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Con un rapido, leggero rumore argentino, appena udibile, lo specchio in mano alla signora Gunnison si polverizzò in una piccola nube di polvere iridescente.

Improvvisamente parve a Norman che un altro peso si fosse aggiunto alla sua mente, che una oscurità intangibile premesse sui suoi pensieri…

Il grido soffocato di sorpresa, o di paura, che uscì dalle labbra della signora Gunnison si interruppe di colpo. Qualcosa che somigliava a un’espressione di ebetudine invase il suo volto, ma era dovuta al fatto che tutti i suoi muscoli si erano rilassati.

Norman fece un passo avanti e le prese il braccio. Per un secondo lei lo guardò senza capire poi barcollò e fece lentamente un passo, poi un altro mentre lui le diceva: «Venga con me, è la sua unica possibilità.»

Egli tremava, faceva fatica a credere alla sua riuscita, mentre lei lo seguiva nel corridoio. Vicino alle scale incontrarono la signorina Miller che tornava indietro con le pagelle.

«Mi spiace di averla disturbata» disse lui «perché ci siamo accorti di non averne più bisogno. Sia gentile e le riporti in archivio.»

La ragazza annuì con un sorriso educato ma un po’ ironico. Pareva pensare: «Ah, quei professori!»

Mentre Norman conduceva una signora Gunnison insolitamente docile fuori del reparto amministrativo, quella strana oscurità premeva sempre sui suoi pensieri. Era qualcosa di assolutamente diverso da tutto ciò che avesse provato sino allora.

Improvvisamente si aprì uno spiraglio in quella oscurità, come si aprono le nubi per lasciar passare uno stretto raggio di luce rossa. Solo che le nubi temporalesche erano ora all’interno del suo cervello e la luce rossa era una collera furiosa, impotente. Eppure quella sensazione non gli era completamente nuova.

A cospetto di quello spiraglio, la mente di Norman si rannicchiò. Il collegio, davanti a lui, parve tremare e oscillare, tutto colorato di un debole chiarore rossastro.

Pensò: “Se esiste la cosa che chiamano ‘sdoppiamento della personalità’, e se si produce una spaccatura fra due diverse coscienze…”

Ma questa era pazzia.

Bruscamente riaffiorò un altro ricordo, parole uscite dalle labbra di Tansy nello scompartimento del treno: “L’anima è circondata dal cervello”. E poi: “Se viene ostacolata e non riesce a rientrare nel proprio corpo, è irresistibilmente attratta da un altro, che questo possegga già un’anima o no. L’anima prigioniera è generalmente racchiusa nel cervello di chi l’ha catturata”.

In quel momento, da quello spiraglio di luce portato sull’onda di rabbia scagliata nel suo cervello, scaturì un pensiero intelligibile. Quel pensiero diceva solamente: “Sciocco, perché lo hai fatto?”. Ma quel pensiero, come quella rabbia incandescente, somigliava tanto alla signora Gunnison, ed egli accettò, sia che volesse dire per lui pazzia o no, sia che significasse stregoneria o no, l’idea che la mente della signora Gunnison si trovasse dentro il suo stesso cervello e dialogasse con la sua stessa mente.

Per un attimo guardò il viso molle di quell’enorme corpo femminile che egli stava spingendo attraverso il campus.

Per un attimo si sgomentò all’idea di toccare, con il suo cervello, una personalità denudata. Ma fu solo un attimo. Poi, che fosse pazzia o no, la sua accettazione fu totale. Attraversò il campus, parlando dentro di sé con la signora Gunnison.

La domanda fu ripetuta: «Come hai fatto?»

Prima che se ne rendesse conto i suoi pensieri avevano risposto: «È stato lo specchio fatto col vetro di Rupert, che stava nella vetrina. Il calore delle tue dita lo ha fatto andare in pezzi. Io lo avevo tenuto isolato con un fazzoletto mentre lo trasferivo dalla vetrina alla tua borsetta. Secondo una credenza primitiva, l’immagine in uno specchio è l’anima di chi si specchia, o un veicolo per quest’anima. Se lo specchio si rompe mentre l’immagine vi è riflessa, l’anima rimane per sempre chiusa fuori del corpo.» Tutto questo discorso, dato che non era rallentato dalla parola, fu formulato in un lampo.

Con la stessa fulmineità, il pensiero successivo della signora Gunnison gli giunse da quello spiraglio nel blocco di oscurità. «E dove porti ora il mio corpo?»

«A casa mia.»

«Che cosa vuoi?»

«L’anima di mia moglie.»

Seguì un lungo silenzio. La spaccatura si chiuse, poi si riaprì.

«Tu non la puoi prendere, io la tengo prigioniera, come tu tieni prigioniera la mia. Ma la mia anima te la nasconde, e la trattiene prigioniera.»

«Non la posso prendere, d’accordo. Ma tratterrò la tua finché non restituisci a mia moglie la sua anima.»

«E se mi rifiuto?»

«Tuo marito è una mente realistica. Non crederà mai a ciò che il tuo corpo gli dirà. Consulterà gli alienisti, i medici migliori, sarà molto addolorato, ma finirà per far ricoverare il corpo di sua moglie in un asilo per pazzi.»

Norman avvertì un senso di disfatta e di sottomissione, e anche un senso di panico, nella risposta non pronunciata. Ma la disfatta e la sottomissione non erano ancora apertamente accettati.

«Tu non sarai in grado di trattenere la mia anima, perché la odi. Ti fa ribrezzo. La tua mente non la sopporterà.»

Per appoggiare questa sua dichiarazione, giunse da quella spaccatura un rivoletto che si gonfiò in un baleno. Le cose che egli odiava vennero in piena luce e le dovette subire. Norman accelerò il passo, e il corpo che si trascinava dietro cominciò ad ansimare.

«C’è stata Ann» dicevano i pensieri della signora Gunnison, non proprio con le parole ma con la pienezza della memoria. «Ann venne a lavorare da me otto anni fa. Era una creatura fragile, bionda, ma in grado di lavorare duramente tutto il giorno. Era docile, molto sottomessa e in preda alla paura. Lo sai che si può governare una persona solo con la paura senza adoperare un atomo di forza? Una parola un po’ brusca, uno sguardo severo agiscono per sottinteso; non è ciò che si dice direttamente che conta. Gradatamente, acquisii su di lei tutto il potere che sulla ragazza avevano avuto il padre, i maestri, il confessore. La facevo piangere solo a guardarla in un certo modo. Le incutevo terrore piantandomi sulla porta della sua camera. Potevo obbligarla a reggere piatti bollenti mentre ci serviva a tavola, e farla attendere a mio piacere mentre continuavo a discorrere con Harold. Ho visto poi com’erano le sue dita.»

Nella stessa maniera mentale Norman apprese le storie di Clara, di Milly, di Mary e di Ermengarde. Non riusciva a scindere i suoi pensieri da quelli della signora Gunnison, non poteva chiudere lo spiraglio, sebbene fosse in suo potere allargarlo. Un po’ come accade per le meduse, e per certe piante carnivore, l’anima di lei si apriva sino a cingere quella di Norman tant’è che pareva lui il prigioniero anziché lei.

«Poi venne Trudie. Trudie mi adorava. Era una ragazzina lenta e un po’ stupida. Proveniva da una famiglia contadina. Passava delle ore ad occuparsi dei miei vestiti. La incoraggiavo in varie maniere al punto che tutto ciò che mi apparteneva le pareva sacro. In ultimo avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, il che era molto divertente, perché arrossiva facilmente e non era mai riuscita a sbarazzarsi del suo senso di vergogna.»

Ma erano arrivati sulla soglia di casa, e il flusso dei pensieri ripugnanti cessò. Lo spiraglio si restrinse, divenne una minuscola fessura.

Spinse la signora Gunnison sino alla porta dello spogliatoio di Tansy. Indicò la povera figura legata, allungata sulla coperta che egli aveva steso sul pavimento. Giaceva nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata con gli occhi chiusi, la mascella pendente, il fiato grosso. Quella visione parve aggiungere un’ulteriore pressione sulla sua mente, ma questa proveniva dal basso ed entrava attraverso le orbite.