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L’intelligenza, era mia convinzione, doveva dipendere necessariamente dalla comunicazione. Le scimmie imparano mediante l’osservazione dei loro genitori. I bambini apprendono prima mediante la semplice osservazione, poi attraverso la parola e più avanti attraverso la lettura. Set derideva di continuo l’abitudine degli uomini alla parola. Derideva la nostra necessità di comunicare attraverso i suoni, a prescindere dall’importanza delle informazioni con essi scambiate.

La gente di Shaydan non parlava. Comunicavano l’un l’altro in silenzio, mentalmente, nello stesso modo in cui Set comunicava con me. Ma come si era sviluppata questa loro abilità telepatica?

Per tutto il tempo in cui Set mi guidò attraverso il pianeta per esibirmi come suo trofeo, cercai di trovare la risposta a quella domanda. Cercavo di osservare e analizzare, per quanto mi era possibile nella miseria della mia cattività. Ogni volta che Set mi permetteva di guardare il suo mondo attraverso gli occhi di qualcuno fra i suoi simili, cercavo di afferrare tutte le informazioni che potevo cogliere.

Le nostre tappe richiamavano alla mia mente l’immagine di un re medievale in visita ai suoi possedimenti insieme alla propria corte. Procedevamo a dorso di rettili quadrupedi non dissimili ai sauropodi terrestri. La civiltà di Shaydan era apparentemente divisa in varie comunità ben distinte, ognuna delle quali si accentrava intorno a una città di pietra, argilla cotta al sole e altri materiali inorganici. In nessun edificio vidi mai impiegati legno o metalli.

Ci spostavamo da una città all’altra in processione, con Set ad aprire il corteo protetto da due dei suoi sulle loro cavalcature. Io cavalcavo dietro di lui, e alle mie spalle c’erano una dozzina di cavalieri e alcune bestie da soma che portavano acqua e cibo per il nostro viaggio. Gli spostamenti duravano all’incirca una settimana, secondo quel poco che potevo stimare in quell’aria scura e carica di sabbia. Perché il pianeta mostrava sempre lo stesso lato verso la sua stella, e tutte le città di quel mondo erano disposte sulla sua faccia luminosa.

Per tutto il tempo di quel giorno senza fine il vento, impietoso, mi sferzava le carni, accecando i miei poveri occhi arrossati. Set e la sua gente avevano squame per proteggere le loro carni e palpebre trasparenti per coprire gli occhi; l’aveva puntualizzato come ulteriore prova della superiorità dei rettili sui mammiferi. Ormai non avevo più la forza o la volontà di controbattere.

Gli individui al suo seguito non indossavano armature, vesti sgargianti o sete preziose, né portavano monili d’oro o d’argento. I rettili non indossavano nulla sopra le loro pelli squamate, quella di Set rosso carminio e quelle del suo seguito colorate di toni più chiari di rosso. Io ero ancora vestito dei miei vecchi abiti di pelli; non indossavo altro.

L’acqua su Shaydan non era abbondante. Era un mondo desertico, con pochi magri ruscelli e qualche lago. Niente mari né oceani. Il cibo che mi fornivano consisteva di verdura cruda e, di tanto in tanto, qualche pezzo di carne.

— Alleviamo molti branchi di animali da macello — rispose Set alla mia domanda inespressa. — Li alleviamo facendo estrema attenzione a mantenere il loro numero in equilibrio con l’ambiente. Quando giunge il tempo di ucciderli, entriamo nella loro mente facendoli addormentare, quindi ne arrestiamo il battito cardiaco.

— Molto umano — dissi, domandandomi se fosse in grado di interpretare la mia battuta. Se anche lo era non ne diede alcun cenno.

Le città non erano cintate da mura. A giudicare dall’aspetto logoro dei loro edifici dovevano essere piuttosto antiche. Persino nell’atmosfera ostile di quel mondo infernale dovevano essere occorsi millenni per trasformare strutture in pietra tanto solide nelle sagome arrotondate che erano divenute. Non vidi nessun edificio nuovo; tutto sembrava essere sorto nella stessa epoca, moltissimo prima.

Nessuno squillo di tromba annunciava il nostro arrivo in città, e nessuna scorta nobiliare veniva incontro alla nostra carovana. La gente si affollava allineandosi lungo la strada per inchinarsi solennemente al nostro passaggio e poi fissarci con curiosità. Altri si raccoglievano nella piazza principale, in cui invariabilmente incontravamo i capi locali.

Tutto nel silenzio più assoluto. La gente di Shaydan non parlava, né produceva alcun tipo di rumore. Nessun applauso, nemmeno uno schiocco di dita o delle fauci. Restavano a guardare in assoluto silenzio mentre ci fermavamo e smontavamo dalle nostre cavalcature. Talvolta qualcuno di loro faceva un cenno verso di me. Una volta o due pensai di aver udito un sibilo… una risata? Ma per il resto, era nel silenzio più totale che ci accompagnavano verso l’edificio più grosso della piazza. Nessun suono, a eccezione dell’ululare incessante del vento. Sempre in silenzio un quartetto di guardie si disponeva dietro di me, che mi trascinavo esausto al seguito di Set e degli ufficiali della città giunti a salutarlo.

Tutta quella gente, la corte di Set e gli abitanti delle città, erano copie più piccole di Set. Attraverso la nebbia polverosa che per loro era semplicemente la luce del giorno, cominciai a notare qualche piccola differenza fra gli abitanti di una città e quelli di un’altra. Le loro squame erano verdi in un luogo e violette in un altro. Vidi persino una città popolata da rettili le cui squame formavano un disegno simile a un tessuto scozzese.

In ogni città, comunque, tutti gli individui avevano le squame dello stesso colore. Era come se indossassero tutti la stessa uniforme, anche se sapevo che quello doveva essere il colore naturale della loro pelle. Soltanto le tonalità variavano leggermente da un individuo all’altro della stessa città, e alla fine notai che più piccolo era un rettile e più la tonalità del colore delle sue squame era chiara. La taglia e la colorazione erano forse indici dell’età di un individuo? O ne indicavano il rango?

A quelle domande non ricevetti mai nessuna risposta mentale.

A prescindere da tutto ciò, comunque, in ogni città, una volta smontati dalle nostre cavalcature, venivamo condotti nell’edificio più vasto della piazza principale. I tetti arrotondati delle strutture cittadine non mostravano che una piccola parte della loro effettiva estensione. Gran parte della città si snodava sottoterra, e gli edifici erano interconnessi da ampie gallerie.

Ogni volta venivamo scortati in una grossa sala rettangolare su un’estremità della quale un rettile delle dimensioni di Set sedeva su una piattaforma rialzata. Si trattava evidentemente del patriarca locale. La sala delle udienze si riempiva allora di cittadini minori della città, dai colori più tenui, inferiori di rango. O almeno, queste erano le mie supposizioni.

Set si portava allora di fronte al patriarca, tenendomi al suo fianco. In più di un’occasione mi ero accasciato sul pavimento, stanco e sfibrato a causa della forza di gravità. Set ignorava le mie condizioni lasciandomi disteso a terra, e io ero grato per quell’opportunità di riposo. Per Set, naturalmente, era una perfetta esibizione della debolezza degli abitanti della Terra, prova evidente della fattibilità del suo progetto.

Le camere erano immerse nell’oscurità come tutte le stanze in cui ero stato; la luce artificiale era di una frequenza così bassa dello spettro che sembrava irradiare oscurità. E calore. Quei rettili si crogiolavano in un calore tale da provocarmi le vertigini nonostante tutti i miei sforzi per tenere sotto controllo la temperatura interna del mio corpo.

Di tanto in tanto Set mi permetteva di osservare la stanza attraverso gli occhi di qualcuno del suo seguito. Attendevo con ansia tali momenti. Ciò che vedevo allora era un salone splendido dalle pareti maestose e risplendenti di mosaici che raffiguravano scene di storia antica e gli antenati dei patriarchi che sedevano di fronte a noi. E mentre la vista che mi era concessa a prestito analizzava ciò che accadeva intorno a me, io frugavo con avidità nella mente del mio ospite temporaneo, cercando di apprendere tutto il possibile senza allarmare lui o il suo signore Set.