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— Tutto bene? — domandai, continuando a trascinarla per il polso.

Anya rispose, correndo a perdifiato: — Quel dolore… era nella mia mente.

— Tutto bene?

— Fisicamente sì… ma… ora ricordo, Orion. È un demonio; è crudele e spietato.

— Lo ucciderò.

— Dove mi stai portando? Perché continuiamo a scendere?

— L’energia — dissi. — La sua fonte d’energia è nel sottosuolo, nelle profondità della Terra.

Ciò che avevo letto nella mente di Set non era stato che un confuso groviglio di sensazioni. Anche lui, come i Creatori, era in grado di manipolare lo spaziotempo, e la fonte delle titaniche energie di cui aveva bisogno era sotto di noi.

— Non potremo più fuggire — disse Anya, mentre ci precipitavamo giù per il tunnel — se continuiamo a scendere.

— Certo non possiamo fuggire in superficie. Le schiere di Set ci aspetterebbero al varco. Decine di draghi e chissà quanti rettili al suo servizio.

— Verranno a cercarci.

Annuii tristemente.

Set aveva cercato nella mia mente una conoscenza di cui i Creatori dovevano disporre e che lui non aveva. Qualcosa che riguardava il continuum spaziotemporale, una crisi avvenuta alcuni milioni di anni prima e alla quale cercava di porre rimedio, per volgerla a proprio vantaggio.

Improvvisamente, il suo volto traboccante d’odio prese forma nella mia mente. — Non puoi fuggire al mio furore, miserabile scimmia. Tutto ciò che otterrai saranno i tormenti più atroci e la disfatta totale.

Anche Anya sembrò vedere quella stessa immagine. I suoi occhi si dilatarono per un istante. Quindi gridò: — Ci teme, Orion. Sei riuscito a incutergli timore.

— TREMATE! — tuonò la voce di Set nelle nostre menti.

Non dissi nulla, continuando ad avanzare lungo quel tunnel a spirale, allontanandomi sempre più dal sole e dalla libertà. Sapevo che i tirapiedi di Set dovevano essersi gettati al nostro inseguimento, mortificando ogni nostra speranza di far ritorno all’esterno, nel mondo della luce e del calore.

Non che quella galleria fosse minimamente fredda. Il pavimento si era fatto quasi incandescente, e dalle pareti emanava una chiarore rosso. Era come dirigere verso le porte dell’inferno.

Mi accorsi di impugnare ancora la statua di Set, stringendole con forza le dita intorno al collo. Era l’unica cosa simile a un’arma di cui disponessimo, e l’avevo portata con me a dispetto del suo peso considerevole. Mi era stata utile una volta, ed ero certo che in breve sarei stato costretto a usarla di nuovo.

La galleria si aprì infine in una vasta camera circolare ingombra di strumenti e attrezzature appartenenti alla tecnologia aliena di Set. La stanza era ancora più luminosa della galleria, e il suo soffitto era molto basso, quasi claustrofobico. Al centro della camera c’era uno steccato di ferro di forma circolare. Al suo interno vedemmo aprirsi un precipizio così profondo da non riuscire a scorgerne la fine. Dal pozzo salivano vampate di calore intenso, e mi sembrò di udire un suono grave e roboante, simile alle pulsazioni del cuore gigantesco di qualche bestia incredibilmente enorme.

— Un pozzo nucleare.

— Un pozzo…?

— La fonte d’energia alla base del potere di Set. Il pozzo scende fino al nucleo fuso della Terra.

Sapevo che doveva essere così, ma la conferma di quel sospetto mi fece ugualmente battere le palpebre per lo stupore. Set sfruttava l’inesauribile energia racchiusa nel cuore della Terra. Grazie a essa era in grado di produrre alterazioni al flusso spaziotemporale. Ma perché? A che scopo? Non lo sapevo.

Il corridoio terminava in quella stanza. Non c’era altra via d’uscita se non quella da cui eravamo appena giunti, e avevo la certezza che decine, centinaia di rettili si erano lanciati al nostro inseguimento.

Anya era completamente assorta nell’analisi dei banchi di strumenti e pannelli di controllo allineati lungo le mura circolari della stanza. Avevamo pochi minuti a nostra disposizione prima che tutti i rettili di Set piombassero su di noi, ma Anya continuava a concentrare la propria attenzione sui macchinari che avevamo di fronte. Aveva dimenticato persino il dolore della tortura di Set e la propria nudità.

Ma io ero immune da tali dimenticanze. Era la donna più bella del mondo, alta, slanciata e aggraziata come una dea guerriera, i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle, gli occhi grigi e luminosi intenti allo studio di quella tecnologia aliena.

— Sul fondo del pozzo sta per verificarsi un fenomeno di distorsione spaziotemporale. L’energia laggiù è sufficiente a completarla, se concentrata adeguatamente.

Dal tono con cui pronunciava quelle parole, capii che stava parlando più a se stessa che a me.

Si voltò. — Orion, dobbiamo distruggere tutti questi strumenti. Colpisci! Presto.

— Con piacere — risposi, sollevando la statua di legno.

— Non fate che aumentare l’agonia che vi infliggerò! — gridò Set nella mia mente.

— Ignoralo — disse Anya.

Calai la statua contro il più vicino banco di strumenti. Riuscii a infrangere con facilità la leggera calotta di plastica che lo rivestiva. Piovve una cascata di scintille bianche e azzurre. Un sottile filo di fumo salì da esso.

Passai da una consolle all’altra, rompendo, infrangendo, distruggendo. Immaginai di colpire il volto di Set, e il compito si fece piacevole.

Avevo distrutto appena un quarto dell’ampia circonferenza quando Anya gridò: — Stanno arrivando!

Balzai verso l’unica via d’ingresso alla camera e udii il calpestio di decine di piedi artigliati scendere verso di noi.

— Cerca di trattenerli il più possibile — disse Anya.

Potei guardarla soltanto per un momento. Si dette da fare per distruggere i pannelli successivi, per strapparne i cavi interni, con le dita coperte di sangue. Il balenio delle scintille proiettava una luminescenza azzurrina sui lineamenti risoluti del suo bellissimo volto.

Poi i rettili si fecero su di me. L’ingresso non era stretto come desideravo. Erano in grado di attaccarmi anche tre alla volta. Usai la statua del loro signore e padrone a mo’ di arma, colpendoli con tutta la furia e l’odio che si erano accumulati dentro di me in tutti quei mesi.

Cominciai a ucciderli. Due, tre, dozzine, fino a perdere il conto. Ero lì fermo sulla soglia e picchiavo, colpivo, sferzavo con una forza e una rabbia sanguinaria quali non avevo mai conosciuto. La statua di legno si trasformò in uno strumento di morte che spaccò ossa, frantumò crani, versò il sangue dei miei nemici inumani finché la soglia non si riempì dei loro corpi e il pavimento divenne scivoloso per il sangue.

I miei nemici non disponevano di armi a eccezione di quelle fornite loro dalla natura. Sferzavano l’aria coi loro artigli affilati, straziandomi le carni. Il mio sangue scorreva insieme al loro, ma la cosa non mi destava alcuna preoccupazione. Ero diventato una forza devastatrice, inesorabile come il fuoco o la valanga.

Anya si portò al mio fianco, stringendo in pugno una lunga lamina di metallo strappata a uno di quei macchinari, come una spada vendicatrice. Lanciò un grido di battaglia, e io ruggii in risposta tutta la rabbia prodotta dalla mia disperazione mentre i rettili sibilavano e calavano gli artigli su di noi.

Lentamente ma inesorabilmente ci spinsero all’interno della camera rotonda, decisi ad accerchiarci. Ci disponemmo schiena contro schiena, continuando a colpire con tutta la furia che il nostro sangue e i nostri nervi potessero generare.

Ma non era sufficiente. Per ogni rettile che cadeva un altro prendeva il suo posto. Altri due. Altri dieci.

Senza scambiarci una parola, ci aprimmo un varco fra i mostri per portarci sull’orlo del pozzo. Con l’inferriata alle nostre spalle continuammo a batterci senza alcuna speranza di salvezza per il semplice piacere di uccidere quanti più nemici fosse possibile prima che, com’era inevitabile, finissero per sopraffarci.