Tre guardie rosa salmone mi condussero nelle profondità della terra verso una piccola cella spoglia, così scura che fui costretto a muovermi a tastoni lungo le sue pareti per percepirne le dimensioni. Era più o meno quadrata, e così piccola che potevo quasi toccarne contemporaneamente le pareti opposte a braccia distese. Nessuna finestra, naturalmente. Niente luce. E un caldo insopportabile, come se volessero arrostirmi a fuoco lento.
Ovunque toccassi le pareti o il pavimento, i muri mi bruciavano la pelle. Ricordai vagamente che sulla Terra alcuni orsi venivano costretti a “danzare” facendoli camminare su un pavimento riscaldato, di modo che si sollevassero sulle zampe posteriori, saltellando intorno per evitare di scottarsi. Allo stesso modo anch’io cercai di tenermi in punta di piedi. Ma alla fine, la stanchezza e l’insostenibile gravità del pianeta ebbero la meglio su di me, e crollai sul pavimento.
Per la prima volta da quando ero giunto a Shaydan feci un sogno. Ero di nuovo con Anya fra i boschi di Paradiso, e insieme conducevamo una vita semplice, felici e così innamorati che ovunque appoggiassimo i piedi i fiori spuntavano dal terreno. Ma quando avevo disteso le braccia per cingerle i fianchi, Anya era cambiata. Si era trasformata in una sfera scintillante di luce argentea, troppo luminosa per i miei occhi. Allora mi ero ritratto da lei, coprendomi gli occhi con un braccio.
In lontananza era giunta la voce beffarda del Radioso, colui che mi aveva creato.
— Orion, tu miri troppo in alto. Come puoi aspettarti che una dea possa amare un verme, una lumaca, un’ameba?
Tutti i cosiddetti dèi si erano allora materializzati di fronte a me: quello dagli occhi solenni e i capelli scuri che conoscevo col nome di Zeus; Ermes, dal volto sparuto e sorridente; Era dalla bellezza crudele; Ares dai capelli rossi e decine di altri. Ognuno di essi era vestito in abiti sontuosi impreziositi da gioielli scintillanti.
Ridevano di me. Io ero nudo, ed essi indicavano il mio corpo emaciato coperto di lividi e di ferite provocate dal vento scorticatore di Shaydan. Urlavano le loro risa contro di me. Anya, o Atena, non era con loro, ma avvertivo la sua lontana presenza come fiocchi di neve che mi raggelavano l’anima.
Gli dèi e le dee ridevano divertiti alla vista delle mie miserie, e io ero lì, incapace di muovermi, incapace persino di parlare. I boschi di Paradiso presero quindi a ondeggiare, a piegarsi sotto la neve che cadeva dal cielo coprendo gli alberi e la terra. Persino le risa degli dèi vennero smorzate dalla neve silente. Infine anche loro scomparvero nel nulla, e io rimasi solo in un mondo scintillante di bianco.
Il soffice biancore della neve si trasformò in una scintillante distesa argentea come metallo. Poi la luce assunse un tono rossastro sempre più intenso, e sembrò sollevarsi per riprendere forma. Questa volta era l’enorme mole di Set a profilarsi dinnanzi a me, sibilando una risata crudele di fronte al mio dolore e alla mia perdita.
Compresi allora che durante i lunghi mesi del nostro cammino non ero riuscito a sognare soltanto perché non me lo aveva permesso. E ora che il nostro viaggio era terminato, si divertiva a fare irruzione nei miei sogni, distorcendoli a suo piacimento.
Per tutto il tempo in cui rimasi in quella cella rovente mi consumai per l’odio. I servitori di Set mi porgevano da mangiare quel poco che bastava per mantenermi in vita: un liquido caldo dal sapore rancido e alcune foglie di verdura, niente più. Non ero più esposto a quel vento sferzante, ma il calore della cella sotterranea prosciugava tutte le mie forze, bruciandomi i polmoni.
Ogni notte sognavo Anya e gli altri Creatori, sapendo che Set era lì a scavare fra ricordi che non avevo mai saputo di possedere. I sogni mutavano sempre in incubi: notte dopo notte, cercavo di avvertire Anya e gli altri, ma sempre li vedevo ridursi in pezzi, i corpi traboccanti sangue, i crani sfasciati, gli arti mutilati dal corpo.
Per mano mia.
Con mio grande orrore, ero io il loro esecutore. Li bruciavo vivi. Cavavo gli occhi dai loro teschi. Bevevo il loro sangue. Il sangue di Zeus. Quello di Era. Persino il sangue di Anya.
Notte dopo notte l’incubo era sempre lo stesso. Mi recavo in visita presso i Creatori nel loro santuario dorato. Loro mi deridevano. Io imploravo Anya di aiutarmi, di comprendere il messaggio di orrore e morte che recavo con me. Ma lei fuggiva, o si mutava in una forma che non potevo raggiungere.
Allora il massacro aveva inizio. Cominciavo invariabilmente dal Radioso, colpendolo come una belva feroce, strappando quel sorriso sciocco e compiaciuto dal suo volto, squarciando il suo corpo perfetto con artigli d’acciaio affilati come lame di rasoio.
Notte dopo notte, sempre lo stesso sogno. Sempre lo stesso orrore. E ogni volta esso si faceva sempre più realistico. Mi svegliavo immerso nel sudore, tremando come un ossesso, non osando abbassare lo sguardo sulle mie mani tremanti per il timore di trovarle sporche di sangue.
Dietro tutti quegli incubi avvertivo la presenza minacciosa di Set. Scavava nella mia mente senza pietà, attingendo da ricordi che il Radioso o chiunque mi avesse creato aveva posto al di fuori della portata del mio io cosciente. Rivivevo così una vita dietro l’altra, dal momento in cui l’umanità era stata originata a futuri così distanti che la razza umana si era evoluta in forme e poteri irriconoscibili. E ognuno di quei sogni, inesorabilmente, giungeva alla medesima scena orripilante.
Mi ritrovavo di fronte ai Creatori. Li colpivo mentre ridevano di me, li squartavo mentre i loro volti continuavano a deridermi. Li uccidevo tutti. Ogni volta cercavo di risparmiare Anya; le gridavo di fuggire, di tramutarsi in modo che non potessi raggiungerla. Talvolta lo faceva. Talvolta mutava in una sfera di luce argentea, ponendosi al di là delle mie possibilità di nuocerle. Ma quando non lo faceva, la uccidevo con la stessa crudeltà con la quale ero solito massacrare gli altri. Le tagliavo la gola, la sventravo, schiacciavo il suo bel viso tra le mie mani provviste di artigli.
E ogni volta mi risvegliavo tra i singhiozzi. Non avevo nemmeno più la forza per gridare. Mi ridestavo in quella cella rovente e priva di luce, terribilmente debole, il corpo e la mente sfiniti.
E il peggio era che conoscevo le intenzioni di Set. Esplorava la mia mente, attraversando la rete dei miei ricordi come un esercito conquistatore impegnato nella razzia di un villaggio indifeso, in cerca della chiave che gli avrebbe permesso di proiettarmi nel regno dei Creatori.
Aveva intenzione di inviarmi in un momento precedente a quello in cui i Creatori si fossero accorti della sua esistenza. Voleva farmi presentare al loro cospetto in un momento in cui avessero abbassato la guardia, non aspettandosi certo di venire attaccati, tanto meno da una delle loro creature.
Set mi avrebbe accompagnato in quel viaggio attraverso lo spaziotempo. La sua mente e la sua volontà sarebbero venuti con me, nella mia mente. Avrebbe visto attraverso i miei occhi. Avrebbe colpito servendosi delle mie stesse mani.
E quel che era peggio, io provavo un odio genuino nei confronti dei Creatori, nei recessi della mia mente. Lui aveva scovato quella vena di rabbia, di amaro risentimento che strisciava dentro di me. Aveva sibilato di piacere quando aveva appreso quanto odiassi il Radioso, il mio Creatore. Aveva assistito con gioia a come l’avessi sfidato cercando di togliergli la vita, e come avessi odiato i Creatori per averlo protetto contro la mia furia.
E aveva scovato la furia cieca che bruciava acida nel mio animo ogni volta che ripensavo ad Anya. L’amore mutato in odio. No, qualcosa di ancora più tremendo, perché continuavo ad amarla anche nel mio odio per lei. Mi aveva legato a una ruota della tortura che straziava la mia mente più efficacemente di quanto Set potesse straziare il mio corpo.
Ma il demonio sapeva come usare il tormento della mia anima, come piegare quell’odio a suo vantaggio.