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Anya era in piedi, e attraverso il fitto fogliame scrutava l’acqua a pochi metri da noi. Mi costrinsi a star su, barcollando, e feci cenno ad Anya di arrampicarsi sull’albero più vicino.

— E tu? — mormorò.

— Proverò anch’io — risposi, con un filo di voce.

Tra le diramazioni dell’albero, diverse erano cresciute quasi parallele al terreno, ed erano coperte di viticci che rendevano piuttosto facile l’arrampicata anche per me. Anya mi aiutò a muovere gli ultimi passi su per il tronco, e infine raggiungemmo un grosso ramo e ci stendemmo sulla sua corteccia calda e ruvida. Sentii alcuni insetti percorrermi la schiena e vidi una mosca, o un’ape, o un qualcosa grande quasi quanto un passero ronzare davanti ai miei occhi con un frenetico sbattere d’ali.

I rumori che avevamo udito si facevano sempre più vicini. Gente di Set alla nostra ricerca? Trattenni il respiro.

Fu come se una collina fosse scaturita dal terreno per muoversi a fatica attraverso la palude. Una massa di carne squamosa alta cinque metri, grigia e inzaccherata di fango, comparve dal sottobosco muovendosi verso la radura presso la quale le acque verdastre e schiumose scorrevano lente.

Allora fui sul punto di mettermi a ridere. Il muso di quella creatura era piatto e largo, simile al becco di un’anatra. La curvatura della bocca si torceva in un sorriso idiota permanentemente dipinto sul suo volto, facendolo sembrare il personaggio di qualche cartone animato.

Nonostante l’espressione del suo muso, comunque, il dinosauro si guardò intorno con molta attenzione prima di uscire allo scoperto. Si sollevò sulle zampe posteriori, superando in altezza l’albero sul quale eravamo nascosti, e girò intorno il capo fiutando l’aria con l’ansimare di una locomotiva a vapore. I suoi piedi erano piuttosto simili a zoccoli. I suoi occhi gialli oltrepassarono il ramo sul quale avevamo trovato riparo, senza scorgerci.

Con un soffio simile al rumore dei freni ad aria di un camion, il becco-d’anatra si lasciò ricadere sulle quattro zampe ed emerse completamente dalla palude. Dal muso alla coda misurava una decina di metri. E non era solo.

Era un’intera processione di dinosauri a becco d’anatra, in un’unica fila di quarantadue esemplari. Con la dignità della loro mole avanzavano lungo il torrente affondando fino al ginocchio nelle acque fangose.

Rimanemmo affascinati a guardarli discendere il ruscello per poi sparire lentamente nell’intricato sottobosco della palude.

— Dinosauri — disse Anya quando gli animali scomparvero del tutto fuori vista e gli insetti della foresta ripresero a ronzare. Nella sua voce lessi un tono di meraviglia, e neanche un minimo di timore.

— Siamo nel Cretaceo — dissi. — I dinosauri sono i padroni del mondo.

— Dove pensi che stiano andando? Sembrerebbe una migrazione preordinata…

Di nuovo non riuscì a finire la frase. I suoni della foresta si erano nuovamente interrotti.

Anya si appiattì nuovamente contro la mia schiena. Non udimmo alcun suono, il che mi preoccupò più del rumore prodotto dalla pesante marcia dei becchi-d’anatra.

D’un tratto, a non più di trenta metri da noi la vegetazione si piegò di lato, e da essa emerse la più terribile creatura che avessi mai visto. Una testa enorme, lunga quasi due metri, occupata per lo più da una bocca munita di denti lunghi come sciabole. I suoi occhietti malvagi in qualche modo denotavano intelligenza, come gli occhi di una tigre intenta alla caccia o quelli di un’orca marina.

Avanzava lentamente lungo il torrente che solo un minuto prima era stato percorso dai becchi-d’anatra.

Un tirannosaurus rex. Senza alcun dubbio. E di taglia enorme; al suo confronto i dinosauri carnivori di Set non erano che semplici cuccioli. Un paio di zampe rattrappite e ormai vestigiali gli pendevano dal petto. Avanzava sulle zampe posteriori, raggiungendo quasi l’altezza delle più alte cime degli alberi, scrutando nella direzione in cui si erano allontanati i becchi-d’anatra. Teneva sollevata la coda come per controbilanciare con essa l’incredibile peso della testa.

Potevo percepire la tensione del corpo di Anya premuto contro il mio. Io stesso ero immobile, come un topo impietrito dal terrore di fronte a un leone. Il tirannosauro torreggiò sopra di noi con le sue scaglie verdi e grigie sotto i raggi del sole che filtravano tra le foglie. Gli artigli sui suoi piedi erano più grandi e affilati delle falci di una mietitrice.

Si allontanò a passi lenti sulle orme dei becchi-d’anatra. Proprio mentre riprendevo a respirare, un secondo tirannosauro emerse dalla giungla silenziosamente com’era comparso l’altro. E un terzo.

Anya mi diede col gomito un colpetto sul fianco, attirando la mia attenzione alle nostre spalle, dove altri due di quegli enormi bruti emergevano dal fitto degli alberi.

Cacciavano in gruppo. Erano sulle tracce dei becchi-d’anatra, e lo facevano con la scrupolosità e la metodicità di un branco di lupi.

Superarono l’albero sul quale eravamo nascosti. Se anche ci avessero scorti o in qualche modo avessero individuato la nostra presenza, non lo dettero a intendere. Mi ero sempre figurato un tirannosauro come una macchina assassina priva di mente, pronta a richiudere le fauci su qualsiasi essere vivente incontrasse sul suo percorso, a prescindere dalle dimensioni di questo o dalla fame che provava.

Ovviamente non era così. Quei bruti possedevano un grado d’intelligenza sufficiente a indurli a cooperare nella caccia ai becchi-d’anatra.

— Seguiamoli — disse Anya quando l’ultimo di essi scomparve tra le canne e le felci che celavano il corso d’acqua alla nostra vista.

Devo averla guardata come se pensassi che fosse impazzita.

— Possiamo rimanere a distanza di sicurezza — aggiunse, incurvando leggermente le labbra alla vista dell’espressione sul mio volto.

— Ho l’impressione — risposi — che siano ben più veloci di noi. E non credo esista un albero tanto alto da poterci tenere al sicuro nel caso volessimo sfuggire a quelle bestie.

— Ma danno la caccia ai becchi-d’anatra, non a noi. Non credo possano nemmeno considerarci prede.

Scossi il capo. Potevo anche essere coraggioso, ma certo non ero uno sciocco. Anya era impaziente come una cacciatrice sulle orme della sua preda, ansiosa di osservare i tirannosauri da vicino. Io li temevo; temevo che potessimo trasformarci da cacciatori in prede.

— Non abbiamo armi, non abbiamo nulla con cui difenderci — dissi. — E poi, sono ancora troppo stanco per…

Il volto di Anya mutò da un’espressione di superiorità a un’aria di sincero rincrescimento nel lampo di un istante. — Avevo dimenticato! Oh, Orion, sono così stupida… perdonami… Avrei dovuto ricordare…

Interruppi il suo farfugliare con un bacio. Anya sorrise e, col volto ancora arrossato per l’imbarazzo, mi disse di attenderla mentre andava in cerca di qualcosa da mangiare. Quindi si calò giù per il tronco e si diresse verso la palude coperta di fango.

Rimasi supino sotto la luce del sole che filtrava tra le foglie. Un piccolo animaletto peloso attraversò di corsa un ramo più in alto verso la cima dell’albero, scese verso il ramo sul quale mi trovavo e rimase a fissarmi per un istante coi suoi occhi rotondi, neri e scintillanti, contorcendo nervosamente la coda priva di pelo, senza emettere un singolo suono.

— Salute, piccolo mammifero — dissi. — Per quel che ne so, potresti essere l’antenato di tutta la razza umana.

L’animaletto saettò su per il tronco e scomparve nella chioma dell’albero.

Incrociate le mani dietro la testa, rimasi ad aspettare il ritorno di Anya. Era fuggita al calore del pozzo nucleare riassumendo la propria vera forma, in modo da poter assorbire il calore che ustionava le nostre carni. Quindi aveva usato lo stesso apparato di Set per trasportarci in questo punto del continuum. Allora aveva riassunto la propria forma umana, senza un graffio, addirittura con un abito nuovo.