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Cammina e cammina, arriva alla fontanella dell’acqua acetosa, sotto la Rota e scende a bere. È un’acqua che facilita la digestione, e chi ben digerisce è alla metà dell’opera. Difatti mentre beve gli viene in mente che proprio nel campo lì vicino è stato rubato uno spaventapasseri e decide di andare a dare un’occhiata o due. Alla seconda occhiata scopre una traccia preziosa: una minuscola scaglia di sapone deodorante Belnik, noto come “l’amico delle fanciulle”.

― Bill, ― dice a se stesso il solitario cow-boy, ― detto sapone, di detta marca, non può essere appartenuto allo spaventapasseri, bensì a persona, maschile o femminile, che combina l’ascolto della pubblicità radiofonica con l’igiene delle ascelle. Cerca dunque la radiolina, e il ladro sarà tuo.

Egli mette i cavalli al trotto, ripassando mentalmente le Variazioni Goldberg, di Giovanni Sebastiano Bach (specialmente la quindicesima, Canone alla quinta in moto contrario, Andante, con due bemolli in ave) ed esplora con attenzione le campagne circostanti, scende nel cañon delle erme di Stigliano, fa una puntata alle Scalette, risale tra le rovine di Monterano. Così per giorni e giorni, fermandosi solo per lavarsi i piedi dove il Mignone, o la Lenta, rallentando il loro corso, formano modesti laghetti che le popolazioni rivierasche chiamano giustamente bottagoni. Piano Bill si lava i piedi nel Bottagone del Tartaro, nel Bottagone di Tommasino, nel Bottagone del Pecoraro (detto così dal giorno in cui un pastore vi annegò cercando di salvare una pecora: cosa che a Piano Bill, che detiene in incognito il record mondiale dei cinque metri a rana, non sarebbe accaduta).

Ed ecco che un bel giorno egli arresta i cavalli con perfetta manovra e si chiede sorridendo: ― Sbaglio, o questa musica è la Stella di Novgorod, suonata dall’orchestra di Piero Piccioni? No, non mi sbaglio. Dove c’è la Stella di Novgorod c’è la radiolina; dove c’è la radiolina c’è il sapone; dove c’è il sapone, c’è il ladro.

Seguendo la Stella, Piano Bill scopre l’ingresso di una tomba etrusca abbandonata al suo destino dalla Sovrintendenza alle Belle Arti e Antichità. Egli mette il piede a terra, senza scaricare il fedele pianoforte. Si accosta all’apertura. Origlia. Adocchia. Studia la situazione. Ma non la studia abbastanza bene: gli sfugge lo Sceriffo che se ne sta in agguato su una quercia e, da quel bugiardo che è, finge a meraviglia di essere in un altro posto. Attento, Bill! Niente da fare. Lo Sceriffo lo ha preso al laccio e si permette anche di sogghignare satanicamente: ― Non darei un quartino di dollaro né un quartino di bianco secco per il tuo collo, Straniero. Il tuo pianoforte non ti è di molto aiuto in questo momento. Del resto io te l’ho detto più volte: la musica è inutile, e se al posto di Bach fosse nata una capra, sarebbe stato molto meglio per il capraro.

Sentendo insultare il suo musicista preferito, Piano Bill prova una fitta al cuore.

― Ti farò rimangiare queste parole! ― egli esclama.

Lo Sceriffo gli ride sulla testa. Poi balza dal ramo direttamente in sella al suo cavallo, come ha visto fare al cinema. Ma dalla tomba etrusca balza fuori un ardito giovinetto, che taglia la corda col suo coltello da boy-scout, munito anche di cavatappi, limetta per le unghie e accendino a gas. Così, quando lo Sceriffo da di sprone e galoppa verso la Tolfa, si tira dietro, sì, la corda, ma alla medesima non è più attaccato prigioniero veruno.

Il giovinetto fa entrare Piano Bill, i suoi cavalli e il suo fedele strumento nella tomba etrusca. Lo Sceriffo si accorge che la corda è leggera, si volta; vede solo una mucca che pascola dolcemente e si prenderebbe a calci per la rabbia, ma non ci riesce. Torna sui suoi passi, domanda i documenti alla mucca per essere certo che non si tratti di Piano Bill travestito da bovino allo stato brado. La mucca risponde educatamente: Muuh!, che di sicuro vuol dire molte cose, ma lo Sceriffo non ne capisce nemmeno una.

Intanto, nella tomba etrusca, Piano Bill e il suo ardito salvatore si presentano.

― Io sono Bill l’Oriolese.

― Fortunatissimo. Io sono Vincenzino.

Dalle viscere della tomba si avanza un altro giovinetto. ― Vincenzino anche lei? ―domanda Piano Bill.

― No, io sono Vincenzina, ― risponde una voce femminile. Sorpresa! Il giovinetto è una giovinetta! Ma allo sguardo esperto di Piano Bill non sfugge un particolare significativo: Vincenzina indossa una giacca a quadrettoni verde e viola, sdrucita in più punti, che il cowboy ricorda di aver visto indosso a uno spaventapasseri...

― Lei fa uso del sapone deodorante Belnik? ― domanda a bruciapelo.

La fanciulla risponde ingenuamente di sì.

― Quella radiolina è sua? ― incalza con astuzia Piano Bill, indicando un apparecchio a transistor dal quale si diffonde un’aria di Cajcovskij trascritta per putipù e scetavajasse.

― È mia, ― confessa Vincenzina. ― Senza la radiolina, mi sentirei orfana.

― È dunque lei, ― conclude Piano Bill, ― la ladra di spaventapasseri.

― Piano con le parole, Straniero, ― s’intromette Vincenzino. ― Io ti salvo la vita e tu offendi la mia fidanzata! Piuttosto, visto che abbiamo un nemico in comune, perché non c’intendiamo?

Un punto interrogativo dopo l’altro, Piano Bill viene a sapere l’intera storia. Vincenzino e Vincenzina sono segretamente innamorati; ma su Vincenzina ha messo gli occhi lo Sceriffo, dandosi arie da Don Rodrigo; perciò essi si sono dati alla macchia, vivendo di bacche, radici e pesci pescati con le mani fra i ciottoli confusionari del Mignone.

Vincenzina è fuggita con la minigonna, la radiolina e il sapone deodorante; per fornire abiti più adatti a una fanciulla perseguitata e fuggiasca, Vincenzino deruba gli spaventapasseri.

― Comprendo, ― dice generosamente Piano Bill, ― ma perché più di dodici?

― Ogni donna ha il suo punto debole, ― gli risponde Vincenzino.

Lo portano in un’altra parte della tomba, che è una bicamere senza servizi: ecco tutti i vestiti degli spaventapasseri appesi in fila, come in un guardaroba.

― Debbo pure aver qualcosa per cambiarmi, ― si giustifica Vincenzina, abbassando le palpebre sugli occhioni. ― Non posso mica uscire tutti i giorni e a tutte le ore con lo stesso abito.

― Più che giusto, ― riconosce Piano Bill, cuore di cavaliere.

Sul far della sera, dopo aver preso con Vincenzino gli opportuni accordi per smascherare lo Sceriffo, nemico dell’amore e della musica, egli abbandona la tomba, non senza raccomandare a Vincenzina di tener basso il volume del transistor.

― Anzi, ― egli aggiunge, ― prova per una volta ad ascoltare il Terzo Programma. È all’ordine del giorno un concerto del pianista Emil Ghilels, che eseguirà musiche di Scarlatti, Prokofiev e Sostakovich: nulla di meglio per irrobustire lo spirito nell’imminenza dello scontro finale.

Cammina e cammina, giunto nelle vicinanze della Tolfa, egli lega i suoi cavalli a un castagno, nasconde il pianoforte dietro una mucca, si traveste da pellegrin che vien da Roma con le scarpe rotte ai pie, attraversa il paese in incognito e infila sotto la porta dello Sceriffo un biglietto che dice: “Ti aspetto domani a mezzogiorno di fuoco per una sfida infernale. Piano Bill”.

Torna sui suoi passi, fa il giro delle campagne per rimettere tutti gli spaventapasseri al loro posto e si ritira nella solitudine a provare sul suo fedele pianoforte L’arte della fuga, di Bach, che nessun pianista al mondo è mai riuscito a suonare da solo per intero.