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“Domina le altre due donne per mezzo della paura. In un certo senso esse sono poco più di due apprendiste nel suo laboratorio di stregoneria. Tu che sai qualcosa della signora Gunnison, capirai ciò che intendo dire quando dichiaro che ho visto i pensieri della signora Gunnison fremere di terrore perché s’immaginava di aver leggermente offeso la signora Carr.»

Norman terminò il suo whisky. La sua mente, anziché afferrare questa nuova minaccia, se ne allontanava. Si sarebbe dovuto svegliare a suon di frusta, si disse svogliatamente. Tansy spinse il suo bicchiere verso quello di Norman.

«La paura della signora Gunnison è giustificata perché la signora Carr ha poteri così malefici che non ha mai bisogno di usarli, tranne che per minacciare. I suoi più potenti atout sono gli occhi. Con quelle spesse lenti possiede l’arma sovrannaturale, la più temuta, l’arma contro la quale sono diretti più della metà di tutti i sortilegi protettivi, l’arma il cui nome è noto in tutto il mondo e che è diventata il bersaglio preferito degli scettici: il malocchio. Con quella può impadronirsi dell’anima di un altro individuo solo a guardarlo.

“Finora si è trattenuta perché voleva punire le altre due, colpevoli di disubbidienza leggera, ponendole in una situazione in cui avrebbero dovuto per forza chiedere il suo aiuto. Ma ora si sbrigherà ad agire. Nel tuo operato ha avvertito un pericolo per la sua persona.»

La voce di Tansy era diventata così concitata ed affannosa, che Norman comprese che lottava contro il tempo. «Inoltre, ha un altro movente sepolto in fondo all’oscurità della sua mente. Non oso neanche citarlo, ma a volte l’ho sorpresa che studiava i miei movimenti, le mie espressioni con la più strana avidità.»

S’interruppe di colpo e divenne pallidissima.

«Ora la sento… sento che cerca di farmi uscire da me stessa… sta penetrando in me… Nooo!» Tansy gridò. «No, non puoi farmelo fare… io non voglio… non voglio

Prima che se ne rendesse conto, sua moglie era caduta in ginocchio, si aggrappava alle sue gambe, gli stringeva le mani. «Non lasciare che quella donna mi tocchi, Norman» balbettava come un bambino terrorizzato. «Non lasciare che mi venga vicino.»

«Non temere, non la lascerò avvicinare…» disse finalmente sveglio.

«Oh, ma tu non la puoi fermare… sta venendo qui… col suo stesso corpo. Vedi che non ha paura di te? Viene per portarmi via l’anima un’altra volta. Io non ti posso dire ciò che vuole, è una cosa troppo ripugnante.»

L’afferrò alle spalle. «Tu me lo devi dire» le disse. «Di che si tratta?»

Lentamente alzò il suo viso sbiancato, impaurito, e i suoi occhi guardarono negli occhi di Norman e non li abbandonarono neppure un secondo mentre gli parlava. «Lo sai che la signora Carr ti ama, Norman. Tu conosci i suoi modi ridicolmente giovanili. Sai che vuol sempre avere gente giovane intorno a sé, che si nutre dei loro sentimenti, della loro innocenza, dei loro entusiasmi. Norman, l’appetito della signora Carr per tutto ciò che è giovane è stato per anni e anni la sua passione dominante. Ha respinto la vecchiaia e la morte per molto tempo, più tempo di quanto tu possa immaginare. È più vicina ai novanta che ai settanta, ma inesorabilmente, la marcia del tempo incombe su di lei. Non è la morte di cui ha paura, ma farebbe qualsiasi cosa, capisci, qualsiasi cosa, Norman, per possedere un corpo giovane.

“Non lo vedi, Norman? Le altre due volevano la mia anima, ma questa vuole il mio corpo. Non hai mai notato il modo in cui ti guarda? Ti desidera, Norman, quella vecchia megera, desidera te e vuole amarti fisicamente impossessandosi del mio corpo. Vuol possedere il mio corpo e intrappolare la mia anima in quel vecchio manico di scopa: questo è il suo vero corpo, far morire la mia anima in quel corpo ignobile, in quella sozza carne. Ed ora viene qui, sta venendo qui adesso.»

Guardò con profondo orrore i suoi occhi terrorizzati, fissi, quasi ipnotici.

«La devi fermare, Norman, la devi fermare nell’unico modo in cui si possa fermare.» E senza staccare gli occhi da quelli del marito, Tansy si alzò e uscì a ritroso dalla stanza.

C’era effettivamente qualcosa di ipnotizzante, nei suoi occhi, uno strano effetto del suo terrore, perché parve a Norman che appena uscita dalla stanza essa fosse già di ritorno al suo fianco e gli metteva in mano qualcosa di freddo, di duro e di angoloso.

«Dovrai fare molto presto» stava dicendo «se tu esiti per il minimo istante, le darai l’occasione anche breve di fissarti con i suoi occhi e sarai perduto… ed io sarò perduta per sempre. Lo sai come fa il cobra, che sputa veleno negli occhi delle sue vittime… ebbene è così. Sii pronto, Norman, è molto vicina.»

Si udirono dei passi affrettati nel vialetto del giardino, la porta d’ingresso si aprì di colpo: Tansy si spinse contro suo marito, così vicina da sentire sul petto i suoi seni. Le sue labbra umide cercarono le sue. Le restituì il bacio quasi brutalmente. Lei sussurrò: «Fa’ presto, tesoro» e poi scappò.

I suoi passi erano ora nel corridoio, Norman alzò la rivoltella. Si avvide allora che la camera da letto era immersa in una strana, non naturale oscurità. Tansy aveva chiuso le tende. La porta della camera da letto si aprì verso l’interno. Una forma sottile, in abito di seta grigia, si profilò contro la luce del corridoio. Oltre la canna della rivoltella egli vide il viso appassito, le lenti spesse. Le sue dita erano sul grilletto.

La testa dai capelli d’argento si scosse.

«Presto, Norman, presto!» La voce era vicino a lui, nervosa.

La figura in grigio nel vano della porta non si mosse. La rivoltella oscillò, poi improvvisamente si girò fino a puntarsi sulla figura che gli stava vicino…

«Norman

21

Un venticello irrequieto agitava le foglie della quercia posta come una sentinella corpulenta a guardia della casa dei Carr.

Nell’oscurità generale, il bianco dei muri esterni, un bianco immacolato, così perfetto che i vicini dicevano ridendo che la vecchia signora Carr usciva ogni notte dal suo letto, quando tutti erano a dormire, e li lavava con un pennello dal manico lunghissimo. Dappertutto si aveva l’impressione di vecchiaia pulita, ordinata, sana. La casa aveva perfino un suo odore, come un vecchio cassettone nel quale un capitano dei tempi andati avesse trasportato spezie raffinate durante i suoi viaggi nei mari della Cina.

La facciata della casa guardava verso il campus. Le alunne la potevano vedere quando si recavano in aula, e ricordavano i pomeriggi trascorsi in quella casa, sedute ritte sulle sedie dure, sfoggiando i loro modi più raffinati, mentre un allegro fuoco di legna ardeva sugli alari di rame lucidissimi al centro di un grande camino bianco. La signora Carr era una donna così cara, nella sua severa ingenuità. Le si faceva credere ogni cosa, pensavano le ragazze. E raccontava le storie più strane, con dei particolari impossibili di cui non era neppure cosciente. E con il suo tè profumato di cannella serviva dei biscotti allo zenzero che erano una delizia.

Una luce si accese nell’atrio, producendo ombre strane sul legno intagliato dalla veranda. La porta bianca a sei pannelli si aprì sotto la luce dell’ingresso.