Premendo il pollice contro la mascella del rettile, riuscii a tenerne la testa sempre a un braccio di distanza. Il serpente si contorse cercando di liberarsi dalla mia stretta. Anya si svegliò, intuì immediatamente la situazione e afferrò la mazza.
Riuscii a mettermi in ginocchio, cercando di non cadere dal ramo sotto gli spasimi violenti del serpente.
— Resta giù! — ordinai ad Anya.
Dopodiché, con la velocità del fulmine feci scivolare la mano lungo il corpo del rettile, afferrandolo per la coda per poi scaraventarlo con tutte le forze contro il tronco dell’albero. La sua testa colpì il legno con un tonfo sonoro e soddisfacente. Ripetei l’operazione più volte, finché il rettile smise di dimenarsi o di muoversi del tutto. La sua testa pendeva senza vita dalla mia mano. Lo gettai da parte e lo sentii cozzare contro i rami più bassi per schiantarsi infine sul terreno.
Anya sollevò il capo. — Un regalo di Set? — domandò in un sussurro.
Scrollai le spalle nell’oscurità. — Chi può dirlo? È pieno di serpenti, qui. Probabilmente cacciano i mammiferi notturni che vivono su questi alberi. Potremmo semplicemente aver scelto l’albero sbagliato.
Anya mi si fece più vicina. La sentii tremare. Da quella notte in poi dormimmo sempre a turno. E allora compresi perché tutti gli esseri umani, nel corso dei secoli, condividono tre paure istintive: quella del buio, quella dell’altezza e quella dei serpenti.
17
A poco a poco, mentre avanzavamo in quella terra sempre più ripida, Anya e io ci costruimmo alcuni utensili rudimentali. Non mi riuscì di trovare nessuna selce, ma avevo raccolto una pietra che si adattava perfettamente al palmo della mia mano e cominciai a sfregarla ogni notte contro altre pietre, per renderne l’orlo sufficientemente affilato. Anya raccolse alcuni rami piuttosto lunghi tra gli alberi fatti cadere dal vento sulla nostra strada, quindi ne indurì un’estremità nel fuoco che ormai accendevamo tutte le notti fino a farne delle vere punte di lancia.
Ero preoccupato per questa faccenda del fuoco. Naturalmente, era indispensabile per cuocere il poco cibo che riuscivamo a procacciare. In un’altra epoca il suo scopo sarebbe stato anche quello di tenere lontani i predatori durante il sonno. Ma in quel mondo di serpenti e dinosauri, dominato dai rettili invece che dai mammiferi, mi chiedevo se il calore del fuoco non avrebbe attratto i predatori piuttosto che tenerli lontani.
E poi, c’era sempre Set. Certo nessun altro all’infuori di me e Anya avrebbe potuto accendere un fuoco in quel luogo. Per chiunque disponesse di una tecnologia tale da poter esaminare grandi aree del globo, il chiarore sarebbe stato evidente come un faro nell’oscurità.
E tuttavia un fuoco notturno era indispensabile, non solo per cucinare o per la nostra sicurezza, ma anche per il conforto psicologico che forniva. Una notte dopo l’altra ci rannicchiavamo l’uno contro l’altra a guardare le fiamme guizzare nel buio, consci del fatto che sarebbero passati oltre sessanta milioni di anni prima che qualcuno potesse accendere un altro fuoco.
In quelle regioni collinose il sole era più luminoso. Ma le stelle continuavano a essere poco familiari ai miei occhi. Notte dopo notte cercavo d’individuare la costellazione di Orione, ma sempre senza risultato.
Cominciai a mettere alla prova le mia capacità di cacciatore. Con la lancia costruita da Anya catturai dinosauri della grandezza di uccelli e, di tanto in tanto, anche prede più grandi.
Una notte posi ad Anya una domanda che mi frullava in testa fin da quando eravamo giunti in quell’epoca. — Quando hai cambiato forma… per trasformarti in una sfera d’energia — l’idea che quella fosse la sua forma reale ancora mi disturbava — dove sei stata? Cos’hai fatto?
La luce del fuoco proiettava ombre fugaci sul suo viso, più o meno nello stesso modo in cui ella aveva preso a scintillare durante la nostra discesa nel pozzo di Set.
— Ho cercato di tornare presso gli altri Creatori — rispose con voce bassa, quasi mesta. — Ma la strada era bloccata. Ho cercato di trasportarci in un tempo e uno spazio differenti nel continuum. Ma l’apparecchio di Set era predisposto per questo punto, e avrei dovuto impiegare una dose d’energia per me fatale per cercare di vincere quell’impulso e spostarci verso un’altra direzione.
— Sei cosciente di quel che ti accade quando… cambi forma?
— Sì.
— Saresti in grado di farlo adesso?
— No — ammise lei, con aria cupa. Indicando con un gesto il fuoco del nostro accampamento e i frammenti d’osso di dinosauro sul terreno, disse: — Non c’è energia sufficiente per farlo. Disponiamo appena della poca energia necessaria a mantenere in vita la nostra forma umana.
La sua voce sorrise mentre diceva quelle parole, ma in fondo a essa colsi una punta di amarezza. E forse anche di paura.
— Allora sei intrappolata in questa forma umana — dissi.
— Io ho scelto questa forma, Orion. Per stare con te.
Aveva pronunciato quelle parole in segno d’amore. Ma mi fece star male pensare che, per colpa mia, era più indifesa e vulnerabile che mai.
Nel giro di una settimana raggiungemmo le colline dove l’aria, se non più fresca, era almeno più secca di quanto non fosse nelle paludi.
Ogni notte scrutavo le stelle in cerca della costellazione mia omonima, cercando di non pensare che quella stella rossa alta nel cielo mi stesse sorvegliando come l’occhio di qualche dio… o di qualche demone.
Intorno a mezzanotte Anya si destava per intraprendere il suo turno di veglia. Una notte domandò: — Cosa stai cercando fra le stelle?
Mi sentii quasi imbarazzato. — Cercavo me stesso.
Anya puntò il dito verso una porzione di cielo. — Lassù.
Non era Orione. Non la buona, vecchia costellazione del Cacciatore che conoscevo. Rigel non esisteva ancora. La rossa, lucente Betelgeuse era invisibile ai miei occhi. Al posto delle tre stelle che formavano la cintura e la spada, si scorgeva un semplice, tenue chiarore nebuloso.
Il sangue mi si raggelò nelle vene. Nemmeno Orione esisteva ancora in quel punto desolato dello spaziotempo. Non c’era nulla che ci legasse a quel luogo, così lontani com’eravamo da tutto ciò che avevamo conosciuto. Eravamo stranieri in quella terra, esiliati, abbandonati dagli dèi, braccati da forze che non avevamo nemmeno cominciato a contrastare, destinati alla morte eterna.
Un’intensa sensazione d’infelicità pervase il mio animo. Mi sentivo del tutto impotente, incapace di qualsiasi azione. Sapevo che era soltanto questione di tempo prima che Set ci scovasse e decidesse di farla finita.
Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a scrollarmi di dosso quella tristezza. Non avevo mai provato tanta pena prima d’allora, tanta disperazione. Cercavo di nasconderla ad Anya, ma dagli sguardi preoccupati che mi lanciava di tanto in tanto compresi che doveva aver intuito quanto mi sentissi vuoto e privo di vitalità.
Giungemmo infine al territorio dei becchi-d’anatra.
Era la cima piatta di una collina non troppo scoscesa. C’erano così tante impronte che gli zoccoli degli animali avevano scavato un vero e proprio sentiero nel terreno polveroso.
— Devono tornare qui ogni anno — disse Anya nel seguire quel sentiero verso la cima del rilievo.
Non risposi nulla. Non mi riusciva di condividere quell’entusiastica curiosità che sembrava pervadere Anya. Ero ancora immerso nell’oscurità dei miei pensieri.
Avremmo dovuto intuire che qualcosa non andava dai sibili e dagli sbuffi degli pterosauri che sbattevano le ali di pelle nell’aria, scendendo in picchiata di tanto in tanto. Mentre ascendevamo il dolce pendio della collina li udimmo battere i lunghi becchi d’osso, come se stessero combattendo fra loro.
Un ricordo si affacciò indistinto alla mia mente. Il modo in cui gli pterosauri si comportavano mi suggeriva qualcosa, ma non riuscivo a capire di cosa si trattasse. Nell’istante in cui raggiungemmo la cima del colle, il ricordo si fece distinto.