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«Cosa c’è, caro? Non penserai che io voglia toglier ogni merito al successo incontrato dal tuo libro?»

Norman assunse un’espressione che mescolava il riso al ghigno. «Santo cielo, no! Ma…» si fermò. «Insomma questo è successo nel 1930. Va’ avanti, cos’è accaduto in seguito?»

8.58 p.m. Norman allungò il braccio e accese la lampada. Sussultò abbagliato, e Tansy nascose la faccia.

Lui si alzò e si massaggiò la nuca.

«Ciò che proprio mi sbalordisce, è il modo in cui questa faccenda ha invaso a poco a poco ogni più recondito angolo della tua vita, finché un bel momento tu non hai più potuto prendere alcuna decisione o lasciarmi prendere alcuna decisione, senza uno speciale incantesimo protettivo. È come…» Stava per dire: come una specie di paranoia.

La voce di Tansy era bassa e rauca. «Figurati che io allaccio i miei vestiti con ganci e occhielli anziché usare chiusure lampo, perché a quanto pare i ganci allontanano gli spiriti maligni. E quegli ornamenti fatti di frammenti di specchio… Ne porto sui cappelli, sui vestiti, sulle borsette… Hai proprio indovinato, sono talismani tibetani per allontanare il malocchio.»

Norman stava in piedi, ora, davanti a lei. «Senti, Tansy, ma perché hai fatto tutto questo?»

«Te l’ho detto.»

«Lo so, ma perché hai continuato, un anno dopo l’altro, quando per tua stessa ammissione, hai sempre sospettato che ingannavi te stessa e nient’altro? Lo capirei se si trattasse di un’altra donna, ma tu…»

Tansy esitò. «Ti sembrerò forse sentimentale, banale, sciocca; ma ho sempre avuto l’impressione che le donne fossero più primitive degli uomini, più vicine ai sentimenti antichi.» E disse velocemente: «E poi, ci sono delle cose che risalgono all’infanzia; pensieri strani e sbagliati che i sermoni di mio padre mi infondevano, storie che le donnette usano raccontare, allusioni…»

(Norman pensò: “E poi si dice una parrocchia di campagna, dalla sana atmosfera mentale, eccetera eccetera. Che errore!”)

«…E poi insomma, c’erano mille altre cose. Tenterò di spiegartele.»

«Benissimo» fece Norman posandole la mano sulla spalla. «Ma sarà meglio che mangiamo qualcosa mentre parliamo.»

9.17 p.m. Sedevano uno di fronte all’altra, nell’allegra cucina rossa e bianca. Sul tavolo c’erano i sandwich, neppure toccati, e due tazze di caffè, a metà bevute. Ovviamente la situazione fra i due si era capovolta. Ora era Norman ad avere lo sguardo perso nel vuoto e Tansy lo osservava preoccupata.

«Ebbene, Norman» riuscì infine a dire «pensi che io sia pazza o che lo stia diventando?»

Era proprio questa la domanda che aspettava. «No, credo di no» disse senza intonazione. «Sebbene, Dio sa cosa potrebbe pensare un estraneo se venisse a conoscenza di quello che hai fatto. Sono perfettamente sicuro che tu non sia pazza, e altrettanto sicuro che tu sia nevrotica, come lo siamo tutti. E la tua nevrosi ha preso una forma maledettamente insolita.»

Conscio a un tratto di essere affamato, egli afferrò un sandwich e cominciò a masticare mentre parlava, mordicchiando il bordo tutt’intorno prima di attaccare la parte centrale.

«Ascoltami, Tansy, tutti abbiamo i nostri rituali segreti, i nostri piccoli modi particolari di mangiare, di bere, di dormire e di andare alla toilette. Rituali dei quali siamo raramente consapevoli, ma se qualcuno li analizzasse parrebbero più che strani. Per esempio camminare o no sulle spaccature del marciapiede, e cose del genere. Io direi che i tuoi intimi rituali, date le circostanze particolari della tua vita, si sono mescolati con le pratiche di magia nera e ora non riesci più a distinguerli gli uni dagli altri.» Fece una pausa. «Ed ecco un punto molto importante: finché tu sola sapevi di eseguire dei rituali, non potevi criticare spontaneamente il tuo vincolo con la magia, così come nessuno critica la propria formula per addormentarsi. Non vi è conflitto sociale.»

Cominciò a camminare su e giù, mangiando il suo sandwich.

«Sant’Iddio! E pensare che ho passato metà della mia vita a indagare sul come e sul perché gli uomini e le donne sono superstiziosi. Avrei dovuto accorgermi che questi studi avevano avuto su di te un effetto contagioso. Cos’è la superstizione se non una scienza fuorviata, non obiettiva? D’altra parte perché meravigliarsi se la gente si aggrappa alla superstizione, in questo mondo di oggi, marcio, pieno di odio e già condannato a finire? Dio solo sa se accoglierei con piacere la più oscura delle magie nere, qualora questa potesse far qualcosa per allontanare il pericolo della bomba atomica.»

Tansy si era alzata, gli occhi stranamente lucidi e spalancati. «E allora» balbettò «francamente tu non mi odi, e non pensi che sto impazzendo?»

L’abbracciò. «No, perbacco!»

Tansy scoppiò in lacrime.

9.33 p.m. Erano tornati sul divano. Tansy non piangeva più, ma teneva sempre il capo appoggiato sulla spalla di Norman.

Per un istante rimasero lì, tranquilli, poi Norman riprese il discorso col tono pacato di un dottore che spiega al suo paziente che purtroppo dovrà sottostare a un’altra operazione.

«Naturalmente, tu smetterai subito.»

Tansy si alzò bruscamente. «Oh no! Norman non potrei!»

«E perché no? Hai ammesso in questo momento che era tutta una sciocchezza. Hai appena finito di ringraziarmi per averti aperto gli occhi.»

«Lo so, eppure… Non mi obbligare, Norm.»

«Andiamo Tansy, sii ragionevole. Fino a questo momento ti sei comportata da persona adulta. Sono fiero di te; ma capirai benissimo che non ti puoi fermare a metà strada. Una volta che ti sei resa conto della tua debolezza, logicamente, devi perseverare. Devi buttar via tutte quelle cianfrusaglie del tuo spogliatoio, tutti i talismani e portafortuna che hai nascosto ovunque. Tutto, tutto.»

Scosse la testa. «Non mi obbligare, Norman» ripeté. «Non tutto in una volta. Mi sentirei spogliata.»

«Non ti sentirai affatto spogliata, ti sentirai più forte. Perché ti accorgerai che tutto ciò che attribuivi alla magia era invece frutto della tua personale abilità.»

«No, Norman, perché mi dovrei fermare? Cosa importa, ora? Hai detto tu stesso che era una sciocchezza, una specie di mio rituale segreto.»

«Ora che lo so anch’io non è più segreto. E in ogni caso» aggiunse con tono minaccioso «è un rituale perlomeno insolito.»

«Ma non potrei smettere poco per volta?» Tansy lo implorava come un bambino. «Vedi, mi limiterei a non aggiungere altri talismani, ma lascerei quelli vecchi in giro.»

Norman scosse la testa. «No» le disse «è come smettere di fumare o di bere. Bisogna cessare totalmente.»

La voce di Tansy si alzò di tono.

«Ma Norman, io non posso. Ti assicuro, non posso proprio.»

Egli sentì che sua moglie era veramente una bambina. «Tansy, tu lo devi fare.»

«Ma non c’è mai stato nulla di malefico nella mia magia». La sua infantilità diventava preoccupante. «Non l’ho mai usata a danno di nessuno, né per chiedere cose irragionevoli, come ad esempio farti diventare preside di Hempnell dall’oggi al domani. Io ti volevo solamente proteggere.»

«Ma che differenza c’è?»

Il petto della ragazza era scosso da lunghi sospiri. «Norman, io ti dico che non rispondo più di ciò che ti potrà capitare se mi obblighi a togliere tutte le scaramanzie che ho seminato in giro.»

«Tansy, sii ragionevole. Come puoi credere che io abbia bisogno di protezioni di questo genere?»

«Allora tu credi che tutto ciò che hai avuto di buono nell’esistenza sia unicamente il frutto della tua sola abilità? Non trovi nella tua vita nessun elemento di fortuna?»

Gli venne in mente che lo aveva pensato anche lui, proprio quel pomeriggio, e la cosa lo irritò moltissimo. «Ora sentimi, Tansy…»