Dal cimitero dei becchi-d’anatra io avevo portato con me qualcosa di completamente diverso: un lungo osso puntuto che si adattava perfettamente al palmo della mano, di forma e dimensioni ideali per diventare un’ottima mazza. Se volevamo sopravvivere era necessario che ci procurassimo armi e utensili.
Per quale motivo dovessimo sopravvivere, quale fosse il nostro fine al di là della mera sopravvivenza fisica, quella era una domanda ancora priva di risposta. Oh, certo sapevo che dovevamo combattere Set e quelli che erano i suoi obiettivi in quell’epoca. Ma come potessimo, da soli e praticamente inoffensivi, sopraffare Set e la sua gente, quello era per me un vero e proprio enigma.
A dispetto del mio pessimismo, Anya riuscì a ritrovare le orme dei tirannosauri.
— Gli umanoidi sono andati con loro — disse, indicando le impronte più piccole disseminate insieme a quelle dei dinosauri.
— Subito dietro di loro — congetturai.
— Penso di sì. Dobbiamo trovarli, Orion, e cercare di apprendere da loro quali siano le intenzioni di Set.
— Non sarà facile.
Anya mi lanciò un sorriso. — Se fosse stato facile non saremmo qui. Tu e io non veniamo mai impiegati in compiti facili, Orion.
Non potei fare a meno di ricambiarle il sorriso. — Se sono veramente in grado di controllare i tirannosauri non abbiamo una sola possibilità di riuscita.
Il sorriso svanì sul volto di Anya.
Notammo che le impronte dei tirannosauri dirigevano nuovamente verso la palude che avevamo lasciato appena qualche giorno prima. Mi sentivo miserabilmente scoraggiato all’idea di dover fare ritorno a quella fetida, umida oscurità. Avrei voluto tenermi lontano da essa il più possibile. Per la prima volta nelle mie molte vite conobbi la paura, un terrore pericolosamente vicino al panico.
Anya non notò il mio stato d’animo. — A rigor di logica, il quartier generale di Set in quest’epoca dovrebbe trovarsi nei pressi del luogo in cui siamo entrati in questo punto del continuum. Forse potremo usare il suo dispositivo per fare ritorno al Neolitico, quando avremo finito qui.
— Vorresti tornare nella sua fortezza?
Anya ignorò la mia domanda. — Orion, hai notato che i tirannosauri hanno abbandonato il loro habitat usuale giù nelle paludi per seguire e sterminare i becchi-d’anatra? E che subito dopo sono tornati indietro? Dovevano necessariamente essere sotto il controllo di Set.
Mi dissi d’accordo: non sembrava probabile che quei giganteschi carnivori intraprendessero un tale viaggio verso la terra dei becchi-d’anatra senza qualche forma di stimolo esterno.
Quella sera ci accampammo presso le rive di un lago, su una lunga spiaggia di sabbia bianca e pulita così fine da sembrare quasi polvere sotto i nostri piedi. La spiaggia era lunga circa venti o trenta metri, e ai suoi margini crescevano file di cipressi nodosi e contorti, col muschio che pendeva dai rami. Oltre a essi si stagliavano alte palme da cocco e felci dalle foglie seghettate simili a enormi ventagli ondeggianti.
La sabbia era tutt’altro che immacolata, però. Era disseminata delle impronte di un gran numero di dinosauri: le orme profonde degli enormi sauropodi, quelle di rettili più piccoli e quelle dei temibili carnosauri. Tutti scendevano ad abbeverarsi presso quel lago, e alcuni di loro anche per cacciare.
Quando il sole scese dietro l’orizzonte, colorando il cielo e l’acqua di rosa e verde pastello, vidi una striscia rossa e arancione scendere dal cielo e immergersi nel lago. Nel giro di un istante risalì sopra la superficie dell’acqua con un pesce stretto tra le fauci.
Piuttosto che un uccello l’animale sembrava un rettile, con un lungo muso munito di denti e una lunga coda. Ma era coperto di piume, e i suoi arti anteriori erano indubbiamente ali. Invece di risalire nell’aria, continuò a volare radente sul pelo dell’acqua fino a raggiungere la riva, quindi si voltò verso il sole prossimo al tramonto e distese le ali come in segno d’adorazione.
— Non può riprendere il volo fin quando le ali non gli si asciugheranno — disse Anya.
— Chissà che sapore ha — borbottai in risposta.
Se anche l’uccello-rettile aveva udito le nostre voci, non lo dette a intendere. Si limitò a rimanere sulla spiaggia ad asciugare le penne al sole e a digerire il suo pasto a base di pesce.
Improvvisamente venni colpito dall’idea che avremmo potuto fare lo stesso. — Ti piacerebbe una cena a base di pesce? — chiesi ad Anya.
Era seduta vicino a una macchia di cespugli, intenta a nutrire il suo piccolo dinosauro, che sembrava solo capace di mangiare tutto il tempo.
Senza attendere risposta mi avvicinai alle placide acque del lago che si tingeva di rosa sotto gli ultimi raggi del sole. L’uccello-rettile batté il becco ripetutamente e si allontanò di qualche passo. Nel giro di pochi minuti avevo arpionato un paio di pesci. Ero felice per quel cambiamento nella nostra dieta.
Anya aveva raccolto altre foglie e una manciata di bacche per il nostro piccolo becco-d’anatra. Il dinosauro sembrava mangiare di gusto.
— Se a lui non fanno male, forse possiamo mangiarle anche noi — suggerì Anya mentre ero intento ad accendere il fuoco.
— Può darsi — risposi. — Ne assaggerò uno…
Il becco-d’anatra emise un fischio improvviso e si strinse ad Anya. Balzai in piedi e scrutai, nell’oscurità che si faceva sempre più fitta, i boschi che circondavano la spiaggia. Udii distintamente uno schianto.
— C’è qualcosa che viene verso di noi — sussurrai concitatamente. — Qualcosa di grosso.
Non avevamo il tempo di spegnere il fuoco. Ed eravamo troppo lontani dagli alberi per sperare di poterli raggiungere. E poi, il pericolo sembrava provenire proprio da lì.
— Nell’acqua — gridai, correndo verso il lago.
Anya prese in braccio il becco-d’anatra. Il piccolo dinosauro era immobile come una statua, e sembrava averne lo stesso peso. Glielo tolsi di mano e, mettendomelo sotto un braccio, trascinai Anya tra le acque del lago.
Ci immergemmo, e io ressi il muso del piccolo oltre il pelo dell’acqua, perché potesse respirare. Era piuttosto agitato, ma non sembrava averne paura. O forse aveva più paura di ciò che stava giungendo dai boschi. L’acqua del lago era calda, troppo calda; sembrava di nuotare in un brodo.
Andammo verso il largo fino a quando soltanto le nostre teste emergevano dalla superficie. Il becco-d’anatra mi si sistemò su una spalla, e io lo sorressi con un braccio; continuava ad avanzare nell’acqua cercando di restare sempre vicino ad Anya per afferrarla in caso di bisogno.
Il bosco era ormai del tutto immerso nell’ombra. Gli alberi si scostarono di lato come un sipario, e da essi uscì un gigantesco, spaventoso tirannosauro, la pelle squamata rossiccia sotto la luce del tramonto.
Mosse qualche passo verso il nostro fuoco, si guardò intorno e infine rivolse lo sguardo verso le acque del lago. Con un tuffo al cuore compresi che, se ci avesse scorti e avesse avuto intenzione di catturarci, non doveva che entrare in acqua e afferrarci fra le sue micidiali zanne. L’acqua, sufficientemente profonda da permettere a noi di nuotare, a lui sarebbe arrivata appena ai garretti.
Il tirannosauro avanzò fino alla riva del lago, quindi esitò come una vecchietta timorosa di bagnarsi i piedi.
Trattenni il fiato. L’enorme bestia sembrava guardare nella mia direzione. Il piccolo becco-d’anatra sulla mia spalla, terrorizzato, si era tutto irrigidito e cercava di non produrre un solo rumore. Il mondo sembrò congelarsi per un eterno, lungo momento. Nemmeno l’acqua che lambiva le rive sembrava fare alcun rumore.
Infine il tirannosauro emise un possente sospiro di stizza, simile allo sbuffo di un camino, e si allontanò dal lago per scomparire nuovamente fra i boschi.