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«Abbiamo sentito la sua mancanza all’ultima riunione delle signore» continuò la signora Carr. «Ha un carattere così allegro. E francamente abbiamo bisogno di allegria, oggigiorno.» I freddi raggi del sole mattutino brillavano sulle sue spesse lenti e luccicavano sulle sue guance luminose come la brina su una mela rossa. Posò la mano sul braccio di Norman. «Hempnell ha molta stima di Tansy, professor Saylor.»

Norman stava per dire: «E perché non dovrebbe?» Invece rispose: «Il che dimostra il suo buon senso…» e ricordò con ironia come, dieci anni prima la signora Carr fosse fra le più accanite a tacciare i Saylor di “coppia con un’influenza demoralizzante, disfattista”.

Il riso argentino della signora Carr squillò nell’aria fresca.

«Bisogna che mi affretti, ho un colloquio con gli studenti» disse. «Ma voglio farle sapere, professor Saylor, che Hempnell ha molta stima anche di lei.»

La guardò mentre si allontanava rapidamente e si chiese se quest’ultima frase significasse che le sue probabilità di ottenere la cattedra di sociologia si erano accresciute. Voltò e si diresse a Morton.

Entrando nel suo studio udì suonare il telefono. Era Thompson, l’incaricato delle relazioni pubbliche di Hempnell, l’unico compito amministrativo che non era stato affidato a un semplice professore, data la sua vitale importanza.

Il saluto di Thompson fu particolarmente affabile. Come le altre volte, Norman vide nel suo interlocutore un uomo che aveva sbagliato professione e che sarebbe stato certamente più felice a vendere saponette. Ci sarebbe voluto uno psicoanalista, pensò Norman, per scoprire quale intima costrizione spingeva Thompson ad aggrapparsi ai margini del mondo accademico. Si sa soltanto che tale impulso si ritrova in un piccolo numero di questi potenziali venditori.

«Si tratta di un argomento un po’ delicato…» diceva Thompson. Gli argomenti delicati erano la sua specialità. «Un momento fa uno dei nostri consiglieri mi ha telefonato in merito a una strana storia che gli è stata riferita, non mi ha voluto dire da chi. La cosa concerne te e tua moglie. A quanto pare, durante le vacanze di Natale a New York avete partecipato a un ricevimento offerto da gente di teatro, molto in vista e molto… allegra. Non ha saputo dirmi dove si siano svolte le cose, ma pare che tutto il gruppo degli invitati abbia vagato qua e là per New York. A dirti il vero non mi è parsa una cosa molto verosimile. Comunque si trattava di una specie di spettacolo improvvisato in un night-club, con una toga professorale indossata da… insomma… da una spogliarellista. Gli ho risposto che avrei indagato, ho appunto pensato che… insomma, mi stavo chiedendo se tu…»

«Se io avrei opposto un diniego formale? Spiacente, ma mi sembrerebbe disonesto. L’informazione è sostanzialmente esatta.»

«Ah, capisco… Ebbene, non c’è altro da dire» Thompson rispose coraggiosamente dopo un paio di secondi. «Comunque, ritenevo giusto informarti. Il Consigliere Fenner… era molto… agitato per questo incidente. Mi ha inchiodato un’ora al telefono con i suoi commenti su quella coppia di attori, nota soprattutto per la sua facilità a ubriacarsi e a divorziare…»

«Il primo particolare è esatto, il secondo no. Mona e Welby Utell sono due sposi fedelissimi, alla loro maniera s’intende. Gente simpatica, te li farò conoscere uno di questi giorni.»

«Ne sarò lieto, certamente» rispose Thompson. «Addio.»

Il campanello delle lezioni trillò. Norman smise di giocherellare con il piccolo coltello di ossidiana che usava per aprire le buste, fece ruotare la sua poltrona, la spinse indietro e si adagiò sullo schienale, divertito e irritato da quest’ennesima manifestazione della politica silenziatrice e sussurrante di Hempnell. Non aveva mosso un dito per nascondere il ricevimento degli Utell, che era stato in verità un pochino più matto del previsto; ma non ne aveva neppure parlato ad alcuno, qui in collegio. Purtroppo era inutile illudersi; dopo tanti mesi, la cosa veniva a galla.

Dal punto dov’era seduto, l’orlo del tetto di Estrey Hall tagliava in diagonale la finestra del suo studio. Vi si vedeva una figura di pietra, un drago scolpito nell’atto di discendere dal tetto.

Per la decima volta nella stessa mattinata gli tornarono in mente i fatti della notte precedente e si chiese se tutto ciò fosse realmente accaduto. Gli era difficile ammetterlo. Eppure a pensarci bene l’incursione di Tansy nel mondo medioevale non era certo più strana dell’architettura gotica di Hempnell, con quell’abbondanza di grondoni e altri mostri favolosi intesi ad allontanare gli spiriti maligni. Il secondo campanello squillò e Norman si alzò.

La lezione d’oggi verteva sulle società primitive. La classe fece silenzio. Al suo ingresso Norman chiese a uno studente di spiegargli il ruolo della consanguineità come fattore dell’organizzazione tribale, ed ebbe tempo, nei cinque minuti successivi, di raggruppare le sue idee e segnare gli ultimi arrivati e gli assenti. Quando la spiegazione, corredata sulla lavagna dai diagrammi dei matrimoni fra gruppi diventò così complicata che Bronstein, il migliore alunno, si agitava e moriva dalla voglia d’intervenire, Norman chiese ai suoi alunni commenti e critiche, riuscendo a stimolare una discussione di grande interesse.

Alla fine, il presidente dell’associazione studentesca, che sedeva in seconda fila, disse: «Ma tutti quei principi di organizzazione sociale erano in fin dei conti fondati sull’ignoranza, la tradizione e la superstizione. Tutto l’opposto della società moderna.»

Era l’esca prevista da Norman. Egli prese brillantemente la parola, polverizzò il difensore della società moderna, paragonando punto per punto le confraternite universitarie di oggi alle “case dei giovani”, con tutti i particolari delle cerimonie di iniziazione che egli analizzò con delizia scientifica; si lanciò infine in una larga analisi delle usanze contemporanee come apparirebbero a un ipotetico etnologo marziano. Abbozzò passando una umoristica analogia fra le associazioni femminili e la primitiva clausura delle ragazze giunte alla pubertà. I minuti passavano veloci e piacevoli, mentre sfornava esempi di arretratezza culturale in tutto, dal comportamento a tavola sino ai sistemi di misurazione. Perfino il dormiglione solitario dell’ultima fila si era risvegliato ed ascoltava con attenzione.

«Certamente, abbiamo fatto innovazioni importanti, la maggiore delle quali è l’uso sistematico del metodo scientifico» disse a un certo punto. «Ma la base primitiva esiste tuttora e domina il ritmo della nostra vita. Siamo scimmie antropoidi modificate che vivono nei night-club e nelle corazzate. Che altro potremmo essere?»

Il matrimonio e il periodo di corteggiamento furono anch’essi presi in esame. Bronstein sorrideva beato, e Norman abbozzò un parallelo fra matrimonio per acquisto, matrimonio per rapimento e matrimonio simbolico a una divinità. Dimostrò che il matrimonio in prova non è un concetto moderno bensì un’usanza antica solidamente impiantata e praticata con successo dai polinesiani e da altri popoli.

Fu a questo punto che si accorse della presenza in fondo all’aula di un viso rosso brace, dall’espressione irritata. Era quello di Gracine Pollard, la figlia del preside di Hempnell. Lo guardava furente, ignorando volutamente l’interesse che questo suo rossore suscitava fra i compagni.

Pensò meccanicamente: ora quella piccola nevrotica andrà a raccontare a papà che il professor Saylor sta perorando la causa del libero amore. Cacciò dalla mente quel pensiero e continuò la lezione senza modificarla. Fu interrotto dal suono del campanello finale.