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La scoperta della vita, dopo tante delusioni sugli altri mondi del sistema solare, era stata più che sufficiente al lancio di una nuova sonda, concepita per scendere sulla superficie di Titano e inviare il maggior numero possibile di dati ottenibili dal contatto diretto.

Quella sonda aveva scoperto una forma di vita d’intelligenza paragonabile a quella umana… o più esattamente, era stata quella forma di vita a scoprire la sonda. E la scoperta di T’uupieh aveva trasformato una missione potenzialmente fallita in un successo: la sonda era stata dotata di un’unità principale, fissa, per l’analisi e la ritrasmissione dei dati, e dieci «occhi» o unità sussidiarie che avrebbero dovuto esser disseminate sull’intera superficie di Titano per ritrasmettere informazioni. Lo sganciamento delle sonde sussidiarie durante l’atterraggio, tuttavia, era fallito, e tutti gli «occhi» erano caduti nel raggio di pochi chilometri quadrati, in mezzo alla palude disabitata. Ma l’egocentrismo affascinato di T’uupieh, e la sua disponibilità a soddisfare il suo «demone» avevano compensato ogni errore.

Shannon alzò di nuovo gli occhi sul piatto schermo alla parete, al volto incredibilmente disumano di T’uupieh, un volto che adesso gli era familiare come il suo allo specchio. Lei era lì, immobile, aspettando con incredibile pazienza una risposta dal suo «demone»: avrebbe dovuto aspettare per più di un’ora che le sue parole la raggiungessero attraverso il baratro fra i due mondi, e altrettanto, se non di più, sarebbe durata la sua attesa, mentre essi discutevano quale risposta darle e lui la ritrasmetteva verso Titano. Ella, adesso, passava più tempo con la sonda che con la sua gente. La solitudine del comando… Il profilo quasi piatto del suo viso bianco come la luna si girò leggermente verso di lui, verso la lente della telecamera; la sua bocca sottile si dischiuse appena in un sorriso, senza ostentare i lunghi denti acuminati. Egli vide un occhio rosso senza pupilla e la fessura a mezzaluna del naso che lo circondava per metà; il suo alito di cianuro condensato scintillava bianco-azzurro, illuminato dall’alone spettrale del fuoco di Sant’Elmo che circondava la sonda per tutta l’interminabile notte di otto giorni di Titano.

Egli distingueva altre sfere luminose appese come lanterne giapponesi all’intrico dei rami penduli imprigionati dal ghiaccio, in una macchia lontana.

Era incredibile… o perfettamente logico, a seconda del punto di vista dei vari esperti di biologia… che la vita basata sull’azoto e l’ammoniaca su Titano avesse tante analogie con la vita basata sull’ossigeno e l’acqua sulla Terra. Ma T’uupieh non era umana, e la musica delle sue parole gli aveva portato continuamente messaggi che si facevano beffe di qualunque ideale egli avesse tentato di nutrire su di lei, e su quel loro incredibile rapporto. Fino a oggi, durante quell’ultimo anno, lei aveva assassinato undici persone, e con i suoi fuorilegge chissà quante altre ne aveva sulla coscienza. Assassinio e rapina. L’unica ragione per cui collaborava con la sonda, gliel’aveva detto chiaramente, era che soltanto un demone aveva una reputazione più sanguinaria della sua… soltanto un demone poteva incuterle rispetto. Eppure, da quel poco che aveva saputo dire e mostrare del mondo in cui viveva, lei non era né meglio né peggio di chiunque altro: soltanto più abile. Era forse prigioniera di un’epoca, di una cultura, in cui il sangue era qualcosa che doveva essere versato e non condiviso. Oppure si trattava di qualcosa di biologicamente innato, che le permettava di filosofeggiare sulla brutalità e di brutalizzare la filosofia…

Alle spalle di T’uupieh, intorno al fuoco del campo alimentato dall’azoto, alcuni dei suoi fuorilegge avevano cominciato a cantare; le melodie popolari aliene, una volta tradotte, non erano altro che semplici versi ripetitivi, ma udite nella loro forma autentica, non tradotta, erano strutture armoniche di straordinaria complessità, un linguaggio musicale entro una più ampia, affascinante struttura melodica. Shannon protese la mano e s’infilò nuovamente la cuffia, dimentico di ogni altra cosa. Una volta aveva fatto un sogno in cui era riuscito a cantare quegli impossibili suoni…

Utilizzando i lunghi periodi di attesa fra una comunicazione e l’altra egli era riuscito, alcuni mesi addietro, a riprodurre in studio una serie di canzoni aliene, usando il sintetizzatore. Ma erano risultate versioni fin troppo scarne e lineari, in confronto agli originali, poiché, nonostante l’abilità da lui raggiunta in quella lingua, esse risentivano ancora fin troppo delle sue deficienze umane. Cantare faceva parte del loro rituale religioso, gli aveva detto T’uupieh. — Ma loro non cantano perché sono religiosi; cantano perché gli piace cantare. — Una volta, senza che gli altri sentissero, aveva suonato per lei una delle sue composizioni sul sintetizzatore. Lei l’aveva fissato (o meglio, aveva fissato l’occhio color ambra della sonda) in un silenzio gelido, anche se tollerante. Lei non cantava mai, anche se a volte lui l’aveva udita armonizzare sommessamente. Si chiese come avrebbe reagito se lui le avesse detto che le canzoni dei suoi fuorilegge gli avevano fatto vincere il suo primo Disco di Platino. Niente, probabilmente… ma conoscendola, se fosse riuscito a chiarirle i concetti, lei sarebbe stata probabilmente, e con entusiasmo, in completo favore dello sfruttamento commerciale.

Egli aveva acconsentito a donare i profitti del disco alla NASA (e nonostante fosse stata sua intenzione di farlo fin dall’inizio, si era sentito infastidito quando Reed gliel’aveva chiesto esplicitamente), col patto che nessuno avrebbe dovuto divulgare il suo gesto. Ma in qualche modo, alla successiva conferenza stampa, un paio di reporter avevano saputo fare le domande giuste, e Reed aveva spifferato tutto. E sua madre, quando le era stato chiesto di commentare il sacrificio di suo figlio, aveva mormorato: — Saturno sta proprio diventando un circo a tre piste. — E lo aveva lasciato a chiedersi se dovesse mettersi a ridere o a imprecare.

Shannon tirò fuori di tasca un pacchetto di sigarette tutto spiegazzato e ne accese una. Garda alzò la testa e annusò l’aria, in gesto di disapprovazione: lei non fumava, e del resto non sembrava avere alcun vizio (anche se lui sospettava che si desse da fare con gli uomini) e un giorno gli aveva tenuto una lunga lezione, del tutto sprecata, sull’argomento, terminando con la frase sibillina: — E non sanno neppure di tabacco! — Lui la fissò, scuotendo a sua volta la testa.

— Che cosa pensi dell’ultima vittima designata di T’uupieh? — Garda sventolò l’ultima trascrizione. — Pensi che ucciderà la propria sorella?

Egli esalò lentamente il fumo intorno alle proprie parole: — Sintonizzatevi domani per il nuovo, eccitante episodio! Credo che Reed ne sarà enormemente soddisfatto, non è vero? — Indicò il giornale che giaceva per terra accanto alla sua sedia. — Hai notato che siamo passati a pagina tre? — T’uupieh aveva infilato nel raccoglitore della sonda alcuni manufatti di metallo: qualcosa che, aveva detto, era noto soltanto agli «antichi»; e le congetture scientifiche circa l’esistenza di una precedente cultura tecnologica avevano nuovamente riacceso l’interesse del pubblico, riportando la sonda agli onori della prima pagina. Ma neppure notizie di simili scoperte potevano durare per sempre… — Dobbiamo tener alti quegli indici di gradimento, gente. Fare in modo che le sovvenzioni e le donazioni continuino ad arrivare.

Garda ridacchiò: — Sei arrabbiato con Reed, o con T’uupieh?

Shannon scollò le spalle, scoraggiato: — Con tutti e due. E non vedo come potremmo impedire a T’uupieh di uccidere sua sorella… — S’interruppe quando il brusio delle numerose persone che lavoravano al progetto in quella stanza s’intensificò, concentrandosi qua e là: Marcus Reed stava facendo il suo ingresso, risolvendo come al solito simultaneamente i problemi di tutti.