Выбрать главу

Norman era irritato con se stesso. Ascoltò senza prestare attenzione i commenti entusiasti e le domande di Bronstein e d’un paio d’altri studenti.

Tornato nel suo studio trovò una nota del preside Harold Gunnison. E siccome non aveva altre lezioni nell’ora successiva, si recò nell’edificio amministrativo, con Bronstein alla calcagna, che gli esponeva una sua teoria.

Norman si chiedeva perché si fosse lasciato andare. Indubbiamente alcune delle sue osservazioni erano state un po’ crude. Da tempo aveva imparato ad adeguare il suo comportamento in aula al clima di Hempnell, senza menomare la sua integrità intellettuale. Le poche deviazioni che si era permesso quella mattina (sconsigliabili, anche se leggere) lo infastidivano.

La signora Carr gli passò accanto senza dire una parola, col viso leggermente voltato dall’altra parte, evitando di salutarlo. Ci volle un po’ per capire la ragione di quel comportamento. Distrattamente aveva acceso una sigaretta, e Bronstein che lo seguiva aveva fatto altrettanto, ovviamente felice di questo strappo al ferreo regolamento universitario. Si tollerava che i professori fumassero nella loro sala di riunione o nell’isolamento del proprio studio, ma basta.

Aggrottò la fronte e continuò a fumare. Ovviamente gli eventi di quella notte avevano turbato la sua mente più di quanto sospettasse. Schiacciò il mozzicone sui gradini dell’edificio amministrativo.

Nel vano della porta esterna si scontrò quasi con la elegante ma tarchiata figura della signora Gunnison.

«Per fortuna che reggevo saldamente la mia macchina fotografica» borbottò lei, mentre egli si chinava a raccogliere la borsa rigonfia della signora. «Mi sarebbe molto spiaciuto dover sostituire quell’obiettivo.» Respinse poi con la mano una ciocca di capelli rossi che le ricadeva sulla fronte: «Lei mi sembra preoccupato. Come sta Tansy?»

Norman rispose brevemente e proseguì. Quella donna sì che avrebbe potuto essere una strega! Vestiti costosi indossati come una stracciona; prepotente, brontolona, bonaria in maniera truculenta, ma capace di calpestare gli impulsi di chiunque. Era l’unica persona in presenza della quale l’autorità del marito preside pareva assolutamente ridicola.

Harold Gunnison si affrettò a terminare la sua conversazione telefonica e fece cenno a Norman di entrare e di chiudere la porta.

«Norman» cominciò Gunnison con un tono di rimprovero «si tratta di una faccenda molto delicata.»

Norman si fece attento. Quand’era Harold Gunnison a dirlo anziché Thompson, si trattava veramente di una faccenda delicata. Gunnison e Norman usavano giocare insieme a squash e andavano molto d’accordo. L’unica cosa di Gunnison che a Norman non piaceva era l’ammirazione che lui e il preside Pollard nutrivano l’uno per l’altro. Pertanto l’inneggiare alle idee politiche di Pollard e sottolineare alcune delle sue amicizie politiche di importanza nazionale, era un atto ben visto nell’ambito dei professori.

Harold aveva detto “una faccenda delicata”.

Norman si preparò a sentire un’osservazione sul comportamento eccentrico, indiscreto o forse dilettuoso di Tansy. Gli era sembrata a un tratto l’unica spiegazione logica di questa chiamata.

«C’è una ragazza, all’agenzia di collocamento studenti, che lavora per te, una certa Margaret Van Nice?»

Fulmineamente Norman capì che era stata lei l’autrice della seconda telefonata anonima notturna. Nascondendo la sua scoperta attese un momento e disse: «Sì, una ragazza quieta. Fa le tirature al ciclostile.» E gli venne l’ispirazione di aggiungere: «Parla sempre sottovoce.»

«Ebbene, poco fa ha avuto una crisi isterica nello studio della professoressa Carr. Pretende che tu l’abbia sedotta. La signora Carr ha immediatamente scaricato la patata bollente nelle mie mani.»

Norman frenò l’impulso di raccontare la storia della telefonata e si accontentò di dire: «Ebbene?»

Gunnison aggrottò la fronte e lo guardò di traverso. Norman disse allora: «Lo so che fatti come questi, anche qui a Hempnell, sono già accaduti. Ma questa volta… no.»

«Naturalmente, Norman.»

«Certo che non sono mancate le occasioni, abbiamo lavorato fin tardi la sera molte volte, a Morton.»

Gunnison prese in mano una pratica. «Per fortuna ho qui con me gli esami psichici della ragazza. Per quanto riguarda il sistema nervoso il suo indice è molto alto. È tutta un groviglio di complessi. Tratteremo questo incidente con molto tatto.»

«Vorrei proprio sentirla con le mie orecchie, mentre mi accusa del misfatto» disse Norman «e al più presto possibile.»

«Naturalmente. Ho provveduto a organizzare un incontro nello studio della signora Carr, alle quattro, oggi pomeriggio. Nel frattempo la faccio visitare dal dottor Gardner. Il che dovrebbe calmarla un po’.»

«Alle quattro, allora» ripeté Norman alzandosi. «Ci sarà anche lei, Harold?»

«Certamente. La cosa mi spiace, Norman. Ma, detto fra noi, credo che la signora Carr abbia esagerato le cose. È stata presa dal panico; sai, è una vecchia signora, dopo tutto.»

Nell’ufficio antistante lo studio del preside, Norman si fermò a osservare una piccola vetrina piena di oggetti relativi agli studi di chimica-fisica che Gunnison proseguiva. Nell’attuale mostra si vedevano alcune gocce di Rupert ed altre stramberie relative alla tensione molecolare. Guardò malinconicamente i piccoli globuli rossi con il loro gambo rigido e ritorto e notò distrattamente le etichette sulle quali era descritto come si ottenevano, facendo cadere gocce di vetro fuso nell’olio bollente. Gli parve a quel momento che Hempnell fosse proprio come una di quelle gocce di Rupert. Picchiando con un martello sulla sfera non succedeva nulla, ma bastava sfiorare con l’unghia il delicato filamento che chiudeva la goccia e questa vi esplodeva in faccia.

Estroso.

Osservò gli altri oggetti, fra i quali un piccolo specchio che, secondo la sottostante legenda, si sarebbe polverizzato solo a sfiorarlo, o sottoponendolo a un repentino cambiamento di temperatura.

Eppure non era così estroso, a pensarci bene. Qualsiasi collettività un po’ artificiale, superorganizzata e tesa, come ad esempio quella di un piccolo collegio, tende a produrre punti critici di tensione. Lo stesso dicasi di una persona o di una carriera. Lo sfioramento più leggero, se colpisce il punto delicato della mente di una ragazza nevrotica, la fa esplodere in accuse atroci. Con un individuo più sano, lui ad esempio, se qualcuno si mettesse a studiarlo segretamente cercando di individuare il filamento vulnerabile col dito pronto a scattare…

Ma questo esercizio diventava troppo estroso. Si affrettò a raggiungere l’aula per l’ultima lezione del mattino.

Sulla soglia incontrò Hervey Sawtelle che gli attaccò un bottone. Il suo collega dello stesso ramo scientifico somigliava a una caricatura poco indulgente del professore universitario. Un po’ più anziano di Norman, aveva la personalità di un settantenne o di un adolescente timido. Aveva sempre fretta, era così nervoso che un nonnulla lo faceva trasalire. Portava sempre due cartelle. Norman vedeva in lui la vittima assai comune della vanità intellettuale. Molto probabilmente ai tempi degli studi universitari, era stato convinto, da insegnanti presuntuosi, che doveva saper tutto in modo da poterne discutere con qualsiasi specialista su qualsiasi argomento, comprese la musica medievale, le equazioni differenziali e la poesia moderna, e fornire una immediata risposta a qualsiasi osservazione, anche se formulata in una lingua morta o straniera. E soprattutto non fare mai domande. Non riuscendo, a dispetto dei suoi perseveranti sforzi, a diventare un moderno Pico della Mirandola, Hervey Sawtelle si era probabilmente convinto della sua mediocrità intellettuale e tentava di porvi rimedio o forse di dimenticarla, dando un’eccessiva, rabbiosa attenzione ai dettagli.

Lo si leggeva senza difficoltà sul suo viso stretto, raggrinzito dalle labbra serrate, sottili, dalla fronte sempre aggrottata. Le preoccupazioni quotidiane si davano incessantemente la caccia su e giù per quel viso.