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Intorno al Sole orbitavano quattro mondi solidi: il più vicino a esso portava il nome del messaggero degli dèi perché si muoveva avanti e indietro nel cielo a velocità vertiginose; il successivo aveva il nome della dea dell’amore per la sua bellezza; il terzo era la Terra e al quarto, dall’aspetto rosso e rugginoso, era stato dato il nome di un dio della guerra.

A più del doppio della distanza fra il Sole e il pianeta rosso, c’era l’orbita della debole stella che Set e la sua gente chiamavano Sheol. Un unico pianeta orbitava intorno a essa: Shaydan, il mondo di Set. Il pianeta condannato di una stella prossima all’estinzione.

Incapace di accettare la morte della sua razza, Set aveva passato interi millenni a esaminare gli altri mondi del sistema solare. Usando l’energia interna del proprio pianeta, aveva imparato a viaggiare attraverso lo spaziotempo, a muoversi attraverso le vastità che separano i mondi e gli abissi anche maggiori che si stendono fra le varie epoche.

Scoprì che, più esterni al Sole rispetto a Sheol, orbitavano giganteschi mondi composti di gas così freddi da trovarsi permanentemente allo stato liquido; mondi gelidi, troppo lontani dal Sole per poter ospitare la sua razza.

Dei quattro pianeti solidi che orbitavano intorno alla stella gialla, il primo non era che una nuda distesa di roccia battuta impietosamente dal calore e dalle radiazioni del Sole. Quello successivo era molto bello se osservato da lontano, ma sotto le nuvole che ne formavano l’atmosfera era un mondo infernale di gas venefici, e il terreno così caldo da fondere il metallo. Il pianeta rosso era freddo, con un’aria troppo rada per permettere la respirazione, e la vita che un tempo l’aveva popolato si era estinta ormai da molte ere. Peggio ancora, era un corpo troppo piccolo per possedere un nucleo fuso, e non poteva offrire risorse energetiche.

Rimaneva soltanto il terzo pianeta in orbita intorno al sole giallo. Da epoche remote esso ospitava la vita, un porto sicuro in cui l’acqua allo stato liquido, elisir di vita, scorreva a torrenti raccogliendosi in laghi e in mari, cadendo dal cielo, fluendo in oceani che circondavano il pianeta. E quel pianeta d’acqua era abbastanza vasto da racchiudere un nucleo di metallo fuso, disponendo di energia sufficiente a provocare innumerevoli distorsioni spaziotemporali e a piegare il continuum al volere di Set.

La Terra ospitava già alcune forme di vita, ma Set vedeva la cosa come una sfida piuttosto che un ostacolo. Disponendo dell’energia necessaria, attraverso alcune azioni ben mirate, sarebbe stato in grado di occuparsene adeguatamente. Viaggiò attraverso le epoche più remote del pianeta, saggiando i millenni e gli eoni, analizzando, osservando, imparando. Mentre i suoi simili restavano a guardare Sheol tremare e cominciare a contorcersi nell’agonia finale, Set ponderava con estrema attenzione e preparava i suoi piani.

Tornato indietro nel tempo, nel periodo in cui la vita aveva appena incominciato a emergere dalle acque, Set fece piazza pulita di quasi tutte le forme viventi del pianeta, disseminandovi le proprie creature. Passarono i millenni e i rettili cominciarono ad assumere il comando della terra, dei mari e dei cieli. Mutarono l’intero ecosistema del pianeta, alterando persino la composizione della sua atmosfera.

Ma ormai erano destinati all’estinzione. Era giunto il tempo in cui i discendenti delle creature di Set, i dinosauri, avrebbero dovuto lasciare spazio alla sua gente, gli abitanti di Shaydan. Set intraprese l’eliminazione dei dinosauri e di migliaia di altre specie animali, ripulendo la Terra ancora una volta per prepararla all’avvento della sua gente.

Sorse però un nuovo problema. Nel futuro remoto del tempo in cui Set stava operando, i discendenti delle scimmie si erano evoluti in creature in grado anch’esse di manipolare lo spaziotempo, così da forgiare il continuum a loro piacimento. A questo scopo avevano persino creato una genìa di guerrieri, che avevano inviato in vari punti cruciali del continuum.

Sapevo di essere uno di quelli. I Creatori mi avevano inviato ad affrontare Set, sottovalutandone le capacità in misura così tragica che adesso erano stati costretti a fuggire tra le stelle, abbandonando la Terra e tutta la vita presente su di essa fra le mani spietate di Set.

Set era stato il vincitore di quella battaglia di portata cosmica. La Terra era sua. La razza umana sarebbe stata spazzata via per l’eternità. Io sarei stato esibito in tutta Shaydan come prova del trionfo di Set e infine annientato nel corso di qualche cerimonia.

Sapevo di non avere nessuna possibilità di evitare il mio destino. Dopo il tradimento di Anya mi restava a malapena la volontà di sopravvivere.

Ero morto parecchie volte, ma sempre i Creatori mi avevano fatto risorgere perché potessi continuare a servirli. Conoscevo il dolore della morte e il terrore che ogni volta l’accompagna. Sarebbe dunque stata quella, la disfatta finale? Sarebbe stata la mia fine? Sarei stato cancellato per l’eternità dal libro della vita?

In passato i Creatori mi avevano sempre riportato alla luce. Ma adesso loro stessi erano in fuga, per salvare la propria vita.

Mi stupiva che Set, spietato e malvagio qual era, avesse veramente intenzione di lasciarli sopravvivere.

25

La possibilità di manipolare lo spaziotempo fornisce il controllo sull’orologio delle ore, dei giorni, delle stagioni e degli anni. E l’abilità di controllare il tempo rimuove il ritmo frenetico dell’esistenza, insegnando la pazienza e la prudenza, permettendo il lusso di esaminare ogni passo della propria vita da qualsiasi possibile angolazione prima di procedere oltre.

Set aveva viaggiato lungo i millenni, attraverso gli eoni per preparare il terreno alla migrazione della sua gente sulla Terra. Non aveva alcun motivo per affrettarsi.

Procedeva nel suo modo calmo e calcolato, mettendomi in mostra di fronte ai suoi simili, persino adesso che Sheol cominciava a pulsare nel cielo sopra di noi.

Per gran parte del tempo rimasi quasi cieco nell’atmosfera scura di Shaydan. il pianeta era decisamente più vasto della Terra; la sua gravità mi schiacciava rendendo pesante ogni mio passo, sfibrandomi a ogni mio movimento. Il vento soffiava impietoso, scagliando con violenza particelle di pulviscolo contro le mie carni. Ero costantemente esausto, affamato, con la pelle rossa e scorticata come se fossi stato costantemente torturato da una sferza, a ogni ora del giorno e della notte.

In qualche rara occasione Set mi permetteva di guardare il mondo attraverso gli occhi della sua gente, e di nuovo potevo osservare quel placido mondo deserto, rigido ma incantevole con le sue irte montagne scolpite dal vento e il cielo giallo sfolgorante.

Set non mi permise più di penetrare nella sua mente. Forse temeva potessi apprendere concetti che avrebbe preferito tenermi nascosti.

A poco a poco, nelle nostre visite di città in città in quello che sembrava un giro interminabile di conferenze, cominciai a comprendere la reale natura della gente di Shaydan.

Il fatto che i rettili potessero sviluppare l’intelligenza mi aveva stupito fin dal primo momento in cui mi ero trovato nel giardino presso il Nilo. Com’era evidente, Set e la sua razza avevano sviluppato un cervello sufficientemente grosso e complesso, come era accaduto sulla Terra per i mammiferi. Ma l’intelligenza è più che una semplice questione di volume cerebrale. Se così non fosse, elefanti e balene sarebbero intellettualmente superiori all’uomo.

Avevo sempre pensato che a prescindere dalla grandezza dei loro cervelli i rettili, che depongono le uova lasciando la prole a cavarsela da sé, non potessero mai raggiungere quel tipo di comunicazione intergenerazionale che è necessaria allo sviluppo dell’intelligenza propriamente detta. Eppure, in qualche modo, Set e la sua gente dovevano aver superato quell’ostacolo.