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In quel modo, sperava di controbilanciare un po’ il suo karma negativo. Il suo vecchio Sé non c’era più; il nuovo Cornelius era capace di dominare l’ira. Non provava più i sentimenti del passato contro Mary, contro Qaiser. Anche se, viceversa, loro dovevano ancora essere tormentate dall’incubo dell’uomo dal volto coperto che aveva abusato di loro.

E Mary Vaughan sapeva chi c’era sotto quel passamontagna.

Era una spada a doppio taglio: se Mary lo avesse denunciato, non avrebbe potuto impedire che venisse a galla il crimine commesso da Ponter.

Quanto alle morti di Reuben e di Jock, però, non lo aiutava pensare che nessuno le avrebbe mai collegate a lui. Certo, la versione ufficiale, avallata da Mary, era che Jock era rimasto vittima della propria creatura; e la scomparsa di Krieger non riempiva Cornelius di dolore… Ma era rimasto ucciso anche un innocente. Un medico, un uomo che aveva consacrato la vita a curare il prossimo.

Cornelius staccò le mani dai braccioli per controllare se tremassero ancora. Tremavano. Si aggrappò di nuovo alla poltrona.

— Un innocente — disse ad alta voce.

Poi scosse la testa. “Come se esistesse una cosa come l’innocenza…”

Forse sì. Le biografie di Reuben Montego apparse sui notiziari e on-line ne davano un ritratto agiografico. La fidanzata di Reuben, Louise (che Cornelius aveva visto alla Synergy), era distrutta dalla sua morte; continuava a ripetere che era un uomo buono, nobile.

Per l’ennesima volta, lui aveva procurato dolore a una donna.

Pensò anche che doveva adottare, e in fretta, delle contromisure alla sua evirazione. Presto il suo corpo avrebbe subito altre metamorfosi: un rallentamento del metabolismo, un aumento del grasso… La barba aveva già iniziato a crescere a ritmo ridotto. Lui si sentiva spesso svogliato; o depresso. La soluzione più semplice sarebbe stata quella di assumere testosterone, in vendita anche al mercato nero, ad esempio tra gli spacciatori del suo ex quartiere di Driftwood.

No, però. No. Non voleva reindossare il suo vecchio Sé.

Indietro non si tornava.

E…

E neppure si poteva andare avanti.

Sollevò le mani. Non tremavano più.

Che cosa avrebbero detto di lui i giornali, alla sua scomparsa?

Aveva seguito tutto il recente dibattito in tema di religione. Se avevano ragione quelli come Mary Vaughan, lui avrebbe continuato a ricordare tutto ciò che aveva fatto, anche dopo la morte. Sperando che contasse qualcosa aver salvato un intero pianeta, quello dei neanderthal.

Se però avevano ragione i neanderthal, la morte avrebbe significato la cancellazione di tutto.

Bello, se fosse stato così.

Non voleva lasciare segni della mutilazione a cui era stato sottoposto. Che Ponter Boddit la facesse pure franca, ma lui non voleva che la sua famiglia scoprisse che cos’era successo quella notte nel suo appartamento di Toronto.

Andò al garage, e cominciò spillare benzina dal serbatoio dell’automobile.

— Allora, che te ne pare? — chiese Mary a Bandra.

Bandra era in tenuta gliksin: scarpe da ginnastica, jeans scoloriti, camicione cascante. Si mise le mani sui fianchi ampi e si guardò attorno. — Non somiglia a nessuna casa che abbia mai visto.

— È un appartamento piuttosto tipico, almeno in Nord America — disse Mary. — Anzi, considerato che gran parte della popolazione non abita in campagna ma nelle città, questa è una sistemazione più carina della media. — Pausa. — Ti piace?

— Mi ci vorrà un po’ a imparare come si usa — disse Bandra — ma sì, mi piace molto. Ed è così grande!

— Due piani, 350 metri quadri, più il seminterrato — riassunse Mary. Diede al Companion il tempo di tradurre, poi aggiunse con un sorriso: — E tre bagni.

Bandra spalancò gli occhi. — Il massimo del lusso! “Perché noi valiamo” pensò Mary, divertita.

— E dici che anche il terreno circostante è nostro?

— Certo. Più di un ettaro.

— Ma… ma potremo permettercelo? Qui tutto ha un prezzo.

— Non potremmo permetterci un simile appezzamento nell’area di Toronto, ma qui a Lively sì. Del resto, avremo due stipendi da docenti universitarie.

Bandra si abbandonò sul divano del soggiorno e indicò un esotico armadio con le ante in legno intagliato. — I mobili sono bellissimi.

— Un insolito mix tra gusto canadese e caraibico. La famiglia di Reuben verrà a prelevare alcuni oggetti, e anche Louise, però a noi ne resterà la maggior parte. L’ho acquistata come casa ammobiliata.

Bandra abbassò lo sguardo. — Mi sarebbe piaciuto conoscere Reuben.

— Lo avresti ammirato — rispose Mary, sedendosi accanto a lei. — Era un tipo davvero in gamba.

— Ma allora, vivere qui non ti rattristerà?

Mary scosse la lesta. — Assolutamente no. È qui che siamo rimasti “confinati” insieme io, Ponter, Reuben e Louise. È qui che mi sono innamorata del grand’uomo. — Indicò un angolo della biblioteca, pieno di romanzi gialli. — Ancora me lo vedo, a grattarsi la schiena contro quello spigolo. E abbiamo intrattenuto piacevoli conversazioni proprio su questo divano. Sebbene lo vedrò solo quattro giorni al mese, e perlopiù nel suo mondo, è come se questa fosse anche la casa di Ponter.

Bandra sorrise. — Ti capisco.

Mary le diede una pacca sul ginocchio. — Ecco perché ti amo. Perché tu capisci.

— Rimarrà solo per poco il nostro “nido a due”! Da quanto tempo non ho bambini che scorrazzano in giro!

— Mi darai una mano?

— Certo che sì. So che cosa significa occuparsi di un lattante per nove decimi al giorno.

— Oh, non mi riferivo a quello. Vorrei che mi aiutassi a far apprezzare a mia figlia entrambe le culture, gliksin e barast.

— Questa sì che è… Synergy! Un altro modo per far diventare Uno i Due! — sorrise.

— Esattamente esatto.

La chiamata arrivò due giorni dopo, verso le 6 del pomeriggio. Mary e Bandra si stavano rilassando dopo la prima giornata di insegnamento alla Laurenziana. Mary era stravaccata sul divano, intenta finalmente a concludere il romanzo di Scott Turow iniziato anni prima; Bandra stava sulla sedia anatomica, la stessa su cui aveva dormito Mary durante la quarantena, e leggeva un libro neanderthal sul proprio palmare.

Squillò il telefono, un modello classico posato sul tavolino accanto al divano.

Rispose Mary. — Pronto?

— Ciao, Mary. Sono Qaiser.

— Ehi, ciao! Come stai?

— Io bene, ma… Devo dare una brutta notizia. Ti ricordi di Cornelius Ruskin?

Lei ebbe una stretta allo stomaco. — Sì?

— Mi spiace dover essere io a comunicartelo, ma… non è più tra noi.

Mary alzò un sopracciglio. —… Era ancora giovane…

— Trentacinque anni.

— Che cosa è successo?

— È scoppiato un incendio, e… — Deglutì a fatica. — Di lui non è rimasto molto.

Mary andò alla disperata ricerca di una risposta. Alla fine disse: — Oh…

— Intendi partecipare al rito funebre? — chiese Qaiser. — Si terrà venerdì qui a Toronto.

Lei non ebbe dubbi. — No. No. Lo conoscevo solo di vista. — E pensò: “Non lo conoscevo per niente”.

— Okay, capisco. Però mi sembrava giusto avvisarti.

Mary avrebbe tanto voluto dirle che ora poteva dormire sonni tranquilli. Ma…

Ma, in teoria, lei era all’oscuro della violenza sulla collega. Doveva pensarci. Doveva escogitare un sistema per dare la buona notizia a Qaiser, prima o poi. — Ti ringrazio.