una volta o l’altra proverò.

E non molto tempo fa, mentre viaggiavo con la mia sfera, all’improvviso ho pensato che sarebbe meraviglioso se vi fosse un posto, nella città, dove poter morire senza che i robot ti trovassero mai. Naturalmente c’è il deserto, ma sarebbe un po’ scorretto morire deliberatamente, cittadina come sono: quasi usarlo come un enorme scarico a vuoto. Ho fatto seppellire là fuori il bestiolino — sì, adesso posso dirlo — ma questo è stato diverso. Doveva tornare alle sabbie da cui era nato. Io appartengo a questo crepuscolo da cui sono nata. Ma è vero?

Ma è proprio vero?

FINE