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Ponter le passò un pollice sulla guancia. Il dito si bagnò. — Stai bene? — chiese di nuovo.

Mary non si era accorta di avere pianto. — Sì — rispose. Poi, accorgendosi che non era sufficiente a esprimere ciò che provava, aggiunse: — Sto meravigliosamente bene.

— Quelle lacrime… — disse Ponter. — Hai avuto qualche esperienza particolare?

Mary annuì.

— Che cos’era? — chiese lui.

Mary inspirò a lungo, osservando Veronica. Non le andava di condividere quell’esperienza con un’illusionista atea.

— Ho…— cominciò a dire Mary. Poi deglutì e ricominciò da capo: — Hai costruito un’apparecchiatura davvero notevole, Veronica.

La ragazza sorrise da un orecchio all’altro. — Vero? — Quindi si rivolse a Ponter: — Sei pronto?

— Prontissimo — rispose lui.

Veronica offrì il casco a Ponter, e lì venne fuori il guaio. Il design era adatto a un cranio di Homo sapiens, con fronte alta, estensione laterale ridotta, senza protuberanze sopraciliari. Un cranio insomma, con meno cervello all’interno.

— Temo che sarà dura infilarlo — mugugnò Veronica.

— Fammi provare — disse Ponter. Afferrò l’oggetto e lo esaminò all’interno.

— Magari, se ti sforzassi di pensare in piccolo… — suggerì Hak dall’altoparlante esterno. Ponter fulminò con lo sguardo il Companion sul polso sinistro. Mary rise.

Alla fine, Ponter fece un tentativo, conficcandosi a forza il casco in testa. Stringeva da matti, ma era foderato, e alla fine la gommapiuma si compresse abbastanza da fare posto allo “chignon occipitale”.

Veronica lo squadrò come fanno gli ottici con chi prova una montatura nuova, poi aggiustò un po’ la posizione del casco. — Ottimo — concluse. — Come ho detto a Mary: non provocherà dolore ma, in caso di necessità, dimmi di fermare tutto.

Ponter annuì, con una smorfia. Il casco gli stava stritolando i muscoli del collo.

Veronica andò alla rastrelliera, manovrando un oscilloscopio. — C’è qualche forma di interferenza — disse.

Ponter ci pensò un attimo, poi disse: — Ah, l’impianto audio all’interno della coclea.

— Lo si può spegnere?

— Sì. — Ponter aprì la mascherina del Companion e toccò dei pulsanti.

Veronica annuì. — Bersaglio centrato: l’interferenza è sparita. — Rivolse alla cavia neanderthaliana un sorriso d’incoraggiamento. — Okay, Ponter, mettiti pure comodo.

Le due donne uscirono. Veronica ebbe qualche difficoltà a chiudere la pesante porta d’acciaio. Qualcuno vi aveva appiccicato l’etichetta IL GABINETTO DELLA DOTTORESSA CALIGARI. Compiuta l’operazione, la ragazza andò al PC e si mise a cliccare e digitare.

Mary era come ipnotizzata. — Allora? — chiese. — Sta succedendo qualcosa?

Veronica sollevò le spalle gracili. — Impossibile dirlo, se non lo fa lui. — Indicò un altoparlante sul computer. — Il microfono è acceso.

Mary osservò la porta d’acciaio. Una parte di lei desiderava che Ponter avesse la sua stessa esperienza. Con ogni probabilità l’avrebbe liquidata come un’illusione, ma se non altro avrebbe capito che cosa avevano provato tanti sapiens nei millenni della loro Storia.

Magari Ponter avrebbe interpretato la presenza come quella di un alieno. Buffo: loro due avevano parlato di infiniti argomenti, ma mai se lui credesse agli extraterrestri. Forse per i neanderthal l’idea era ridicola quanto quella di Dio, data l’assenza di prove inconfutabili (almeno, sulla Terra dei gliksin).

Ma la religione era ben altro che un gioco elettrico per neuroni scemi. Era un…

— Okay — disse Veronica — stacco la corrente. — Poi riaprì la porta metallica e disse: — Puoi uscire, adesso.

Per prima cosa, Ponter posò i palmi delle mani ai lati del casco e diede un robusto strattone. Il marchingegno venne via, e lui lo porse a Veronica; quindi si mise a strofinarsi le arcate sopraciliari come per riattivare la circolazione.

— Be’? — chiese Mary in tono impaziente.

Ponter si mise a trafficare su Hak, probabilmente per riaccendere l’altoparlante cocleare.

E allora? — sbottò Mary.

Ponter scosse la testa. Per un secondo, Mary sperò che servisse solo a sgranchirsi, ma lui disse: — Niente.

Quella semplice parola ebbe un enorme effetto depressivo su di lei.

— Niente? — ripeté Veronica, ma in tono eccitato. — Ne sei proprio sicuro?

Ponter annuì.

— Niente fenomeni visivi? Nessuna sensazione che nella stanza fosse presente qualcun altro? Nessuna impressione di essere osservato?

— Nulla di nulla. Solo io con i miei pensieri.

— A che cosa pensavi? — chiese Mary. Magari aveva avuto un’idea mistica e non se n’era accorto.

— A che cosa avremmo mangiato a pranzo — rispose Ponter. — E a quanto poco tempo manchi all’arrivo dell’inverno. — Notò la delusione sulla faccia di Mary. — Oh… e a te! Pensavo anche a te, naturalmente.

Lei forzò un sorriso e distolse lo sguardo. Un singolo test su un singolo neanderthal non dimostrava nulla, ma…

Ma i fatti erano quelli: lei, Homo sapiens, aveva avuto gli effetti speciali e i colori ultravivaci. È lui, Homo neanderthalensis, aveva sperimentato…

Un beato accidente, era proprio il caso di dirlo.

8

“Fu questo spirito di conquista a spingere i nostri antenati a diffondersi per tutto il Vecchio Continente…”

Veronica Shannon misurava il laboratorio a grandi passi avanti e indietro. Mary era seduta su una delle due seggiole dell’ufficio. Ponter era troppo largo per prendere posto sull’altra, perciò si era appoggiato alla scrivania. — Tu hai qualche nozione di psicologia, Ponter? — chiese Veronica, con le mani incrociate dietro la schiena.

— Un po’ — rispose. — L’ho studiata durante i corsi di Computeristica all’Accademia. Era un argomento collaterale all’Intelligenza Artificiale.

— Qui da noi — disse Veronica — un capitolo di psicologia che non manca mai è quello sul Behaviorismo. Riguarda i condizionamenti operativi: rafforzamento e punizione.

— Come nell’addestramento dei cani — commentò Ponter.

— Esatto — disse Veronica. Si fermò. — Ora, per favore, Mary, non intervenire. Desidero avere le risposte di Ponter senza influenze esterne.

Lei annuì.

— Bene. Ponter, ricordi qualcosa di quei corsi di psicologia?

— Mica tanto.

La giovane scienziata parve delusa.

— Ma io sì — s’intromise Hak. — Più esattamente, mi è stato caricato in memoria l’equivalente di un manuale di psicologia. Mi serve per avvisare Ponter prima che compia qualche idiozia.

Ponter fece un sorrisetto imbarazzato.

— Magnifico! — disse Veronica. — Allora ecco la domanda: qual è il modo migliore per indurre un determinato comportamento in qualcuno? Non per eliminare abitudini, ma per rafforzarle.

— Offrire una ricompensa — rispose Hak.

— Giusto. Ma che genere di ricompensa?

— Regolare.

Veronica s’illuminò. — Regolare… — ripeté. — Ne sei sicuro? Proprio certo?

— S… sì — rispose Hak, per una volta indeciso.

— Ma qui da noi non è così — disse Veronica. — Non è quello il modo migliore.

Mary si accigliò. Aveva la risposta sulla punta della lingua, ma non riusciva a ricordarla. Per fortuna Ponter diede voce ai suoi dubbi: — E qual è?

— Una ricompensa fornita a cadenza intermittente — rispose Veronica in tono trionfale.