— Ma un pozzo nucleare… — mormorai.
— Raggiungere il nucleo fuso di un pianeta fornisce molta più energia; un’energia estremamente concentrata, costante e abbastanza potente da permettere di superare in un balzo eoni interi, con la stessa facilità con cui tu potresti saltare una pozzanghera. Ecco perché ho potuto impadronirmi di questo pianeta, perché i tuoi Creatori sono costretti a salvarsi la vita disperdendosi tra le stelle più lontane.
Non dissi nulla. Non c’era nulla che potessi dire. L’unica domanda che si agitava nella mia mente riguardava quando Set avrebbe deciso di mettermi a morte.
— Non ho intenzione di ucciderti troppo presto — disse nella mia mente, leggendo i miei pensieri senza che fossi in grado di formularli in una domanda. — Rappresenti il segno della mia vittoria sui tuoi Creatori, il mio trofeo. Ho intenzione di esibirti per tutta Shaydan.
Portai lo sguardo sui suoi occhi rossi da serpente e capii quel che aveva in mente. Molti fra la sua gente non credevano di potersi salvare migrando sulla Terra. Set voleva mostrarmi a essi per provare che ormai era signore del pianeta, e che nessuno avrebbe più opposto resistenza al loro arrivo.
— Ma bene, scimmia pensante! Sei riuscito a intuire le mie intenzioni. Sarò il salvatore della mia razza! Conquistatore di un mondo intero e salvatore della mia gente! Questa la mia impresa e la mia gloria.
— Un’impresa davvero gloriosa — risposi. — Inferiore soltanto alla tua vanità.
— Stai riacquistando coraggio e sfrontatezza, adesso che sai che non ho intenzione di ucciderti subito. — Percepii furia nelle sue parole. — Ma stai ben certo che morirai, in un modo e in un momento che non solo mi compiaceranno, ma indurranno i miei simili a obbedirmi. Obbedirmi e adorarmi.
— Adorarti? — quelle parole mi scioccarono. — Come un dio?
— E perché no? I tuoi sconclusionati Creatori si sono lasciati venerare dalla loro progenie umana, non è così? E perché la mia razza non dovrebbe adorare me, che l’ho salvata dalla distruzione? Ho conquistato la Terra da solo. Da solo ho spalancato le porte alla salvezza di Shaydan.
— Uccidendo miliardi di creature terrestri.
Set scrollò le spalle possenti. — Io ho creato molte di esse, perciò posso fare di loro ciò che voglio.
— Ma non hai creato il genere umano!
Il rettile sibilò una risata. — No, questo è vero. Coloro che l’hanno creato stanno fuggendo verso gli angoli più remoti della galassia. La razza umana ha perso ogni ragione di vita, Orion. Perché si dovrebbe permettere loro di sopravvivere quando ormai hanno cessato di svolgere ogni funzione, così come i dinosauri, i trilobiti o gli ammoniti?
Allo stesso modo anch’io non sarei sopravvissuto alla cessazione della mia utilità, pensai. Quando avevo cessato di essere utile ai Creatori, essi mi avevano abbandonato. Quando avessi cessato di essere utile a Set, egli mi avrebbe ucciso.
— Ma prima di lasciarti morire, scimmia malcresciuta — continuò Set, con tono sarcastico — ti permetterò di dare sfogo alla tua curiosità e vedere il mondo di Shaydan. Sarà l’ultima soddisfazione della tua esistenza.
24
Set scese pesantemente dal trono e mi guidò lungo i corridoi immersi nella penombra, sempre più in basso. La luce era così intensamente rossa e fioca ai miei occhi da farmi temere di essere diventato cieco. Le pareti sembravano spoglie, ma sapevo che dovevano essere decorate da mosaici simili a quelli dei corridoi superiori. Semplicemente, non riuscivo a percepirli.
La figura massiccia di Set avanzava davanti a me, le squame di quella schiena muscolosa scintillanti nella luce di tenebra, dimenando la coda da una parte all’altra al tempo dei suoi passi. Il ticchettio dei suoi artigli sul pavimento fece affacciare alla mia mente l’immagine di un metronomo. Un metronomo che batteva gli ultimi istanti della mia vita.
Attraversammo laboratori e stanzoni ricolmi di strane apparecchiature. E continuammo a scendere, sempre più giù. Cercai di osservare gli interminabili corridoi attraverso gli occhi di Set, ma la sua mente era ermeticamente schermata, e per me non c’era modo di penetrarvi.
Ma riuscì a percepire il mio tentativo.
— Trovi che la luce sia troppo bassa? — domandò nella mia mente.
— Mi sembra di essere cieco — dissi, a voce alta.
— Non importa. Seguimi.
— Perché dobbiamo camminare? — domandai. — Possiedi l’abilità di compiere balzi immensi attraverso lo spaziotempo, eppure sei costretto a camminare da una parte all’altra del tuo castello. Non avete ascensori o piani scorrevoli?
— Noi di Shaydan non impieghiamo la tecnologia in ciò che possiamo fare anche senza il suo ausilio. A differenza della tua razza non proviamo tutto quel vostro fascino scimmiesco per i giocattoli. Ciò che riusciamo a compiere grazie al nostro corpo lo facciamo da soli. In questo modo siamo in grado di mantenere un perfetto equilibrio col nostro ambiente.
— E sprecare ore intere in termini di tempo e di energia — brontolai.
Percepii in lui un genuino divertimento. — Cosa sono poche ore per chi è in grado di viaggiare attraverso lo spaziotempo a proprio piacimento? Cosa importa spendere un po’ di energie, se si ha la sicurezza di poterle assimilare nuovamente attraverso il cibo?
Rammentai che erano passate parecchie ore dall’ultimo pasto che avevo consumato. Mi sentivo lo stomaco vuoto.
— Uno dei difetti di voi mammiferi — disse Set, avendo percepito il mio pensiero. — Avete questo assurdo bisogno di mangiare continuamente soltanto per mantenere costante la temperatura corporea. Noi siamo molto più in sintonia col nostro ambiente di voi, scimmie bipedi. Il nostro bisogno di cibo è molto inferiore.
— A prescindere dalle capacità della mia specie di adeguarsi al suo ambiente — dissi — ho fame.
— Mangerai a Shaydan — Set rispose nella mia mente. — Mangeremo entrambi sul mio pianeta.
Raggiungemmo infine una camera circolare simile in tutto e per tutto a quella situata nella sua fortezza del Neolitico. Avrebbe potuto benissimo essere la stessa, per quel che ne sapevo: anche se, ovviamente, non mostrava alcun segno della lotta che io e Anya vi avevamo ingaggiato.
Al pensiero di Anya, al solo ricordo del suo nome il mio corpo s’irrigidì e una vampata di rabbia pervase tutto il mio essere. Era più che rabbia. Dolore. L’amaro, terribile dolore di un amore disprezzato, della fiducia ridotta in frantumi dall’arma sottile del tradimento.
Cercai di scacciarla dalla mia mente. Analizzai la stanza in cui mi trovavo. Le sue pareti circolari erano rivestite da file di quadranti, indicatori e consolle, macchinari atti al controllo della titanica energia emanata dal pozzo nucleare. Nel centro della camera si apriva un grosso foro circolare protetto da una cupola trasparente di materiale plastico a prova d’urto, non più soltanto dal corrimano metallico come nella fortezza del Neolitico.
La camera pulsava di energia. La temperatura nell’intero castello di Set era molto più elevata di quanto un essere umano potesse trovare confortevole. Ma quella camera era ancora più calda; parte del calore proveniente dal nucleo terrestre riusciva a filtrare attraverso i macchinari e gli scudi termici trasformando la stanza nell’anticamera dell’inferno.