Allontanando il dolore, pompando una maggiore quantità di sangue nella testa in modo da mettere fine al mio stordimento, mi misi a sedere, quindi mi alzai lentamente in piedi.
— Non sei ancora convinto?
Anya era ancora immobile nella sua stretta, ma l’espressione dipinta sul suo volto era terribile: un misto di ripugnanza e indicibile terrore. Il corpo senza vita di Giunone giaceva immobile ai piedi della piattaforma, in una pozza di sangue.
Io ero in grado di muovermi. Feci un passo verso il trono e il mostro che vi sedeva.
Set si alzò in tutta la sua statura e scese sul pavimento. Torreggiava su me, più alto e molto più robusto, le scaglie rosse scintillanti sotto la luce delle torce, gli occhi infiammati di uno sprezzo divertito sotto il quale si celava un odio immenso.
I miei sensi tornarono a funzionare a ipervelocità, e tutto intorno a me sembrò rallentare. Vidi le vene pulsare sul cranio di Set, le membrane oculari scendere e sollevarsi sulle sue pupille. Vidi i muscoli delle braccia e delle gambe di Anya tendersi nel tentativo di liberarsi dal controllo mentale di Set. Invano.
Mi abbassai in posizione difensiva, le mani alzate a coprirmi il volto, indietreggiando. Il rettile avanzò verso di me con sicurezza estrema, le braccia distese lungo i fianchi; gli artigli dei piedi producevano sul pavimento un picchiettio simile a quello di un metronomo.
Mi avventai contro le sue ginocchia. Atterralo, pensavo, e ne annullerai il vantaggio della statura. Ma per quanto fossi veloce, i suoi riflessi lo erano molto più dei miei. Mi sferrò un calcio nelle costole, tanto potente da farmi volare in aria. Atterrai con un colpo estremamente violento. Sebbene con sforzo, riuscii a rimettermi in piedi. Set avanzò nuovamente verso di me, con una risata sibilante.
Fintai col sinistro, quindi affondai il pugno destro verso l’inguine del rettile con tutta la forza che riuscii a concentrare. Set parò il colpo con una mano e mi afferrò la gola con l’altra. Sollevandomi da terra, portò la mia testa alla stessa altezza della sua. Eravamo l’uno di fronte all’altro, ma i miei piedi penzolavano a più di un metro da terra, il fiato sempre più corto nei miei polmoni.
Il volto di Set era direttamente davanti al mio, così vicino che potevo sentire il suo caldo respiro pesante sibilare da quella bocca ricolma di zanne appuntite, mentre il sangue di Giunone cominciava a rapprendersi sul suo mento aguzzo. Mi stava strozzando, e con suo enorme piacere.
Con tutte le forze che mi erano rimaste in corpo gli conficcai entrambi i pollici negli occhi. Con la mano libera il mio avversario riuscì a bloccarmi la mano destra, ma la sinistra raggiunse il suo obiettivo. Set lanciò un grido straziante per quell’inatteso dolore, scaraventandomi contro la parete come un bambino furente avrebbe gettato via un giocattolo che non lo divertiva più.
Perdetti i sensi. L’ultima cosa che riuscii a percepire fu un brivido di soddisfazione per aver causato del male al mio nemico. Una magra consolazione, ma pur sempre meglio che niente.
Non avevo modo di sapere per quanto tempo ero rimasto inconscio. Mi risvegliai disteso sul pavimento nella sala del trono di Set. Avvertii la sensazione di essere sollevato e trasportato di peso, ma non riuscii a vedere o sentire nulla. Infine fui gettato di peso a terra e lasciato solo.
Udii un suono in lontananza. Una voce fioca. Era così distante e confusa da convincermi che non avesse nulla a che fare con me.
Eppure continuava a chiamare, ripetutamente, con la costanza delle onde che s’infrangono su una spiaggia, insistente come un faro che ripete la propria luce all’infinito.
In qualche modo quel suono sembrava familiare. “Perché si ripete di continuo”, suggerì come in sogno una parte della mia mente. “Ascoltando un suono per lungo tempo si finisce con l’abituarvisi. Non curartene. Riposa. Ignora quel suono e alla fine svanirà.”
Invece non dava cenno di volersi allontanare. Al contrario, si faceva sempre più forte, sempre più distinto.
— Orion — chiamava.
— Orion.
Non saprei dire quante volte lo udii prima di ricordare che quello era il mio nome, realizzando che quella voce stava chiamando proprio me.
— Orion.
Ero ancora stordito, questo era certo. Eppure la mia mente era vigile e attenta nonostante l’insensibilità del mio corpo inanimato.
— Chi sei? — chiese la mia mente.
— Ci siamo già incontrati — rispose la voce. — Mi hai conosciuto col nome di Zeus.
Ricordai. Un altro tempo, un’altra vita. Era uno dei Creatori, come Anya, come il Radioso che gli antichi Greci chiamavano Apollo.
Zeus. Mi ricordavo di lui fra tutti i Creatori. Come per tutti loro, il suo aspetto fisico era perfetto, divino. Una costituzione perfetta, pelle perfetta, occhi scuri e severi e capelli ancora più scuri. Aveva una barba ben curata e leggermente striata di grigio. Mi resi conto che quella era solo un’illusione, un’immagine prodotta appositamente per me. Sapevo che, se avessi visto Zeus nella sua vera forma, mi sarebbe apparso come una sfera d’energia luminosa, simile ad Anya e agli altri Creatori.
Non ricordavo Zeus come capo dei Creatori. Non avevano un vero e proprio capo, né esisteva fra loro alcuna delle relazioni che guidano i rapporti fra i mortali. Eppure, ai miei occhi sembrava più saggio, più solenne e più ponderato di tutti i suoi simili nelle sue decisioni. Dove gli altri sembravano essere facile preda delle proprie passioni personali, lui sembrava preoccuparsi costantemente di mantenere sotto controllo qualsiasi evento, di proteggere il flusso del continuum, di prevenire disastri che avrebbero potuto spazzare l’intero genere umano dalla faccia della Terra, compresi gli stessi Creatori. Fra tutti loro, soltanto lui e Anya erano riusciti a guadagnarsi tutta la mia lealtà.
— Orion, riesci a sentirmi?
— Sì.
— Set è riuscito a schermarvi da noi con estrema efficienza. Non possiamo raggiungervi.
— Ci tiene prigionieri…
— Lo so. So tutto ciò che avete fatto.
— Abbiamo bisogno d’aiuto.
Silenzio.
— Abbiamo bisogno d’aiuto — ripetei.
— Non possiamo aiutarvi in nessun modo, Orion. Persino questo fugace contatto che abbiamo preso con te consuma molta più energia di quanto possiamo permetterci.
— Set la ucciderà.
— Non possiamo farci niente. Potremo dirci già fortunati se riusciremo a salvare le nostre vite.
Compresi subito quel che intendeva. Io ero sacrificabile; non c’era alcun motivo per cui dovessero rischiare la vita per salvare una delle loro creature. Anya era una perdita incresciosa. Ma se l’era cercata, perché aveva voluto assumere forma umana per associarsi con una semplice creatura. Le era rimasto addosso qualcosa di umano, scegliendo di rischiare la propria vita invece di lasciare che creature come Orion si assumessero i rischi per affrontare i quali erano state create.
Gli altri Creatori, compreso il cosiddetto Zeus, erano già pronti a fuggire. Nelle loro forme effettive avrebbero potuto disperdersi nell’universo e vivere dell’energia irradiata dalle stelle per innumerevoli eoni.
— Già — ammise Zeus con riluttanza — è la nostra ultima possibilità.
— La lascerete morire? — Sapevo che la mia vita non contava granché ai loro occhi. Ma Anya era una di loro. Non conoscevano dunque la lealtà? O il coraggio?
— Tu ragioni in termini umani, Orion. La sopravvivenza è il nostro unico scopo; il tuo è il sacrificio. Anya è molto astuta; probabilmente sarà in grado di sorprendere sia te sia lo stesso Set.
Sentii il contatto fra noi farsi sempre più debole. La sua voce s’affievoliva ogni momento di più.
— Se veramente potessi fare qualcosa per aiutarti, Orion, lo farei con tutto il cuore.