Era un’immensa distesa di ossa.
Sul fondo concavo dell’altopiano c’erano centinaia di nidi in cui i becchi-d’anatra avevano deposto le uova per innumerevoli generazioni.
Ma i tirannosauri erano passati di lì.
Un alito di vento portò alle nostre narici un fetore di carne putrescente. Gli pterosauri battevano le ali sibilando contro di noi, mettendo in buona evidenza i piccoli artigli posti sul bordo anteriore. Si comportavano come avvoltoi: beccavano le ossa in cerca della poca carne ancora intorno a esse. Caricai con la lancia il più vicino dei rettili alati, e l’intero gruppo di volatili si alzò in volo sibilando di rabbia, librandosi alto sopra le nostre teste, aspettando che ci allontanassimo per riprendere il festino che avevamo interrotto.
Pensai che Anya scoppiasse in lacrime. Nient’altro che ossa e brandelli di carne putrefatta, le gabbie toraciche dei sauri simili a relitti di navi in secca e più alte di me.
— Guarda! — gridò Anya. — Delle uova!
I nidi erano piccole incavature scavate nel terreno nelle quali giacevano alcune uova delle dimensioni del mio braccio, disposte in disegni circolari. Molte di esse erano rotte.
— Bene — dissi, indicando un paio di uova ancora intere sul terreno. — Ecco il nostro pranzo.
— Non oserai… — Anya sembrava indignata.
Lanciai uno sguardo verso gli pterosauri ancora intenti a battere le ali o a planare sulle nostre teste.
— O il nostro pranzo o il loro.
Anya era ugualmente risentita.
— Queste uova ormai non si schiuderanno più — le dissi. — E anche se lo facessero, i piccoli becchi-d’anatra sarebbero facile preda di qualsiasi predatore, adesso che non hanno più una madre a proteggerli.
Seppure con riluttanza, alla fine Anya riconobbe la situazione. Discesi la collina per raccogliere un po’ di legna secca, e lei rimase a proteggere il nostro pranzo dagli pterosauri.
Mentre raccoglievo ramoscelli e arbusti secchi pensai a quanto i tirannosauri fossero stati metodici nel loro assalto contro i becchi-d’anatra. Per quanto ne sapevo, li avevano uccisi tutti. Il che non mi sembrava naturale. Di solito i predatori uccidono tanti animali quanti ne possono mangiare, permettendo alle altre potenziali prede di allontanarsi indisturbate. I tirannosauri erano vere e proprie macchine assassine? O forse erano stati diretti dalla volontà di qualcun altro… come Set?
Avevano seguito il gruppo migrante di becchi-d’anatra per arrivare al loro territorio di riproduzione e uccidere tutti i dinosauri che vi si trovavano. Com’era evidente, la collina era stata abitata da ben più di quella quarantina di becchi-d’anatra che avevamo visto passare nella palude. C’erano più di cento nidi, lassù. E tutti erano stati distrutti dai tirannosauri.
Quando tornai alla cima del colle con una discreta fascina di legna secca, Anya mi mostrò la risposta alle mie domande.
— Guarda qui — disse, indicando l’orlo di uno dei nidi.
Lasciai cadere la legna presso il nido in cui giaceva il nostro futuro pranzo e mi portai presso di lei.
Impronte. Zampe con tre dita, ma molto più piccole di quelle di un tirannosauro. Erano grandi come quelle di un uomo. O meglio, un umanoide.
— Uno degli scagnozzi di Set?
— Ce ne sono altre — disse Anya, facendo un gesto in direzione degli altri nidi. — Credo siano stati loro a rompere le uova durante l’attacco dei tirannosauri.
— Ciò significa che Set o qualcuno della sua razza si trova qui, in questo luogo e in questo tempo.
— Perché mai avranno intenzione di sterminare i becchi-d’anatra?
— E quel che è peggio — continuai — di chiunque si tratti, deve essere alla nostra ricerca.
Anya sollevò lo sguardo e scrutò l’orizzonte, come se così facendo fosse in grado di scorgere Set o qualcuno della sua gente.
La terra era pianeggiante e coperta di verde, sempre lo stesso tono di verde a perdita d’occhio. Non un fiore. Persino i ruscelli che scorrevano in quella zona avevano un colore verde spento. Le mangrovie fiancheggiavano i corsi d’acqua, e gigantesche felci crescevano a macchie nel vento caldo. Eserciti interi avrebbero potuto nascondersi in quella regione senza che potessimo scorgerli.
Di nuovo pensai a quanto eravamo vulnerabili, quanto poco efficienti nella lotta dei Creatori contro Set e la sua specie. Due esseri umani soli in un mondo di dinosauri. Scrollai il capo come per liberarlo dalle ragnatele che lo affollavano, ma non riuscii a scuotermi di dosso quella sensazione d’impotenza.
Anya, invece, non mostrava alcun segno di sconforto. — Dobbiamo trovare il loro quartier generale — disse. — Dobbiamo capire cos’abbiano intenzione di fare in quest’epoca, quali siano i loro obiettivi.
Emisi un profondo sospiro. — Prima, però — ribattei — pensiamo al pranzo.
Tornando a rivolgere la mia attenzione alle uova che avevamo trovato, accesi un piccolo fuoco, sicuro che da qualche parte molte paia di occhi ci stessero osservando. Ma dovevamo ben mangiare, e nessuno di noi se la sentiva di consumare uova o carne crude. Usando un osso di scapola appuntito scavai una buca nel terreno di modo che dal basso le fiamme non fossero visibili. Ero comunque ben conscio che persino i più rudimentali rilevatori di calore potevano individuare con facilità estrema il nostro fuoco nell’aria frizzante della serata.
— Orion! Vieni, presto!
Mi voltai, afferrando l’osso più vicino da usare come arma, e vidi Anya fissare sgomenta le nostre uova. Una di esse era incrinata. Anzi, si stava ancora incrinando. Si schiuse sotto i nostri occhi, e un becco-d’anatra in miniatura non più lungo di mezzo metro scivolò fuori dal guscio su quattro zampe piccole e tozze.
Anya gli s’inginocchiò di fronte.
Il piccolo dinosauro emise un debole fischio stridulo, simile al suono che un bambino potrebbe produrre con un flauto di latta.
— Guarda, ha anche un dentino da latte — disse Anya.
— Dev’essere affamato — pensai a voce alta.
Anya si diresse verso il fuoco che avevo acceso e ne estrasse un paio di ramoscelli sui quali erano ancora un paio di foglie non del tutto secche. Le staccò dai rami e le porse al piccolo dinosauro, il quale cominciò a masticarle senza alcun indugio.
— Mangia! — Anya sembrava pazza di gioia.
Io ero meno eccitato. Mangiare l’altro uovo era ormai fuori questione, anche se non si fosse schiuso quella sera o il mattino seguente. La nostra cena fu composta di un misero rettile grande come un topo che riuscii a catturare prima del calare della sera e di qualche melone che colsi da un cespuglio: il primo frutto dall’aspetto familiare nel quale m’imbattei dal giorno del nostro arrivo in quel luogo.
Il mattino seguente, Anya mise in chiaro che non aveva nessuna intenzione di abbandonare il nostro piccolo dinosauro.
— Dovremo nutrirlo — obiettai.
— È un erbivoro — ribatté lei. — Non è un mammifero, non ha bisogno di latte materno.
Avevo fretta di allontanarmi dal luogo di quel massacro. La nostra migliore difesa nei confronti di chiunque avesse diretto l’attacco contro di loro era il movimento. Anya si disse d’accordo, ma il nostro cammino quel mattino fu estremamente lento, perché il piccolo becco-d’anatra non era in grado di procedere molto velocemente. Non mostrava alcuna curiosità nei confronti del mondo intorno a sé. Si limitava a seguire Anya, proprio come fanno gli anatroccoli appena usciti dall’uovo con qualsiasi oggetto in movimento cada entro il loro campo visuale, convinti che si tratti della loro madre.
Anya sembrava piuttosto compiaciuta di quella sua maternità. Raccoglieva le foglie più tenere e carnose per il suo piccolo, e talvolta ne masticava persino qualcuna prima di porgerla alla bestiola.