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Il pensiero di Clara che lo attendeva nel parco a poca distanza dalla sua abitazione gli ricordò la stranezza del momento che stava vivendo. Bill si trovava in un mondo che secondo la legge non doveva neppure esistere per lui, letteralmente, perché quello era ancora il mondo del suo ipoego Conrad Manz.

Probabilmente più avanti avrebbe incrociato nel traffico gente che conosceva tanto lui quanto Conrad: gente di altri turni, la quale non parlava mai delle sue piccole incursioni nei turni altrui salvo a lasciarlo capire con piccole maliziose battute, che non potevano fare a meno di buttare lì così come gli altri non potevano fare a meno di ascoltare. Dopotutto, per un individuo la persona più importante al mondo restava il suo alter-ego: se lui si ammalava o aveva un incidente, o moriva, quella era la fine per entrambi. Senza parlare di una quantità di situazioni drammatiche in cui inevitabilmente potevano esser coinvolti tutti e due.

Così, nei momenti d’intimità o di umore particolare, capitava di sussurrare in tono di complicità: se mi dici cosa fa il mio ipoego, io ti dirò cosa fa il tuo ipoego… Erano solo le cattive maniere esibite in pubblico che potevano far arrossire qualcuno, o mettergli la paura che la gente riferisse del suo morboso interesse per l’alter-ego a un sorvegliante medico, il quale gli avrebbe subito prescritto dosi di droga più massicce.

Ma perfino il più inveterato abusatore di quei piccoli maliziosi sussurri sarebbe rimasto inorridito nell’apprendere che lì, nel mezzo del traffico pomeridiano, c’era un uomo che usava il suo antisociale potere di anticipare il turno per incontrare in segreto la moglie del suo stesso ipoego!

Bill non aveva bisogno di chiedersi cosa ne avrebbe pensato la Sorveglianza Medica. Le relazioni fra iperego e ipoego di sesso opposto erano non soltanto proibite, ma drasticamente punite.

* * *

Quando fu entrato nell’appartamento Bill ricordò che doveva ordinare la cena per sua figlia Mary. Usò il bracciale, batté sulla tastiera il menu del giorno, e quando il cibo arrivò dal tubo pneumatico lo mise nel riscaldatore elettrico. Cercò di scrivere una nota per la ragazzina, ma dopo aver gettato un paio di fogli nel cestino vi rinunciò. In quel momento non riusciva a trovare niente da dirle.

Fissando la squallida e solitaria tavola che stava lasciando a Mary, sentì un senso di colpa sopraffarlo all’improvviso. Avrebbe potuto mettere fine alla situazione di cui indirettamente soffriva anche lei, semplicemente prendendo tutte le droghe che gli erano state prescritte. Questo lo avrebbe subito riportato a un comportamento sano, conforme all’ordine e alla legge. Non ce la faceva più a sopportare la paura che la Sorveglianza Medica scoprisse che non prendeva le droghe. Non ce la faceva più a trascurare in quel modo la sua figlia-assegnata. Non ce la faceva più a vivere con il pensiero che stava mettendo in pericolo la vita di Conrad, Clara, oltreché naturalmente la sua.

Quando una persona prendeva le droghe che le erano state prescritte, sperimentare antiche e primitive emozioni come il senso di colpa le era impossibile. Anche facendo qualche sbaglio nell’interpretare la ricetta, reazioni emotive di quel genere le restavano sconosciute. Ma proprio perciò, esser libero di sentire quella colpa verso una ragazzina che aveva bisogno di lui era qualcosa di prezioso per Bill. Quella sera lui, in tutto il mondo, era certamente l’unico individuo che si prendeva il lusso di provare una di quelle antiche emozioni. La gente era libera di sentire la vergogna, ma non la colpa; la vanità, ma non l’orgoglio; il piacere fisico, ma non la trepida sofferenza del desiderio. Ora che aveva smesso di prenderle, Bill si rendeva conto che le droghe permettevano di provare solo una povera frazione dell’intero vivido spettro emozionale.

Ma per quanto eccitante fosse viverle, le antiche emozioni non sembravano essere un deterrente per i comportamenti illegali. Il senso di colpa di Bill non gli impediva di continuare a trascurare Mary. La sua paura d’essere preso non lo tratteneva dall’infrangere la legge per amare Clara, la moglie del suo ipoego.

Si vestì il più in fretta possibile e gettò l’abito da ego-rotazione in uno scarico per la riutilizzazione della stoffa. Poi cominciò a ritoccarsi il trucco, nel tentativo di eliminare alcune contrazioni muscolari facenti parte dell’inespressiva faccia di Conrad più che della sua.

Quel gesto gli fece ricordare la vergogna provata da Helen quando aveva saputo, pochi anni prima, che la sua ipoego, Clara, e l’ipoego di lui, Conrad, avevano ottenuto dalla Sorveglianza Medica l’inconsueto permesso di sposarsi. Matrimoni di quel genere, nei quali i due corpi umani vivevano insieme in entrambi i turni di ego-rotazione, erano abbastanza rari e davano origine a maligni pettegolezzi. In realtà erano pericolosamente sull’orlo dell’antisociale, e potevano essere concessi soltanto se dopo innumerevoli test la Sorveglianza Medica decideva di ritenersi soddisfatta.

Forse era stata proprio la sciocca intensità con cui Helen s’era vergognata di quel matrimonio, il nauseante conformismo così tipico di lei a dare a Bill l’idea di conoscere Clara, la quale aveva osato invece sfidare le convenzioni per gettarsi in un matrimonio così peculiare. E in quegli anni Helen non aveva mai smesso di dar la colpa di tutti i loro guai al fatto che i loro due alter-ego abitavano e vivevano insieme.

Così Bill aveva cominciato a prendere le sue droghe in dosi sempre minori, perché la curiosità era diventata per lui ormai un’ossessione. Chi era mai l’altra personalità che divideva il corpo con Helen: quella Clara abbastanza anticonvenzionale da voler sposare proprio l’ipoego di Bill a dispetto dei pettegolezzi e delle malignità altrui?

La prima volta in cui aveva potuto vedere il volto di Clara era stato sullo schermo del visifono, il giorno in cui s’era deciso a costringere Conrad a un’ego-rotazione anticipata. Era molto più dolce di quello di Helen. I suoi lineamenti morbidi rivelavano meno forza di carattere ma più gioia di vivere.

— Lei è Clara Manz? — le aveva chiesto Bill, e per qualche secondo non aveva potuto far altro che fissare lo schermo, incapace di parlare, mentre sul suo volto, ne era stato certo, si poteva leggere la paura che lei facesse immediatamente rapporto alla Sorveglianza Medica.

Guardandola aveva visto il sospetto, e poi la certezza, crescere nella tenera curva delle sue labbra e nella luce strana che lo sguardo di lei aveva assunto. Clara non aveva detto parola.

— Signora Manz — aveva infine osato lui, — vorrei che mi permettesse di parlarle. Nel parco che c’è vicino a casa sua.

Ed era stato il goffo imbarazzo del suo tono a dargli, per la prima volta, la gioia di sentire la risata di Clara. Una risata calda, franca, che l’aveva confuso come se d’un tratto si fosse trovato in mezzo a uno stormo di farfalle.

— Perché nel parco? Non vuole venire a casa mia per paura che mio marito possa sorprenderci insieme?

Bill era stato messo subito a suo agio da quella battuta, e ancor più dal fatto che Clara sapeva chi era e non si tirava indietro da una situazione anomala e sconcertante. Ma letteralmente, l’unica persona al mondo che non avrebbe potuto sorprenderli insieme, come dicevano gli antichi, era il suo ipoego Conrad Manz.

Bill finì di ritoccarsi il make-up e s’avvio in fretta alla porta. Ma stavolta, mentre il suo sguardo tornava alla poco allegra cenetta di Mary, decise di scriverle qualcosa tanto per informarla che non s’era dimenticato di lei. La nota che lasciò sul tavolo diceva che usciva per un lavoro urgente alla biblioteca in cui lavorava.