— Ma non a rischio della tua vita — risposi.
Quell’idea lo sorprese, come riuscii a percepire. Mettere a repentaglio l’esistenza di un Creatore per la salvezza di una delle sue creature? Agire di modo che tutti i suoi simili dovessero rischiare la propria sopravvivenza a causa di un suo capriccio? Questo mai.
Non che fossero codardi. Quegli esseri quasi divini erano al di sopra di una tale qualità. Erano estremamente realistici. Se non fossero riusciti a sconfiggere Set, avrebbero dovuto fuggire di fronte alla sua furia. Cosa importava loro se l’intero genere umano sarebbe stato spazzato per sempre da quel continuum?
— Orion — chiamò la voce di Zeus, ancora più debole di prima. — Dobbiamo occuparci di forze che vanno al di là della tua comprensione. Universi su universi. Dobbiamo affrontare la crisi definitiva là fuori, fra le stelle e le nuvole di plasma che attraversano la galassia. Forse l’umanità ha già giocato la sua parte evolvendosi fino a noi, e ora non ha più un ruolo da svolgere.
— Set potrebbe prendere il controllo di una tale quantità di continuum da scovare ognuno di voi, per lontano che possiate nascondervi. Abbandonate la razza umana e darete a Set il potere necessario a cercarvi per tutto lo spaziotempo e distruggervi — risposi mentalmente, in preda all’ira.
— No — ribatté Zeus, con voce così fioca da giungermi come un debole sospiro soffocato. — Non è possibile. Non…
Ma nella sua voce che svaniva gradatamente nel nulla colsi un cenno di dubbio. Dubbio e timore.
Aprii gli occhi. Ero in una piccola cella spoglia, non più grande di una bara, ripiegato malamente su me stesso come un sacco. Avevo la testa sulle ginocchia e le braccia sui fianchi, premuto da un lato contro la fredda parete della cella e dall’altro contro la porta.
La poca luce in quell’ambiente proveniva da una debole fluorescenza rossastra che emanava dalle pareti. L’unico suono che riuscissi a udire era quello del mio respiro.
Solo. I Creatori erano pronti ad abbandonare me e Anya alla distruzione finale. Pronti ad abbandonare l’intero genere umano e a fuggire nelle profondità dello spazio interstellare.
E io non potevo farci nulla.
Fui sul punto di mettermi a piangere, raggomitolato in quel cubicolo claustrofobico. Orion il potente cacciatore, creato dagli dèi per scovare e distruggere i loro nemici, difensore del continuum. Che ridere! Scoppiai in una sonora risata. Orion, strumento dei Creatori, rinchiuso da solo in una prigione del castello appartenente al nemico supremo, mentre colei che ama con tutta probabilità viene torturata a morte sotto gli occhi divertiti del demonio.
La cella era tanto angusta da non permettermi quasi di muovermi. In qualche modo riuscii comunque ad alzarmi in piedi. O quasi. Il soffitto del cubicolo era troppo basso perché riuscissi a restarvi eretto. Dovetti piegare la testa, premendo le spalle, le braccia, la schiena e le gambe contro la superficie della cella. Le pareti e la porta erano scivolose, composte di un materiale simile a plastica. Il contatto con esse mi fece rabbrividire.
Feci pressione con tutte le forze contro la porta, ma da essa non si levò nemmeno uno scricchiolio. Spinsi ancora più forte, ma non notai alcun segno di cedimento.
Sconfitto, esausto, mi lasciai scivolare sul pavimento con le ginocchia premute contro il viso, i muscoli indolenziti per lo sforzo.
Una voce beffarda si fece strada nella mia mente. — Sei stato creato per agire, Orion, non per pensare. Lascia che sia io a pensare per te; tu limitati a seguire i miei ordini.
La voce del Radioso, il dio che diceva di avermi creato.
— L’intelligenza che ho instillato dentro di te è adeguata soltanto per la caccia — lo udii schernire. — Non illuderti di poter fare di più.
Quelle insinuazioni cariche di disprezzo mi avevano reso furente. Ero andato contro di lui, lo avevo sfidato e alla fine l’avevo portato a uno stato di follia maniacale. Gli altri Creatori erano stati costretti a proteggerlo contro la mia rabbia e il suo stesso delirio isterico.
Posso sempre pensare, dissi fra me e me. Se non sono in grado di usare la forza fisica, allora tutto ciò che resta è il potere della mia mente.
— Set usa come arma la disperazione — ricordai le parole di Anya.
Aveva tentato di controllarmi, di manipolare le mie emozioni. Aveva tentato ma aveva fallito. Cos’aveva in serbo per me, adesso; perché aveva deciso di rinchiudermi in una cella tanto scomoda?
Veniva da un altro mondo, dal pianeta in orbita intorno a Sheol, la stella gemella del sole. Perché era sceso sulla Terra? Qual era la sua epoca d’origine? Da cosa derivava il suo odio nei confronti della razza umana?
Diceva di aver creato i dinosauri duecento milioni di anni prima. E che stava procedendo alla loro estinzione per far posto alla sua razza sulla Terra.
Un lampo saettò nel mio sangue mentre riportavo alla mente le parole di Set che risuonavano in tutto il loro tono derisorio: Vi riproducete con tale furia da infestare il mondo di vostri simili, rovinando non solo la terra ma anche i mari e l’aria stessa che respirate. Siete dei parassiti, e il mondo starà meglio dopo la vostra scomparsa.
E ancora: Noi non ci riproduciamo oltre misura.
E allora, perché era venuto sulla Terra? Perché non era rimasto su Shaydan, il mondo in cui la sua razza poteva vivere in armonia con il proprio ambiente? Avevo rimirato le scene idilliache di quel mondo raffigurate nei mosaici delle pareti del castello. Perché abbandonare un’esistenza così felice per far posto alla genìa dei rettili sulla Terra?
Potevo immaginare tre eventualità.
La prima: Set mi aveva mentito, e i mosaici erano semplici idealizzazioni. Shaydan era sovrappopolata, e la gente di Set aveva bisogno di spazio vitale.
Oppure, Set era stato cacciato da Shaydan, esiliato dal suo pianeta natale per motivi che non potevo conoscere.
O ancora, il pianeta Shaydan era esposto alla minaccia di qualche catastrofe di tali proporzioni da rendere imperativo il trasferimento della sua popolazione su un pianeta più sicuro.
Poteva trattarsi di una combinazione fra queste tre eventualità, o di altre delle quali non avevo alcun indizio.
Come scoprirlo? Sondare la mente di Set era impossibile. Persino trovandomi in una stessa stanza con lui non ero stato in grado penetrare le sue formidabili difese mentali più di quanto non fossi in grado di sfondare le pareti dell’angusta prigione nella quale ero rinchiuso.
E Anya? Forse lei era in grado di farlo…
Nella penombra della cella serrai gli occhi e cercai col pensiero la mente di Anya. Non sapevo in che parte del castello si trovasse, o se si trovava ancora in quella fortezza. O se era ancora viva, pensai con un brivido.
Ma lo stesso mi misi mentalmente alla sua ricerca.
— Anya, amore mio. Puoi sentirmi?
Nessuna risposta.
Cercai di concentrarmi più a fondo. Raffigurai un’immagine del suo volto stupendo, le labbra così espressive, il naso dritto e sottile, i capelli scuri come il cielo di mezzanotte, i grandi occhi grigi e luminosi che mi guardavano con aria solenne, colmi di tanto amore quanto nessun mortale poteva mai sperare di ottenere.
— Anya, mia amata — gridai mentalmente. — Ascoltami. Rispondi alla mia chiamata.
Non riuscii a percepire nulla, nessun tipo di risposta.
Forse era già morta, pensai con orrore. Forse Set ne aveva straziato le carni con gli artigli, dilaniandole fra i suoi denti aguzzi e spietati.
Improvvisamente colsi il più debole degli sfavillii, una scintilla lontana contro l’oscurità della mia anima. Focalizzai ogni neurone della mia mente, ogni sinapsi del mio essere su di essa.
Era Anya, ne ero certo. Quell’infinitesimo guizzo argenteo mi guidava come una stella cardinale.