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Il lucertolone lasciò cadere il bambino e si voltò verso di me, lanciando un sibilo. La lingua saettò fuori dalla bocca sottile mentre continuava a dondolare il collo da un lato all’altro. La coda fece un guizzo quando l’animale si mise sulle quattro zampe.

Strinsi il pugnale nella mano destra. Sembrava pateticamente innocuo in confronto agli artigli del mostro, ma era l’unica arma di cui potevo disporre. Mentre riducevo la distanza che mi separava dal rettile il mio sguardo cadde sugli altri uomini del gruppo. Notai che erano del tutto assoggettati, immobili come pezzi di ghiaccio, e che non cercavano in nessun modo di fuggire o di distrarre l’attenzione della bestia. Non avrei dovuto aspettarmi alcun genere di aiuto da parte loro.

Caracollando, il lucertolone mosse qualche passo nella mia direzione, quindi s’impennò sulle zampe posteriori come un orso infuriato. Torreggiò sopra di me, abbassando il collo tra le zampe anteriori e sibilando. I suoi denti erano piccoli e piatti. Non era carnivoro; ma di sicuro era una macchina letale.

D’improvviso, una cresta gialla si gonfiò su ambo i lati del suo collo, facendo apparire il suo capo due volte più grosso; uno stratagemma per incutere timore ai suoi nemici, ma che io conoscevo per quello che era.

Presi a correre direttamente verso il grosso rettile e vidi la sua lunga coda scattare verso di me come in un incubo al rallentatore.

Ne valutai la velocità e saltai poco prima che colpisse il terreno sotto i miei piedi. L’impeto del balzo mi portò sotto il ventre coperto di scaglie del mostro, in cui immersi la lama del pugnale con ogni grammo della mia forza.

L’animale emise uno strillo simile al fischio di una vaporiera, cercando di afferrarmi. Riuscii a sgattaiolare via da quegli artigli e affondai nuovamente il pugnale nelle carni della bestia.

Nella foga dello scontro avevo dimenticato la sua coda. Questa volta essa riuscì a colpirmi, facendomi cadere a terra. Colpii il terreno con un tonfo che mi fece gemere per il dolore e la sorpresa. Il rettile cercò nuovamente di afferrarmi, ma con i miei sensi particolarmente veloci ero in grado di analizzare con maggior cura ogni suo movimento, e così riuscii ancora una volta a sfuggire a quegli artigli.

La coda saettò nuovamente verso di me. Saltai all’interno dell’arco formato da essa e tagliai via un pezzo di carne dalla coscia dell’animale. Sentii la lama colpire l’osso e cercai di farla penetrare ancora di più, nella speranza di ledere l’articolazione della rotula. Invece, sentii i suoi artigli chiudersi intorno a me, straziandomi i fianchi mentre venivo sollevato in aria. Il pugnale gli rimase conficcato nel ginocchio, sfuggendomi alla presa.

Mi sollevò fino all’altezza dei suoi sottili occhi da rettile, che mi fissarono con sguardo di ghiaccio. I suoi denti non erano adatti a lacerare le carni, ma erano ugualmente in grado di stritolarmi con estrema facilità. E proprio questa era la sua intenzione. La cresta intorno al suo collo si rilasciò visibilmente; il mostro non si sentiva più minacciato.

Cercai di liberarmi dai suoi artigli, ma ero del tutto indifeso, come lo era stato quel bambino qualche istante prima.

— Orion! Quaggiù!

Abbassai lo sguardo in direzione della voce di Anya mentre mi dibattevo nella potente stretta del rettile. Mi aveva seguito, e adesso stava estraendo il mio pugnale dal ginocchio dell’animale. Prima che la bestia potesse comprendere ciò che stava accadendo, Anya lanciò il pugnale con l’abilità di un perfetto assassino. La lama penetrò tra le soffici pieghe di carne sotto la mascella del rettile con un rumore sordo.

Con la zampa libera il dragone cercò di raggiungere l’acciaio nella sua gola. Ma io ero più vicino e più rapido di lui. Afferrai l’elsa del pugnale e presi a girarne la lama fin dentro le fauci del rettile, la cui cresta era tornata a sollevarsi. L’animale emise un grido e mi lasciò cadere, ma io mi aggrappai al suo collo, mi portai dietro la sua nuca, estrassi nuovamente il pugnale dalle sue carni e glielo conficcai alla base del cranio.

La bestia cadde d’un colpo come se qualcuno avesse spento un interruttore. Le avevo reciso la spina dorsale. Entrambi cademmo di peso sul tappeto erboso. Sentii il mio corpo rimbalzare sul terreno, poi tutto si fece scuro.

3

Aprii gli occhi e con sforzo li misi a fuoco sul volto aggraziato di Anya, inginocchiata al mio fianco, con un’espressione preoccupata dipinta sui lineamenti classici. Allora mi sorrise.

— Stai bene? — domandò.

Provavo dolore in ogni parte del corpo. Gli artigli del rettile mi avevano ferito il petto e le cosce. Esercitai volontariamente una pressione sui vasi capillari per fermare l’emorragia e inibii i centri del dolore nella mia mente. Mi sforzai di sorridere.

— Sono ancora vivo.

Anya mi aiutò a mettermi in piedi. Mi accorsi allora che erano passati appena pochi istanti. La grande lucertola adesso non era altro che un’immensa montagna di squame lucenti e multicolori che si ergeva tra l’erba.

Per il gruppetto di schiavi, tuttavia, la situazione sembrava essere ben diversa: avevano tutti uno sguardo terrorizzato. Invece di mostrare gratitudine, sembravano furibondi.

— Hai ucciso uno dei guardiani! — disse un uomo scarno e con la barba, gli occhi colmi di paura.

— I padroni se la prenderanno con noi! — lamentò una delle donne.

— Ci puniranno!

Provai nei loro confronti qualcosa di simile a disprezzo. Mostravano la tipica mentalità degli schiavi: invece di ringraziarmi per averli aiutati, manifestavano vivo timore nei confronti dei loro padroni. Senza dire una parola mi portai presso il corpo morto dell’animale ed estrassi il pugnale dalla sua nuca.

Anya disse, in tono di scusa: — Non potevamo restare immobili a guardare un mostro uccidere un bambino.

Il piccolo, come constatai, era ancora vivo. Sua madre sedeva in silenzio sull’erba e se lo stringeva al petto, i grandi occhi scuri fissi su di me con espressione vaga. Se mi era grata per ciò che avevo fatto, lo nascondeva piuttosto bene. Due lunghi lividi rossi le striavano la schiena. Anche il bambino mostrava i segni della frusta.

Il più anziano si carezzò la barba grigia e borbottò: — I padroni ci scoveranno e ci uccideranno fra mille tormenti. Ci getteranno nel fuoco che non muore mai. Tutti noi!

— Sarebbe stato meglio lasciar morire il bambino — disse un altro uomo altrettanto smunto, e con barba e capelli altrettanto sporchi e scarmigliati. — Molto meglio che morisse lui solo, piuttosto che condannarci tutti a essere torturati a morte. Avremmo sempre potuto avere altri figli.

— Se i vostri padroni non vi troveranno non potranno punirvi — dissi io. — Se in due siamo riusciti a uccidere una di queste lucertole malcresciute, noi tutti insieme potremo comunque difenderci.

— Impossibile!

— Dove potremmo nasconderci, per non farci prendere?

— Hanno occhi che scrutano nella notte.

— Possono volare nel cielo, e nuotare nel grande fiume.

— I loro artigli sono aguzzi. E posseggono il fuoco eterno.

Mentre parlavano si stringevano intorno ad Anya e me, come in cerca di protezione. E continuavano a scrutare il cielo verso l’orizzonte, come per cogliere il primo segno dell’arrivo di altri rettili. O qualcosa di ancora più tremendo.

Anya domandò, con dolcezza: — Cosa sarà di voi, se noi due ce ne andremo lasciandovi soli?

— I padroni vedranno cosa è accaduto qui e ci puniranno — disse l’uomo, continuando a carezzarsi la barba. Doveva essere il loro capo, probabilmente soltanto perché era il più anziano.

— Come vi puniranno? — domandai.

— Ci strapperanno la pelle dal corpo — rispose uno degli adolescenti — e poi ci getteranno nel fuoco eterno.