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È inutile, il latino della scuola, per parlare in latino, non serve più del milanese o del caracalpacco. Gli studenti sghignazzano. Non tutti, però. Zurlini è preoccupatissimo, per salvare Zurletti egli ha detto una bugia. Ma ora si scoprirà che le pugnalate sono effettivamente ventitrè; lui ci farà la figura del peracottaro e del sabotatore. Si beccherà come minimo quindici anni e tre mesi di sospensione. Che fare? Ecco lì Terribilis che si è preparato un foglietto con su disegnate ventiquattro palline e tiene pronta la matita: ad ogni pugnalata annullerà una pallina... Mambretti, il solito burlone, sta gonfiando ventiquattro palloncini: ne farà scoppiare uno ad ogni pugnalata e registrerà i botti col magnetofono... I secchioni si sono portati dietro il minicalcolatore giapponese a transistor... Braguglia impugna la cinepresa per filmare l’esperimento con pellicola pancromatica, doppio filtro e teleobiettivo.

“Mannaggia”, pensa concisamente Zurlini.

In quel momento piove sulla scena una carovana di turisti americani, che fanno un gran rumore masticando chewing-gum, fanno un baccano tale da coprire gli squilli di tromba dei fedeli di Vitorchiano, che annunciano l’arrivo di Cesare.

Piomba sul posto anche una troupe della Televisione italiana, che deve filmare un documentario per la réclame dei coltelli da cucina. Il regista si mette a dare ordini: ― Voialtri ― congiurati, un po’ più a sinistra!

Un interprete traduce gli ordini in antico romanesco. Molti senatori si spingono per farsi riprendere, cominciano a fare ciao ciao con la manina. Giulio Cesare è scocciatissimo, ma non può farci niente; ormai non comanda più lui. Il regista gli fa mettere un po’ di cipria sulla pelata, altrimenti luccica. Poi le cose precipitano. I congiurati tirano fuori i pugnali e menano colpi da orbi. Ma il regista non è contento: ― Alt! Alt! Vi ammucchiate troppo, non si vede più spicciare il sangue. Daccapo!

― Che fregatura, ― borbotta Mambretti. ― Ho sprecato tredici palloncini per niente.

Ciak, ― dice una voce: ― Morte di Giulio Cesare, seconda!

― Azione, ― ordina il regista.

I congiurati ricominciano a menare, ma tutto va a monte perché un turista americano ha sputato in terra la sua gomma: Bruto ci scivola sopra e va a cascare tra i piedi di una signora di Filadelfia che si spaventa e perde la borsetta. Tutto da rifare.

“Mannaggia e rimannaggia”, pensa febbrilmente Zurlini.

Ad un tratto la sua tortura ha fine. La classe al completo si ritrova nella macchina del tempo, in viaggio per il Secolo Ventesimo...

― Tradimento! ― grida il professor Terribilis.

― Professore, ― spiega il pilota, ― il contratto era per un’ora, e un’ora è passata. Non è colpa della mia ditta se non avete visto tutto quello che volevate: chiedete i danni alla TV.

― Sabotaggio! ― gridano le masse studentesche. Ormai se lo possono permettere, visto come si sono messe le cose.

― In ogni caso, ― continua il pilota, ― ho una buona notizia per voi: la ditta Crono-Tours vi offre in omaggio una sosta di cinque minuti nel Medioevo per assistere all’invenzione dei bottoni.

― Bottoni? ― ripete Terribilis. ― Ci offrite bottoni in cambio di pugnali? Ma che cosa volete che c’importi dei bottoni!

― Eppure sono importanti, ― spiega debolmente il pilota. ― Se non aveste i bottoni, vi cadrebbero i calzoni.

― Basta così, ― ordina Terribilis. ― Riportaci immediatamente ai giorni nostri.

― Per me, d’accordissimo, ― fa il pilota. ― Smonto prima e sono in tempo a farmi la barba per andare al cinema.

― Cosa va a vedere? ― gli domandano le masse studentesche.

Dracula contro Topolino!

― Formidabile! Professore, ci andiamo anche noi?

Il professor Terribilis riflette a vista d’occhio. C’è stato qualcosa di sbagliato in questa mattinata perversa. Ma che cosa? Forse nella penombra mistica di un cinematografo egli potrà meditare su questa domanda e trovare la risposta giusta...

― Vada per Dracula, ― egli sospira. Zurletti e Zurlini si abbracciano. Altri intonano canti di giubilo.

Ma Alberti, il cuor d’oro, lascia cadere fuori dalla macchina del tempo, mentre stanno sorvolando il secolo scorso, il suo coltello da caccia, con il quale era pronto a vibrare di nascosto la ventiquattresima pugnalata a Cesare, per impedire che la bugia di Zurlini venisse scoperta. È proprio un bravo ragazzo, Alberti: e se la notte di Natale gli daranno il premio della bontà, faranno molto, ma molto bene.

La guerra dei poeti

(con molte rime in «or»)

Il poeta Sorellini, che di primo nome fa Alberto e di secondo Alberto, è il capo di una banda di poeti che scrivono parole per le canzoni e di musicisti che scrivono canzoni per le parole. Egli è detto anche il Poeta Piangente, un po’ perché porta i capelli a salice, un altro po’ perché compone sempre con le lacrime agli occhi, ancora un po’ perché i suoi versi sono perennemente intonati alla più umida malinconia.

Alberto Alberto è famoso in tutta Italia e nel Canton Ticino come inventore della rima cuor-amor. Ma su questo punto occorre essere sinceri: quella rima in realtà egli l’ha rubata al poeta Osvaldo (che si chiama Osvaldo e basta), già capo di una banda rivale, ora non più, perché Alberto Alberto da dieci anni lo tiene prigioniero in un’antica torre sulla riva del mare, onde impedirgli di rivelare il suo segreto.

Il segretario privato di Alberto Alberto, di nome Oscar, sta per l’appunto tornando dalla torre antica, dove si reca ogni giorno per gettare al prigioniero un sacchetto di grissini, suo unico cibo (Osvaldo non mangia pane, per non guastarsi la linea).

― Come l’hai trovato? ― domanda Alberto Alberto, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto e facendosi dare da Oscar un fazzoletto di ricambio.

― Di ottimo umore, ― riferisce Oscar. ― Dice che sta per trovare un’altra rima con cuor. Al massimo, dice, gli ci vorranno ancora diciotto mesi, ma se la sente già sulla punta della lingua.

― È un vero demonio! ― esclama Alberto Alberto, inzuppando di lacrime anche il secondo fazzoletto, che subito Oscar ripone religiosamente. Lo zelante segretario, infatti, è il principale addetto ai fazzoletti del Poeta Piangente. Li ricama lui stesso, col monogramma del suo padrone. Se ne porta sempre appresso una scatola di dodici dozzine.

Ma anche Oscar ha il suo piccolo segreto: egli spreme i fazzoletti bagnati, ne raccoglie le lacrime in un fiasco, quindi le travasa in eleganti flaconcini che vende nascostamente, ma a caro prezzo, agli ammiratori ed alle ammiratrici del Poeta. Chi compra dieci flaconcini ha diritto a un supplemento di lacrime in artistica confezione spray o, a scelta, a un apribottiglie. L’acquisto può essere effettuato per posta e a rate. Si fanno spedizioni anche per l’America Latina.

― Scrivi, ― ordina Alberto Alberto, che durante l’assenza di Oscar ha composto una nuova poesia, tutta a memoria. Egli detta e Oscar scrive:

Ti ricordi quella volta

cuor

che mi hai rubato il calzascarpe

amor

e poi sei fuggita

a Gualdo Tadino

con un elettrauto mancino

lalalà

io da quel giorno piango

lalalà

ma tu non torni da me

lalalà lalalà perché

almeno non mi rimandi il calzascarpe