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― Sapeste che fatica, ― raccontano, ― imparare a parlare a questa maniera! E tutto per niente. Urgh!

Il dottor Fiorillo, a mezzo cartello, domanda se hanno anche loro la voce. Per tutta risposta i tre marziani si mettono a cantare l’inno marziano: una cosa molto polifonica e barocca, un po’ sul tipo del Magnificat di Bach. I romani applaudono. Purtroppo si sente il rumore dell’applauso, ma da quelle migliaia di mani sbattute l’una contro l’altra non esce nemmeno l’ombra di una nuvoletta.

― Nun ce sapemo fa’... ― commenta tristemente il ragazzino.

A un tratto si vede il cagnolino dei marziani, che fa: ― Sniff! Sniff!

― Ha fiutato qualcosa, ― dice il vicebrigadiere Mentillo, che nei ritagli di tempo legge i fumetti in busta chiusa, vietati ai minori di diciotto anni.

Un cagnetto terrestre guizzando tra migliaia di scarpe, si è portato proprio sotto le astronavi e abbaia con gran clamore.

“Wuah! Wuah!” risponde la nuvoletta del cane marziano.

Il cagnetto resta perplesso un momento, perché non se l’aspettava. Poi anche dal suo muso viene fuori come uno sbuffo di vapore bianco su cui compaiono alcune lettere tremolanti: “Grrr! Grrr!

― È infuriato, ― traduce il professor De Mauris a monsignor Celestini.

― “Yap! Yap!” insiste amichevolmente il marziano.

Il cagnetto de noantri finalmente si lascia convincere e risponde a tono: “Yap! Yap!”

Yap Yap significa Bau Bau, ― traduce il professor De Mauris ai giornalisti che prendono appunti.

― In marziano?

― Ma no!... In fumettese. In marziano, se le mie informazioni sono esatte, Bau Bau si dovrebbe dire Krk Krk.

Tra i due cagnoli s’instaura una fitta conversazione di nuvolette. Il ragazzino di cui sopra e altri diciottomila ragazzini, che si sono infilati tra le gambe delle forze dell’ordine, ci si divertono tanto che scoppiano a ridere. Ma non in italiano, bensì in fumettese pure loro. Sopra le loro teste scoppiettano allegramente minuscoli cirri, nembi, cumuli e strato-cumuli, nei quali tutti (tranne gli analfabeti) leggono: “Yuk! Yuk! Oh! Ah!”

Una bambina emette per errore anche un paio di “Ulk!”, ma subito si corregge, perché quella è l’esclamazione tipica di chi sta per perdere l’equilibrio e cadere in un burrone; ma al Circo Massimo non ci sono burroni.

Il dottor Fiorillo riflette in rappresentanza del signor questore: ― Questi marziani ci stanno corrompendo i bambini...

E non si accorge che anche dal suo cappello sta uscendo un nuvolone temporalesco, nel quale gli astanti, con somma meraviglia, leggono: “Mumble! Mumble!”

Il vicebrigadiere Mentillo, entusiasta per l’abilità del suo superiore, vorrebbe gridargli “Bravo!”, ma non ce la fa a mettere in movimento le corde vocali. Dal naso, invece, gli esce un cirro a zaffo, con su scritto: “Snap! Snap!

La poca pratica gli ha fatto confondere la parola bravo con il tipico rumore di persona che fa schioccar le dita (da notare, però, che SNAP! è anche il rumore prodotto da una cinta metallica che si schianta, come ben dice Gioachino Forte nel suo dizionario fumettese). Ma imparerà, imparerà. Tutti stanno imparando, senza il minimo sforzo, a produrre formazioni nuvolose istoriate da lettere dell’alfabeto. Il professor De Mauris è così bravo che quando gli si stacca un bottone riesce a farsi uscire dalla giacca l’apposita nuvolina, che dice, senza sbagliare: “Spot!”

― Dev’essere un fatto di suggestione collettiva, ― osserva monsignor Celestini, emettendo, per ragioni di ufficio, una nuvola in forma di aureola.

Un gran silenzio è calato sul Circo Massimo negli ultimi istanti. Tutti parlano a fumetti. Anche quelli che leggono i fumetti degli altri non li leggono più con la voce, ma con un fumetto. Le settemila camionette, che secondo gli ordini ricevuti avevano mantenuto i motori accesi, lasciano uscire dai cofani e dagli scappamenti bianche nuvolette, su cui si legge: “Vroop! Vroop!”... che è, per l’appunto, e al di là di ogni dubbio, il rumore di un motore acceso di una macchina ferma. Si sa che se la macchina viaggiasse a centonovanta all’ora, farebbe invece: “Vroom!”

― Adesso possiamo parlare, ― fumettano i marziani.

― Dite la verità, ― risponde a nuvoletta il vicequestore Fiorillo. ― Avete usato qualche gas per paralizzarci le corde vocali.

― Ma quale gas, ― ribattono, nuvola per nuvola, i marziani. ― Si vede che il fumettese ce l’avevate sulla punta della lingua che aspettava di uscire.

Così, un fumetto dopo l’altro, cominciano le trattative pacifiche. I marziani e le autorità si trasferiscono alla Farnesina. I dischi volanti vengono presi in consegna da un posteggiatore abusivo, oriundo di Castellammare di Stabia. La folla si disperde fumettando e portando il contagio di casa in casa, fino al Tiburtino Terzo e a Casalotti. I campanelli imparano rapidamente a fare “Ring!”, le locomotive in corsa a tirarsi dietro un fumettone volante che dice “Fiu-uuuu!”, nei bar di via Veneto il seltz, schizzando dal sifone, fa il suo bravo “Frrr!” e i ragazzini che si vedono mettere davanti la solita minestra, emettono, in segno di disgusto, un eloquente “Cough!”, senza dimenticare il punto esclamativo. Così si beccano un paio di schiaffoni a fumetti: “Ciaf! Ciaf!

S’intende che il governo ne approfitta immediatamente per dichiarare il fumettese lingua di Stato e per abolire la libertà di parola. Quei pochi che vogliono continuare a parlare con le parole, invece che con i fumetti, si debbono riunire di notte nelle cantine e parlare sottovoce, altrimenti vengono arrestati “per schiamazzi notturni”.

Pareva tanto comodo e bello che le uova, rompendosi sull’orlo del tegamino, producessero soltanto una bollicina con su scritto “Splif!”, o “Scrash!”, secondo che fossero di giornata o conservate. Si è poi vista la fregatura.

E quanti sono quelli che insistono a voler parlare facendo rumore, invece che fumo? Non si sa. Ma speriamo tanti.

La bambola a transistor

― Allora, ― domanda il signor Fulvio alla signora Lisa, sua moglie e al signor Remo, suo cognato, ― che cosa regaliamo a Enrica per Natale?

― Un bel tamburo, ― risponde prontamente il cognato Remo.

― Cosa?!

― Ma sì, una bella grancassa. Con la mazza per picchiarci sopra. Bum! Bum!

― Dai, Remo! ― dice la signora Lisa (per la quale però il signor Remo non è un cognato, ma un fratello). ― Una grancassa tiene troppo posto. E poi, chi sa cosa direbbe la moglie del macellaio.

― Sono sicuro, ― continua il signor Remo, ― che a Enrica piacerebbe moltissimo un portacenere di ceramica colorata a forma di cavallo, con intorno tanti portacenerini piccini piccini, anche loro di ceramica colorata, ma a forma di caciocavallo.

― Enrica non fuma, ― osserva severamente il signor Fulvio. ― Ha appena sette anni.

― Un teschio d’argento, ― propone allora il signor Remo, ― un portalucertole d’ottone, un apritartarughe a forma di angioletto, uno spruzzatore di fagioli a forma d’ombrello.