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«Liberala da ciò che hai introdotto in lei per sortilegio» si sorprese a pronunciare.

Ci fu una pausa. Un ragno nero uscì dalla gonna di Tansy e si mise a camminare sulla coperta. Nell’attimo in cui pensò: “Eccolo, è quello!” Norman si buttò sull’insetto e lo schiacciò col piede mentre cercava di scappare sul pavimento. Egli fu conscio di un pensiero molto velato nella sua mente: “La sua anima ha cercato il corpo più vicino. E ora il mio fedele sovrano non eseguirà più alcun incarico per me. Non animerà né carne umana, né legno, né pietra. Mi dovrò cercare un altro cane.”

«Restituiscile ciò che le hai tolto.»

Questa volta la pausa fu più lunga, lo spiraglio si chiuse del tutto, la figura legata si agitò come se stesse per rotolare su se stessa. Le labbra si mossero, la mascella rilassata si strinse. Conscio solamente di quel peso oscuro sulla sua mente e di una consapevolezza dei sensi così acuta che credette di avvertire il battito del cuore nel corpo di Tansy, egli si chinò, tagliò la corda, tolse i tamponi che aveva messo ai polsi e alle caviglie perché i legacci non le facessero male.

La testa rotolava qua e là senza posa. Le labbra si muovevano, pareva che dicesse “Norman”. Le palpebre batterono ed egli si sentì come un brivido che gli attraversava il corpo. Poi in un fluire improvviso, gioioso, come un fiore che sboccia miracolosamente in un attimo, l’espressione tornò sul suo viso, le mani abbandonate si rianimarono, si posarono sulle spalle di Norman, e dagli occhi aperti, un’anima senza timore, sana, lucida lo guardò in faccia.

Un istante dopo, l’oscurità repellente che premeva sul suo cervello sparì.

Con uno sguardo sconfitto, velenoso, la signora Gunnison si voltò ed uscì. Norman udì i suoi passi allontanarsi, la porta dell’ingresso che si apriva. Poi le braccia di Norman cinsero Tansy, le loro labbra s’incontrarono.

20

Appena la porta d’ingresso si chiuse, come se fosse stato un segnale, Tansy respinse il marito sebbene le sue labbra gli restituissero ancora il bacio.

«Non dobbiamo osare di essere felici, non dobbiamo, Norman» gli disse «Neanche per un attimo.»

Uno sguardo turbato e apprensivo rannuvolava l’anelito di felicità nei suoi occhi, come se guardasse un muro alto che le nascondeva la luce del sole. Quando rispose alla domanda spaventata di Norman, fu in un sussurro, come se il fatto solo di pronunciare quel nome fosse in sé pericoloso.

«La signora Carr…»

Le sue mani gli strinsero il braccio come per avvertirlo dell’imminenza del pericolo.

«Norman, io ho paura, io ho una tremenda paura. Per noi due. La mia anima ha imparato tante cose. È tutto diverso da ciò che pensavo. Molto peggio. E la signora Carr…»

Le mente di Norman divenne di colpo annebbiata ed esausta. Gli pareva odioso dover spezzare quella sensazione di sollievo. Il desiderio di pretendere, per un po’ di tempo almeno, che le cose fossero razionali e comuni era diventato per lui una specie di bramosia. Guardò Tansy completamente stordito come se fosse un’immagine di un sogno di un fumatore d’oppio.

«Sei salva» le disse un po’ brusco. «Io ho combattuto per riaverti, ora che mi sei stata restituita io non ti lascerò più. Nessuno ti potrà toccare, nessuno.»

«Oh, Norman» disse abbassando gli occhi. «So che sei stato coraggioso e così in gamba, so i rischi che hai corso, i sacrifici che hai dovuto fare per me, rinunciando per un’intera settimana ad usare la tua mente raziocinante, sopportando la bestialità della mente denudata di quella donna. E hai battuto Evelyn Sawtelle e la signora Gunnison lealmente, con le loro stesse armi. Ma la signora Carr?» le sue mani gli trasmisero il loro tremore. «Norman, quella ti ha lasciato fare, ha solo atteso che tu le battessi, voleva impaurire quelle donne e ha preferito che fossi tu a farlo anziché lei. Ora però ci si mette anch’essa».

«No, Tansy, no» le diceva con monotona insistenza; ma era incapace di trovare alcun argomento per sostenere il suo diniego.

«Povero caro, tu sei stanco» disse diventando di colpo tenera e affettuosa. «Ti porto qualcosa da bere.»

Gli sembrò di aver continuato a battere le ciglia e a fregarsi gli occhi e a scuotere il capo, e nient’altro sino al momento in cui tornò Tansy con la bottiglia.

«Vorrei cambiarmi» disse guardando il suo vestito stracciato e sgualcito. «Poi dobbiamo parlare.»

Bevve d’un fiato la dose di whisky, che era piuttosto forte, poi se ne versò un’altra. Ma l’alcool non gli procurò alcuno stimolo. Non lo aveva liberato da quella sensazione di narcosi. Anzi, questa sensazione s’intensificava. Dopo alcuni minuti si alzò e andò traballando sino alla camera da letto.

Tansy aveva indossato un vestito di lana bianca, un abito che a lui era sempre piaciuto, ma che non aveva messo da molto tempo. Ricordò che se lo sentiva stretto, troppo piccolo per lei. Ma ora capiva che nella gioia del ritorno si sentiva felice di ritrovare il suo corpo giovanile e lo voleva mostrare sotto la sua luce migliore.

«È come entrare in una casa nuova» gli disse con un sorriso che per un attimo cancellò la sua espressione ansiosa. «O meglio, come tornare a casa dopo una lunga assenza. Ti senti felice, ma ogni cosa ti sembra un po’ strana. Ci vuole un po’ per riabituarsi.»

Ora che lei aveva pronunciato la parola strana, Norman si rendeva conto che c’era una specie di incertezza nei suoi movimenti, nei gesti, nelle espressioni; pareva come una convalescente dopo una lunga malattia, che sa solo alzarsi e camminare.

Si era pettinata all’indietro, e i capelli le ricadevano sulle spalle. Era ancora scalza e ciò la rimpiccioliva, le dava l’aria di una ragazzina. La trovò attraente anche se la vedeva con una mente istupidita e annebbiata.

Norman le aveva portato una bibita, ma lei l’assaggiò appena e la ripose sul tavolo.

«No, Norman. Noi dobbiamo parlare» disse. «Ci sono molte cose che ti devo dire e forse non avremo molto tempo per discuterne.»

Lui si guardò attorno: per un attimo gli occhi gli caddero sulla porta bianca dello spogliatoio di Tansy. Poi annuì con gravità e si sedette sul letto. Quell’impressione di sogno da narcosi era più forte che mai e la voce stranamente vivace e i modi asciutti di Tansy parevano far parte di quel sogno.

«Dietro tutta questa faccenda c’è la signora Carr» cominciò a dire. «È stata lei ad avvicinare la signora Gunnison e Evelyn Sawtelle, e questo fatto di per sé è piuttosto significativo: le donne sono sempre molto discrete sulle questioni di magia, lavorano da sole. Un pizzico di scienza viene tramandato dalle vecchie alle giovani, specialmente da madre a figlia, ma sempre con moderazione e con molta diffidenza. Questo è l’unico caso di cui la signora Gunnison abbia sentito parlare (io l’ho saputo scrutando la sua mente), in cui tre donne hanno fattivamente collaborato. È un avvenimento senza precedenti, di un’importanza rivoluzionaria, che promette Dio solo sa quali cose per l’avvenire. Perfino adesso, io non posseggo che un infimo indizio delle ambizioni della signora Carr. Queste ambizioni mirano ad un vasto accrescimento dei suoi poteri. Sono già tre quarti di secolo, più o meno, che lei sta tramando la sua tela.»

Norman incamerava apaticamente queste insolite asserzioni. Bevve un altro sorso di whisky.

«A vederla sembra un’innocua vecchietta, un po’ svanita, ma molto puritana in superficie, infantile ma pudica» continuò Tansy. Norman trasalì perché gli era parso di avvertire nella voce di lei una nota di segreto giubilo. Era un contrasto così inaspettato che si persuase di essere stato vittima della sua immaginazione. Quando lei riprese a parlare, quella nota era sparita dalla sua voce.

«Ma questo è solo una parte del suo travestimento, da aggiungere alla voce suadente e ai suoi modi cordiali. È l’attrice più furba che esista al mondo. Sotto quella corteccia è dura come l’acciaio, è fredda nei punti che per la signora Gunnison sono scottanti, è ascetica laddove la signora Gunnison è schiava dei suoi appetiti. Ma anch’essa ha i suoi appetiti, profondamente nascosti nell’intimo. Ha una grande ammirazione per il Massachussets puritano. Talvolta ho la stranissima sensazione che cerchi di restaurare, con mezzi inimmaginabili, quella comunità che aveva bandito le streghe, la cosidetta comunità teocratica, e di volerla restaurare così com’era, ma ai nostri giorni.